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IL NOSTRO BURQA QUOTIDIANO da clitoristrix

Bologna (Italia- Europa) 22 novembre 2001

Crediamo che chi non è in grado di individuare le forme peculiari che la violenza assume nella sua vita,
non può pensare di poterle individuare nella vita delle altre.

    Il nostro burqa quotidiano:

1)    Forti pressioni affinché le donne si vestano con indumenti inequivocabilmente “femminili” e affinché ognuna curi la propria immagine in funzione del compiacimento maschile.

2)    Biasimo, esclusione e riprovazione pubblica per le donne che non si offrano agli sguardi maschili

3)    Pressioni psicologiche fortissime esercitate da parte di tutte le istituzioni e dalla società, sin da età giovanissima, affinché le donne assumano l’eterosessualità come modello di sessualità a loro consono e adatto.

4)    Biasimo pubblico per le donne che scelgono di amare e confidare in altre donne.

5)    Violenze psicologiche protratte per le donne che non scelgono la maternità.

6)    Biasimo, riprovazione e ridicolizzazione continua per le donne che scelgono di unirsi e di non essersi ostili.

7)    Ridicolizzazione o discredito per le donne che si espongono e sostengono passionalmente le proprie idee.

8)    Occultamento atavico delle donne dentro le organizzazioni politiche miste, siano esse istituzionali o extra-istituzionali.

9)    Imposizione per le donne soprattutto del mezzogiorno di dipendere economicamente da un maschio adulto (padre, marito..) vista la carenza di servizi e la mancanza di lavoro.

10)    Botte, pestaggi e violenze per le donne all’interno delle famiglie da parte di padri, mariti, fratelli, zii,fidanzati ecc.

11)    Tentativo continuo di oggettivizzare (rendere oggetto) la donna e renderla funzionale a qualcosa oe a qualcuno

12)     Abuso di definizioni per le donne, su libri, giornali, mass-media,completamente distanti dalla realtà oggettiva delle donne.

13)    Tentativo di preclusione alle donne di circolare liberamente negli spazi(città, campagne,esterni) e nell’arco della giornata(giorno e …notte)

14)     Tentativo continuo di rendere invisibili le donne ogni volta che se ne ha la possibilità.

15)    Tentativo di escludere le donne dal mercato del lavoro o di delegarle ai lavori meno riconosciuti

16)    Attribuzione alle donne di tutto il lavoro di cura,  non nominato, non pagato, non quantificato, non retribuito, che ogni anno va ad ingrassare il alta percentuale il p.i.l. (prodotto interno lordo)

17)    Uso e abuso del corpo delle donne per incentivare il consumo di merci.

18)    Colpevolizzazione continua delle donne nei loro vari spazi di movimento ( se sei una casalinga sei un po sfigata, avresti almeno potuto conquistarti un’indipendenza economica,per dio!- se sei una donna in carriera, non si capisce come tu abbia potuto rinunciare alla famiglia, prima o poi te ne pentirai!)

19)    Tentativo di indurre alla vergogna donne che fanno scelte di autonomia: aborto, divorzio, viaggi, divertimenti…..

20)    Segregazione-facile, in strutture di controllo quali famiglie, convitti, ospedali, case di cura,ospizi, carceri ecc., per le donne che mostrano “eccessivo” desiderio di libertà.

21)    Divieto in numerosissimi luoghi di lavoro (soprattutto area educativo-sociale) a manifestarsi e nominarsi lesbiche.

22)    Ridicolizzazione e svalorizzazione dei corpi delle donne, quando invecchiano.

23)    Riprovazione per le donne che scoprono parti del loro corpo non depilate.

24)    Applicazione di tecnologie costrittive o invasive ai corpi delle donne, imballati e imbellettati per il profitto di chirurghi, medici e stilisti.

25)    Esclusione delle donne dai riconoscimenti sportivi ad alti livelli, e dai redditi dei loro colleghi maschi.

26)    Ricatti e abusi, per le donne che vogliono accedere al mondo delle arti eo dello spetaccolo.

27)    Imposizione alle donne di soffocare la loro forza e la loro aggressività.

E tanto altro ancora………………….

Noi chiediamo per le donne afgane, quello che chiediamo per noi stesse!

Perché è troppo facile pensare che ci sia sempre di peggio,
per accontentarsi di quello che si ha.
Collettivo Clitoristrix-femministe e lesbiche
Bologna

clitoristrix@ziplip.com

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PROGETTO “IL FEMMINILE INTEGRA E CREA SALUTE” da La que sabe

ASSOCIAZIONE  “LA QUE  SABE”

PROGETTO
“IL FEMMINILE INTEGRA E crea salute”

[ESTRATTO DAL PROGETTO PER IL BANDO: “PROGETTI DELLE ASSOCIAZIONI FEMMINILI DI VOLONTARIATO
E PROMOZIONE SOCIALE DEL TERZO SETTORE per ridurre e contenere situazioni di disagio inerenti la popolazione femminile immigrata”]

PREMESSA

Il Friuli-Venezia Giulia, da terra di emigranti, si è trasformata, negli ultimi trent’anni, in terra di immigrati, diventando, così, area di attrazione per popolazioni provenienti da terre economicamente povere.
I friulani possono comprendere, avendo vissuto la stessa esperienza,  come si senta uno straniero, proprio perché con lui si identifica. Ognuno di noi può essere figlio di un pugliese, un calabrese o un siciliano e può  scegliere di aprirsi al diverso con disponibilità e tolleranza, piuttosto che chiudersi e rifiutare. Questa scelta determinerà le condizioni di vita e di sviluppo  futuri anche in Italia.
La collocazione geografica stessa del Friuli-Venezia Giulia, ne ha fatto una terra di frontiera, confluenza di tre nazioni, quella slava, quella austriaca e quello italiana, abituando, così i propri abitanti al contatto ed al confronto con lingue e culture diverse. La regone è stata crocevia tra le emergenze economiche e politiche dei paesi dell’est: ricordiamo l’esodo degli albanesi e dei profughi dalle zone di guerra della Croazia, della Bosnia e della Serbia.
In particolare, gli abitanti della provincia di Gorizia hanno quotidianamente a che fare con i lavoratori transfrontalieri che provengono dalla vicina Slovenia e ricordano ancora, con qualche brivido, i carri armati che stazionavano lungo il confini con l’allora Yugoslavia, al tempo della crisi Balcanica.
Pertanto, l’immigrazione costituisce nella nostra Regione un problema sentito, problema che istituzioni e associazioni di volontariato già da tempo hanno iniziato ad affrontare.

Il contributo che l’Associazione “La Que Sabe” intende dare rispetto alla problematica dell’integrazione di donne immigrate è quella di costruire con loro scambi culturali, incontri, conoscenza reciproca, che sono la base di un senso di appartenenza alla comunità dove si vive, comunità in cui, in seguito, trovare sbocchi occupazionali che le aiuti ad uscire dallo sfruttamento e dall’emarginazione.

Nell’ampio quadro dell’immigrazione, quella femminile ha assunto una propria e particolare rilevanza: le donne sono circa il 46% degli stranieri regolari residenti nella nostra regione, ma questa presenza ha connotati suoi particolari in riferimento alle diverse nazionalità delle straniere. Ci sono, infatti, fenomeni migratori quasi interamente femminili, come quelli delle donne provenienti dai paesi dell’est, dove la donna emigra da sola per sostenere la propria famiglia che rimane nel suo paese di origine. In altri casi, l’immigrazione è costituita da donne giovani e non sposate con un livello di istruzione medio-alto per le quali la ricerca di una indipendenza economica rappresenta il motivo dell’immigrazione, come, ad esempio, per molte donne provenienti dai paesi dell’Africa. In altre culture e fasce geografiche, le donne musulmane, ad esempio, migrano con i figli per ricongiungersi al marito. Queste ultime risultano essere le più isolate, sia perché vittime di culture che le vedono in ruoli subalterni, sia per motivi linguistici e di scarsissima alfabetizzazione.

Questo Progetto si costruisce intorno al concetto di integrazione.  Si fonda, pertanto, sul presupposto che, più un individuo è integrato nella comunità in cui vive, migliore sarà il suo stato di benessere. L’integrazione, intesa come rete di relazioni, come inclusione nel tessuto sociale di appartenenza, riguarda tutte le fasce o i gruppi di persone, siano essi anziani, adolescenti, donne, “malati mentali” o immigrati. Chiunque appartenga ad una di queste categorie vivrà meglio, se si sentirà incluso in una rete di relazioni significative, piuttosto che essere solo o emarginato.

Ciò che il presente Progetto intende perseguire è una buona integrazione sociale per tutte le fasce della popolazione femminile, dal momento che  “La que sabe” ritiene non possa realizzarsi un’inclusione per un’unica categoria di cittadine, ma che ci si debba impegnare per l’integrazione di ogni  gruppo di donne emarginate.
Una migliore integrazione per tutti i gruppi svantaggiati determinerà una maggior salute per tutti i cittadini e, quindi, un miglior benessere per l’intera comunità.
La presenza, nel Friuli Venezia Giulia, di persone straniere, regolarmente soggiornanti nel territorio, non è più un’emergenza ma un fenomeno ordinario, permanente, che va affrontato in modo ordinario.
Le donne, che da sempre, nel corso della storia, si sono occupate di reti e relazioni significative fra persone, fra famiglie, fra generazioni, lo possono fare anche oggi apportando, nella creazione di una società multi-etnica, il loro peculiare contributo di intuito femminile, di creatività e di pace.

La donna, nella cultura occidentale, nonostante i notevoli passi avanti realizzati per le pari opportunità fra i sessi,  è, pur sempre, “soggetto debole”: permane, più dell’uomo, esclusa dal mercato del lavoro e dalla sfera della politica, raggiunge, in media, livelli di istruzione più bassi di lui, soffre, con percentuali più alte, di emarginazione e marginalità sociale, assume più psicofarmaci, soprattutto antidepressivi.

L’identità femminile si è sviluppata storicamente e culturalmente intorno al valore del “prendersi cura di…”: il nucleo centrale dell’essere donna passa attraverso la maternità e il sacrificio di sé per la famiglia. L’autonomia viene vissuta come un danno per l’altro (il marito, i figli). L’autonomia diventa, invece, in questo momento storico, la chiave di una svolta, di cui la donna è sempre più consapevole, la svolta che le permette di autorealizzarsi e autodeterminarsi. La donna ha la necessità di elaborare un nuovo modello a cui riferirsi, che non sia quello tradizionale.

La sistematica negazione dei bisogni di auto-espressione e di auto-realizzazione femminili produce un’enorme sofferenza emotiva (da Mito patriarcale e salute della donna – Cristiane Nortrup, guida medica, ed. Red 2000).
Subire violenza o fare violenza a se stesse crea malattia. Quindi vivere secondo modelli maschili mette la donna a rischio per la propria salute.

D’altra parte, la donna extracomunitaria, porta con sé questi ed altri disagi ancora in quanto la subisce,  rispetto alla donna italiana, regole ed abitudini sociali ancor più marcatamente patriarcali e segreganti.

Rimane, sia per la donna straniera, che per quella italiana, o meglio, friulana, la necessità di un salto evolutivo, teso a raggiungere reali pari opportunità: il percorso di crescita realizzato da qualunque singola donna o gruppo femminile, qualunque ne sia la nazionalità e l’origine culturale, sarà una conquista realizzata a favore del genere femminile nella sua interezza.
 
A conclusione di questa premessa teorica, si può sintetizzare il percorso che “La que sabe” intende costruire, a favore della salute della donna, con le seguenti PAROLE CHIAVE: INTEGRAZIONE – LAVORO – SALUTE, per tutte le donne residenti sul territorio, comprese quelle in stato di marginalità ed esclusione sociale.

INTRODUZIONE

Pertanto la durata prevista è triennale, suddivisa in tre fasi:
1° fase: ricognizione delle offerte istituzionali, analisi dei bisogni, rispetto alla salute, della popolazione femminile immigrata, attraverso questionario
2° fase: messa a punto di una procedura d’accompagnamento presso le strutture sanitarie
3° fase: attuazione della procedura d’accompagnamento alle immigrate.
“I problemi della salute e della maternità sono quelli verso cui le nostre strutture paiono meno preparate: Solo in alcune città si sono realizzate positive esperienze di assistenza, come quella del Centro per la salute delle donne straniere e dei loro bambini, operante a Bologna…” (tratto da A.A.V.V. La condizione della donna immigrata – ricerca sulla condizione femminile nel Friuli-Venezia Giulia Anolf Editore)

Nel titolo dato al presente progetto, “ ILFEMMINILE” sta ad indicare l’origine, la natura, il tempo del cosmo con cui la femminilità si fonde e si identifica (da E. Neuman La grande madre Astrolabio). La donna moderna, condizionata a livello culturale e sociale, ha perso il senso della femminilità e della maternità, come propria essenza naturale e forza propulsiva.

La donna, per sua missione, ha sempre tessuto reti di relazioni; le sarà, quindi, congeniale rispecchiarsi in altre, a lei simili, ma diverse per provenienza ed origini. Sarà curiosa di confrontarsi ed integrarsi con  chi rappresenta il nuovo, lo sconosciuto, l’inesplorato. Sarà  pronta ad aprirsi al diverso, consapevole del fatto che la diversità fra le persone e fra i popoli sia una grande ricchezza per tutti.
Da queste considerazioni nasce l’espressione: “IL FEMMINILE INTEGRA”, dal momento che, nelle migrazioni, la donna ha sempre agito per integrarsi e  per integrare la propria famiglia nel tessuto sociale in cui era approdata, come pure si è impegnata ad includere gli stranieri con cui veniva in contatto.

L’essenza tipicamente femminile, legata alle leggi della natura garantiva un tempo, di per sé, al genere femminile vitalità, fluidità e salute. Essa favoriva nella donna un naturale stato di benessere, stato che, nell’attuale momento storico si può solamente, tentar di recuperare, ristabilire, ricercare con impegno, attenzione e amorevolezza.
 
Ecco, quindi, il significato complessivo attribuito all’espressione IL FEMMINILE INTEGRA  E crea salute: l’essenza naturale della donna la porterà, in modo spontaneo ad includere nella propria esperienza di vita,  chi, per origini, cultura o religione è diverso da sé. Grazie a questa intima inclinazione ad integrare il diverso, sia esso immigrato o “malato mentale” o altro ancora, la donna può ripristinare, in se stessa e intorno a sé, uno stato di benessere, lo stato di benessere che deriva dallo stare con l’altro e non contro l’altro.           

BREVE ANALISI DEL CONTESTO E DELLE  ESIGENZE CUI INTENDE  RISPONDERE IL PROGETTO.

Il contesto, nel quale il presente Progetto si colloca è quello del territorio Monfalconese e Grado, con le sue molteplici sfaccettature: la presenza della Fincantieri e di tutta l’industria dell’indotto, da decenni ormai, attira manodopera, sia dalle regioni meridionali italiane, che dall’estero. L’ambiente sociale è complesso e, per certi versi problematico. Sono aumentati la tensione sociale, la diffidenza nei confronti del diverso, l’intolleranza in ambito scolastico.

L’”Annuario statistico dell’immigrazione in Friuli Venezia Giulia 2005” [ed. Regione FVG – Ires], in merito al contesto Isontino, afferma che è caratterizzato da una “maggior incidenza ‘maschile’ per l’effetto congiunto della presenza della comunità bengalese di Monfalcone e dei frontalieri o comunque di immigrati provenienti dall’area balcanica con progetti migratori di breve-media durata e che non comportano lo spostamento dell’intero nucleo familiare.”
In realtà dal 2005 ad oggi abbiamo assistito ad un incremento dei ricongiungimenti e di residenti donna sul territorio, dovuto anche alla forte presenza di “badanti”, in gran parte rumene, in un intreccio di culture.
Far dialogare queste culture è lo scopo del Progetto, al fine di ribadire l’universalità della donna, non solo in quanto vittima delle guerre degli uomini, ma nei suoi saperi antichi e per diffondere con l’esempio la convivenza creativa di culture-etnie diverse.

A Monfalcone c’è una larga presenza di donne bengalesi che vivono una condizione di chiusura fra le mura domestiche, svantaggiate dalla nulla conoscenza della lingua e da una sudditanza dal maschile. Un altro elemento, laico con L maiuscola, eppure fondante, è appunto aprire un varco alle donne straniere succubi di tradizioni femminicide, nell’invito ad esprimere i loro preziosi talenti nel ricamo e la confezione di abiti e in quant’altro queste donne possano insegnare.

Un’altra presenza, percentualmente significativa, è quella delle croate e delle donne provenienti dall’ex Yugoslavia: per loro l’integrazione nella comunità è più semplice, in quanto la loro cultura è più simile a quella occidentale.

In una visione più ampia dell’integrazione culturale, nell’Isontino possiamo parlare anche di immigrazione interna e di un alto numero di nuclei familiari  provenienti dal sud Italia, data la presenza di molti trasfertisti in forza presso la Fincantieri.

Per un altro verso, il tessuto sociale Monfalconese è piuttosto ricco, con la presenza di istituzioni pubbliche laboriose  e di un associazionismo vivace e propositivo. Da anni essi lavorano sul disagio, a favore delle fasce a rischio, in forme di collaborazione fra pubblico e associazioni del privato sociale.
Una di queste sinergie è quella tra il C.S.M. di Monfalcone e Associazione “La que sabe”. Tale sinergia si è sviluppata intorno all’ idea che, per le donne, impegnate ad uscire da uno stato di sofferenza, sia necessario  un inserimento lavorativo, in grado di dar loro effettiva indipendenza economica.

Gli spazi di aggregazione, avviati dal precedente Progetto,  hanno incontrato  un ampio favore da parte delle donne del territorio, che li hanno frequentati numerose. Quelle di loro, che si trovano in uno stato di difficoltà o di malattia hanno trovato nelle attività proposte momenti di  riequilibrio, di svago e di socializzazione con le altre.

Complessivamente le attività avviate nel 2007 sono state 14, con 18 maestre/professioniste impiegate e per un totale complessivo di 646 ore di lavoro. Le persone frequentanti sono state 92, fra cui 20 bambini.
Due della maestre hanno avuto una patologia tumorale, altre quattro sono di nazionalità estera.
Due della maestre hanno avuto una patologia tumorale, altre quattro sono di nazionalità estera e cinque sono seguite dal Centro di Salute Mentale.

Questi  pochi numeri danno un’idea di quale impegno sia stato richiesto alle singole maestre e/o professioniste nello svolgimento delle diverse attività, come pure all’organizzazione di spazi, orari e laboratori. Si è avuta cura di venir incontro alle persone con problemi familiari o di salute, predisponendo sostituzioni ed orari flessibili.
All’interno di tutti i laboratori si respirava un’atmosfera serena e distesa e non si avvertiva differenza fra chi portava un disagio psichico o fisico e chi ne non lo aveva.

Con vera soddisfazione “La que sabe” può affermare di aver contribuito ad aiutare con il finanziamento regionale al Progetto “IL FEMMINILE RI-crea salute”, donne residenti nel territorio, a migliorare la propria situazione economica.

I laboratori artistici e la sartoria hanno dimostrato essere un luogo di espressione delle arti e dei saperi femminili, dove ogni donna diventa maestra e dove l’ispirazione reciproca crea un clima di creativa serenità e appagamento, indubbiamente salutari per la donna e per il suo contesto di vita.
Nel laboratori, denominati “Le Fucine”, seppur già presenti collaboratrici straniere, vogliamo dar modo alle donne immigrate di trasmetterci le loro conoscenze artistico-artigianali e la loro cultura.

L’anno che sta per concludersi è stato, per l’Associazione “La que sabe”, ricco e fruttuoso di nuove e concrete prospettive, in riferimento all’obiettivo di costruire, per la popolazione femminile, il benessere ed anche concrete opportunità lavorative.
Dall’ ottobre 2006 al giugno 2007, insieme al Centro di Salute Mentale di Monfalcone ed alla Cooperativa “Confini” di Trieste ha realizzato il Progetto  SìLAVORO, finanziato da fondi europei con lo scopo di valutare le opportunità del mercato del lavoro nel territorio della provincia.

Rispetto alle esigenze, cui il progetto intende rispondere, rimangono valide quelle del precedente Progetto e, pertanto si vuole offrire alle donne che presentano qualsivoglia disagio (l’emarginazione, l’immigrazione,  la mancanza di cultura e di strumenti conoscitivi, oltre che la sofferenza psichica), la valorizzazione dell’espressività,  della creatività,  del saper fare e dei saperi propri dell’essere femminile, finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro.
Alle sopraccitate esigenze si aggiungono le seguenti:
1.    il bisogno di riflettere sulla propria salute e di appropriarsi di ciò che le fa star meglio
2.    il bisogno di accedere, per problemi di salute propri e dei figli, con serenità alle strutture sanitarie
3.    il bisogno di comprendere la storia della donna, al fine di emanciparsi e del fare “cultura”
4.    il bisogno di superare le difficoltà emotive legate ad una fase critica della vita dell’essere donna
5.    il bisogno di socializzare fra di loro e di conoscere chi è diversa da sè
6.    il bisogno di sostenersi dal punto di vista economico o di contribuire a sostenere la propria famiglia.
 
DESCRIZIONE DEL PROGETTO
Dall’analisi fatta nella premessa al Progetto, si comprende come l’immigrazione femminile abbia sue precise peculiarità all’interno del fenomeno migratorio e come sia variegata e poco conosciuta.
Il fatto di migrare costituisce per una donna motivo di forte disagio, vuoi perché essa perde i legami identitari con il paese d’origine, vuoi perché il contatto con la cultura del paese di approdo è superficiale e disorientante.
Diverse donne seguite dal C.S.M. di Monfalcone hanno manifestato disagio psichico a causa di difficoltà emotive ed economiche conseguenti ad uno strappo rispetto alla loro precedente storia di vita.

I problemi della salute e della maternità delle immigrate sono quelli verso cui le nostre strutture sanitarie sembrano meno preparate: accade spesso di recarsi in un reparto di Pediatria o Ginecologia e di vedere un medico o un’operatrice sanitaria alle prese con una coppia di donne straniere nell’arduo tentativo di comprendersi a vicenda. Esistono, infatti, macroscopiche difficoltà allorché donne arabe debbano essere visitate da medici maschi o quando donne di provenienza asiatica si ritrovano a gestire la propria gravidanza in quasi completo isolamento.
Scopo dell’Associazione “La Que Sabe” è anche quello di lavorare in collaborazione con tali reparti per costruire un “ponte” sia linguistico, che culturale che aiuti l’accoglienza di donne straniere. Sarà opportuno procedere con gradualità, per non forzare una emancipazione, che per cultura e religione non può appartenere a molte donne extracomunitarie. Per la realizzazione della ricerca si sono presi contatti informali con l’I.S.I.G. di Gorizia.
Il presente Progetto, pertanto, si pone l’obiettivo generale di favorire lo stato di salute delle donne immigrate presenti nel territorio, salute intesa nell’ accezione più ampia di “benessere psico-fisico e sociale” (come da definizione dell’O.M.S.).

La realizzazione del precedente Progetto “IL FEMMINILE ri-crea salute” ha permesso alla nostra Associazione di venire a contatto e di conoscere da vicino l’universo femminile nelle più diverse sfaccettature.
Esse fanno riflettere sulla pluri-problematicità delle condizioni, che ancora oggi impediscono alla donna di raggiungere pienamente pari opportunità rispetto alla figura maschile.
La disparità tra qualità di vita della donna e qualità di vita dell’uomo è ancor più evidente se si considera, poi, la donna straniera, che, per il colore della pelle o per condizionamenti culturali e religiosi è costretta a permanere in uno stato di inferiorità e marginalità.

Pertanto, questo progetto si propone di:

1.    Effettuare una ricerca allo scopo di conoscere i bisogni delle donne immigrate, nell’affrontare i problemi di salute propri e dei figli  e nell’accedere alle strutture sanitarie
2.    avviare una collaborazione con varie strutture sanitarie: Consultorio familiare, reparti di ostetricia-ginecologia e di pediatria, al fine di predisporre una procedura d’accompagnamento per le donne straniere
3.    proporre iniziative, che stimolino la riflessione della condizione della donna nelle diverse culture e che favoriscano la conoscenza della storia della donna: la consapevolezza del proprio passato e delle regole che governano la società attuale, nelle diverse fasce della terra, permetteranno alla donna d’oggi di costruire il proprio futuro
4.    Supportare la donna nei momenti critici della propria vita: adolescenza, puerperio, separazione, menopausa
5.    promuovere il recupero di quelle abilità tipicamente femminili, che pur utilizzate quotidianamente, sono sottovalutate e misconosciute dalla società e, paradossalmente, dalla donna stessa
6.    favorire, rispetto alla donna con disagio psichico, la socializzazione, il reinserimento ambientale ed il sostegno alle parti sane della personalità
7.    permettere una riflessione approfondita sulla salute della donna attraverso incontri, contributi di esperti, conferenze
8.    avviare iniziative che propongano alla popolazione un dibattito sui fenomeni migratori, affinché si giunga a conoscerli in profondità, evitando di ricadere nel pregiudizio, che è frutto dell’ignoranza
9.    promuovere attività culturali, di socializzazione e di apprendimento reciproco fra donne italiane e straniere; sostenere l’identità della donna, indipendentemente dalla nazionalità di provenienza, come ad esempio un coro multi-etnico, composto da sole donne

Inoltre, intende mantenere gli spazi di aggregazione avviati precedentemente, aprendoli a donne immigrate, che potranno trasmettere un loro sapere o che potranno frequentarli

Infine, esso vuole offrire alle donne in stato di bisogno, un servizio di piccolo prestito per una somma massima di 500 euro, da restituire senza interessi in comode rate, nell’arco del semestre successivo al prestito.

METODOLOGIA

La metodologia rimane quella del precedente Progetto, integrata, tuttavia, da una parte non certo secondaria, dedicata ai concetti di identità etnica e di solidarietà sociale.
Con gli spazi di aggregazione siamo andate oltre il concetto di “laboratorio tradizionale”, ove un gruppo di donne svantaggiate si incontra per socializzare e per apprendere un saper fare, trasmesso da un’ “esperta” esterna.  Il laboratorio è diventato luogo in cui avviene la condivisione del sapere del singolo, che trasmette la propria specificità creativa e professionale. L’attività svolta è strumento di interscambio e di crescita, sia per chi insegna sia per chi apprende: entrambi staranno meglio attraverso  il creare e produrre insieme.
Affinchè questo processo di apprendimento possa avere un riconoscimento concreto, i manufatti creati in questo spazio di attività artistico-artigianali e sinergiche-poliedriche stanno trovando, grazie ai contatti costruiti con enti e cooperative, una loro visibilità sul mercato.
Messaggio trasversale, che questi spazi vogliono trasmettere, è quello relativo alla possibilità di recuperare materiali poveri e/o di scarto e abiti dismessi, per contrastare la mentalità consumistica e mettere in luce la capacità creativa della donna.

La diversità tra gli individui può essere considerata ricchezza in una società multi-etnica, ove ci sia la pace ed il rispetto dei diritti di tutti.
Riportiamo le parole di Kobla Bedel, che nel libro “Negro, ma libero” sostiene: “…una perfetta ugliaglianza può provocare reazioni di rigetto da parte dei cittadini autoctoni e lo svuotamento dell’istituto stesso della cittadinanza; un’eccessiva disuguaglianza può produrre nel futuro minoranze discriminate, creando, così, un pericoloso fossato difficile da sanare con il tempo:”
Il concetto che, a questo proposito, l’Associazione La que sabe propone allo scopo di coniugare uguaglianza e disuguaglianza fra individui è quello di identità: la persona che si senta riconosciuta e rispettata nella sua intima essenza, nella sua identità più profonda, nella propria storia personale  e culturale sarà disponibile all’incontro ed al confronto con l’altro ed al rispetto dell’altro.
La que sabe intende promuovere l’identità delle donne che incontrerà, indipendentemente dalle loro origini.

Il canale, il mezzo, la metodologia attraverso cui sostenere l’identità di tutte le donne, ma anche di tutti gli uomini e i bambini è la solidarietà sociale, il sentirsi parte della stessa “umanità”, in cui tutti abbiano il diritto ad una vita dignitosa.
Crediamo in un’inclusione sociale, che sia effettiva integrazione per tutti i cittadini e le cittadine, appartenenti ad una comunità.

SCOPO E OBIETTIVI DEL PROGETTO

 Lo scopo che il progetto persegue è quello di sostenere donne immigrate e non, in stato di marginalità sociale, offrendo loro un percorso di crescita e di uscita dall’emarginazione.

Gli obiettivi specifici saranno:
•    integrare, nel tessuto sociale, donne immigrate, come quelle svantaggiate o con disagio mentale
•    avviare un’indagine sulle risposte istituzionali date alle donne immigrate ed una ricerca sui  loro bisogni, relativi alla salute propria e dei figli 
•    recuperare i saperi della donna: saper fare (ad es. con le mani) e saper essere
•    stimolare la crescita culturale e l’inserimento nel mondo sociale e politico da parte della donna
•    riscoprire e valorizzare le proprie potenzialità di uomini e donne, traducendole, con creatività, in opportunità in campo lavorativo
•    stabilire relazioni con altre donne e uomini per mettere a frutto una solidarietà trasversale
•    comprendere, valorizzare ed utilizzare, come protagoniste e non come vittime, le reti sociali
•    sostenere il dialogo ed il confronto uomo-donna
•    stimolare una riflessione ed un dibattito aperto sui temi della diversità, dell’immigrazione, dell’esclusione e dell’inclusione sociale.
 
MODALITA’ D’INTERVENTO – INIZIATIVE ATTUATIVE DEL PROGETTO

1.    Parecchie donne con varie problematiche si sono avvicinate agli spazi di aggregazione proposti e tutte portando le loro specifiche richieste, che qui di seguito riassumiamo:
•    Donne con una patologia tumorale superata o ben controllata
•    Donne separate, la cui separazione aveva avuto, per loro, un alto costo emotivo
•    Donne con depressione post-partum o lievi disagi emotivi legati al puerperio
•    Donne che ritengono, per se stesse, utile riflettere sulla propria salute e sui propri ritmi di vita
•    Donne con marcato stato di difficoltà economica, anche rispetto alla necessità di sostenere cure costose e prolungate.
A  gruppi omogenei per problematica, tutte loro hanno discusso, hanno ipotizzato dei percorsi utili al proprio star meglio ed hanno iniziato a scrivere.
Ne sono scaturite, diverse, interessanti proposte: il Progetto E.V.A. (Essere Veramente Accanto), progetto di sostegno reciproco per MAMME, per creare una rete di collegamento tra donne, che, nonostante la gioia di essere madri, vogliano uscire da uno stato di stanchezza, solitudine, frustrazione o dubbio.
Per ciò che riguarda queste problematiche, il Progetto attuale prevede come nuove attività le seguenti:
•    spazio gruppo di auto-aiuto per donne separate, italiane e straniere insieme

•    spazio gruppo di auto-aiuto per puerpere, italiane e straniere insieme

2.    In riferimento alle collaborazioni avviate con le Associazioni femminili, che già si occupano di donne immigrate ed ai contatti avuti con il Consultorio  familiare di Monfalcone, i reparti di pediatria e di ginecologia dell’ospedale di Monfalcone, si prevede di sostenere:
•    Iniziative a supporto di donne straniere in gravidanza e al momento del parto
•    Iniziative a supporto di donne straniere, che portino i propri bambini al reparto di pediatria e/o dal pediatra
•    Incontri a carattere artistico o culturale, che vedano insieme donne straniere ed italiane
•    Sostegno ad un coro multi-etnico, composto da sole donne
•    2 dibattiti pubblici sul problema dell’immigrazione e dell’immigrazione femminile, in particolare, 2 dibattiti pubblici sui temi della salute mentale
•    Realizzazione di un’esposizione pubblica dei prodotti artistico-artigianali, realizzati dalle donne nei laboratori, mettendo in particolare risalto quelli i saperi delle donne straniere
•    Vendita dei suddetti prodotti presso mercatini e negozi eco-solidali

3.    Al fine di INTEGRARE e creare salute, verrà data continuità agli spazi d’aggregazione già avviati dal precedente progetto

Oltre a questi si prevede di avviare altri tre spazi, condotti da donne straniere esperte in una determinata tecnica o arte. Per lo spazio della pittura è stata già individuata una pittrice di nazionalità argentina.

RISULTATI ATTESI
– conoscenza dei bisogni delle donne straniere nell’affrontare i problemi di salute propri e dei figli e nell’accedere alle strutture sanitarie
– Socializzazione con altre donne, sia straniere, che italiane
– Condivisione di esperienze di sofferenza e di solitudine legate all’evento migratorio
– Condivisione dell’esperienza della maternità
– Condivisione dell’esperienza della separazione
– Potenziamento della “parte sana” della donna, nella condivisione con altre di cultura simile o dissimile
– Supporto alla donna straniera in rapporto alle strutture sanitarie
– Crescita culturale e visibilità politica della donna di ogni  origine o estrazione sociale
– Uscita dalla propria condizione di malata mentale, o di soggetto debole o subalterno
– Uscita da uno stato di isolamento e di esclusione sociale
–   Rivalutare e mettere a frutto il proprio potenziale espressivo e/ professionale
– Affrontare adeguatamente il re-inserimento lavorativo
– Dar visibilità, ed eventualmente, giungere a vendere gli oggetti realizzati dalle donne
– Attivare di rapporti di solidarietà sociale, che vadano al di là del genere, maschile o      femminile, del ruolo o dello “stigma, che ognuno può avere.  
 

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Report interventi del tavolo 4 (bozza)

Tav. 4 lavoro reddito precarietà
Roma – cid – 23 /02/04

Ecco un primo elenco degli interventi – tema centrale affrontato
( quando sono riuscita ad appuntarmelo) –eventuali proposte –
chiaramente non ho capito tutto bene allo stesso modo, però è una
traccia per ricostruire, ampliare, entrare nel merito.

Giovanna – Bologna – Emergenza femminista
Ha letto l’intervento di apertura che trovate già sul blog-
le proposte sono: discutere di orari di lavoro e tempo di
vita-reddito per l’autodeterminazione- lavoro precario e forme di
lotta – concetto di sviluppo e ambiente –
creazione di osservatori autogestiti sulle problematiche femminili del lavoro

Cristina – Milano
Analisi sull’ultimo decennio di legislazione che ha disposto la
precarietà sul lavoro – diventata un prototipo che ha valicato i
confini di genere e travalicato la categoria della riproduzione
sociale.
Il paradosso: la vita stessa diventa produzione – la precarietà
lavorativa diventa precarietà esistenziale.

Barbara – Roma – Collettivo autoorganizzate – aci informatica
Analisi delle condizioni lavorative e livelli salariali- inferiori per
le donne – all’interno dell’azienda – discorso sulle nuove proposte
legislative che prevedono due livelli di contrattazione ( naz. e
aziendale) in cui rileva il fallimento dei sindacati e delle istit.
anche
considerando quello che è stato firmato nel protocollo sul welfare del 2007
e il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, in cui si avalla
l’utilizzo di contratti precari.
Proposte: autorganizzazione e nessuna delega nei vari posti di lavoro
per portare avanti le proprie rivendicazioni

Margherita –Taranto – Mov.Fem. rivoluzionario proletario ( e slai
cobas) testimonianza sulle lotte – donne imprese pulizie –fiat melfi –
operatrici call center – discorso sulla femminilizzazione della
povertà- dal lavoro come fattore di emancipazione alla generale
“femminilizzazione”/ precarizzazione del lavoro.

Proposte: affermare nelle lotte sindacali il punto di vista delle donne

Ilenia –Bari /Roma- Lab, di studi femministi alla Sapienza
Analisi delle precarietà, al plurale. Parla di mutazione
antropologica derivante dalla precarietà – è importante riappropriarsi
della nostra storia per trasformare il presente – effetto
disgregatore del lavoro precario – è necessario riconoscere il
problema come problema sociale
Proposte: laboratori di autonarrazione sulla precarietà

Paola – dei Castelli ( Roma) – Collettivo Rosse
Testimonianza – dettagliata analisi sul ruolo delle donne nel lavoro
e nelle lotte ( atesia) e loro assenza nella rappresentanza sindacale
e istituzionale- necessità della raccolta e scambio dei dati –
discorso sull’ inesistenza del Welfare in Italia ( gestione
corporativa delle politiche sociali )
Riferimento al testo di apertura – fa notare che in quel doc. manca
l’analisi del ruolo delle migranti rispetto al lavoro domestico

Proposte: Darci continuità di informazione e di lotta
Uscire con energia femminista

Francesca Grossi – Roma- Fiom
Analisi della flessibilità del lavoro in relazione all’attuale
mercato del lavoro che non consente la stabilizzazione ( contingente
necessità del precariato) – effetti della precarietà in tutte le
relazioni sociali – effetti discriminatori aggiuntivi per le lesbiche
in questo contesto di precarietà

Laura –Roma – A-Matrix
Riassume i punti comuni emersi dalle analisi precedenti- ( la
femminilizzazione/precarizzazione generale del lavoro segna non una
condizione paritaria ( seppur per difetto) ma sancisce un arretramento
ulteriore delle donne nel lavoro) analisi articolata del legame tra
autodeterminazione e reddito ( strumento necessario per uscire da
famiglia/ violenza in famiglia/) – ( il discorso, con altri
interventi- si allarga fino a definire : reddito garantito/reddito
di cittadinanza/ reddito di “esistenza”

Proposta : ragionare sul reddito di “esistenza” –

Micaela –Roma – Coll. Libere streghe
Testimonianza ( precariato Alitalia) – discorso sulla
stabilizzazione del lavoro ( garanzie su ferie malattie e accesso al
credito) – effetti negativi del precariato sulle scelte nella vita
privata ( rinuncia ai figli e ai legami di coppia ) e sull’integrità
psico fisica

Milva – Roma – donne in nero
Chiede a tutte di elaborare anche proposte – concorda su proposta di
reddito di “esistenza” – chiede se la proposta di autonarrazione e
osservatorio autoorganizzato possono essere pensate come unica
proposta- discorso sulla grave situazione della crescita economica naz
con effetti negativi ancora da registrare della crisi finanz.
internazionale – senza un discorso sul reddito in generale la
richiesta di stabilizzazione del lav. può non bastare a risolvere i
problemi che poniamo

Sara –Roma – Ribellule
Allargare il concetto di precarietà – dalla precarietà sul lavoro alla
precarietà di tutte le relazioni sociali – discorso sul legame tra
problema di accesso al reddito e welfare- la famiglia ha puntellato le
carenze strutturali delle politiche sociali –

Proposte: far uscire le “forme di vita” che finora hanno cercato
soluzioni per questo nodo

Serena – Roma – Esc
Necessità di rimettere a tema le trasformazioni radicali che hanno
attraversato il mondo del lavoro ( fa un escursus che include la
fuga dal lav. salariato – il rifiuto del lav anni 70 – la
trasformazione dei servizi e delle politiche sociali – la
salarizzazione del lavoro di cura ( include dis. migranti) –

Proposte: la questione del reddito è centrale – ma dobbiamo fare
attenzione a non fare battaglie di retroguardia – necessità del
confronto con altre realtà che hanno elaborato discorsi sul reddito
garantito.

Miriam – Roma – ex Udi
Testimonianza su atesia e almaviva – analisi sul legame tra famiglia
e politiche sociali – discorso sulla necessità
dell’ assunzione di responsabilità dello Stato e non della famiglia in
questa materia

Luisa – Bologna
Riprende l’analisi sulla femminilizzazione/ precarizzazione del
lavoro – discorso sul ruolo del sindacati confederali = c ‘è un
conflitto di interessi tra loro e i lavoratori
non siamo rappresentate dai sindacati –
testimonianza su alcuni aspetti del lavoro a tempo indeterminato- le
impiegate “pagate per consumare” ( discorso su che cosa a volte
significa “lavorare”)
cosa significa “reddito di esistenza”

Rosa – Milano – donne di sinistra critica – collettivo porta nuova
Analisi del discorso sulla femminilizzazione del lavoro – ma a
partire da quando le donne sono entrate massicciamente nel mercato
del lavoro – include il discorso sulla accezione positiva, nel
recente passato, del termine flessibilità –
Analisi dei discorsi su reddito di
cittadinanza/esistenza/autodeterminazione – pericolo del prospettare
una categoria di persone che vive solo di assistenza –
Analisi del rapporto tra violenza e patriarcato

Proposte: osservatorio autorganizzato via e-mail ( o comunque sulla rete)

Adriana – Trieste
Il paradigma maschile della divisione del lavoro ( che lei ravvisa
negli interventi relativi alle lotte sindacali ) non basta più. Anche
rispetto al discorso del reddito bisogna entrare nei dettagli.
Reddito per le donne – rispetto all’autodeterminazione – significa
innanzitutto avere a disposizione una casa, per es. – A Trieste è in
corso una sperimentazione sul reddito di cittadinanza, ma ne da un
giudizio negativo – testimonianza rispetto alle migranti da lei
conosciute come “cittadine del mondo”

Emma –Milano – circ. femminista donna proletaria
Ha un doc. di proposte che fa girare. Testimonianza rispetto al
licenziamento e alla “rottamazione ” delle donne nel mondo del lavoro
stabile. La discriminazione di genere aumenta con il precariato.
Concorrenza nel mercato del lavoro non facilitata dalla presenza dei
migranti – concorrenza anche come oggetti di politiche sociali (
es. assegnazione di case popolari)

Beatrice –Roma –Amatrix
Discorso sulle proposte

(Qui purtroppo sono dovuta andare in giardino e ho perso gran parte
dell’intervento e anche l’inizio del successivo)

Irene –Roma – cid e comitato 50/50
discorso sulla complessità delle leggi sul lavoro in Italia –
necessità di far agire le leggi sul lavoro già presenti che vengono
disattese –
( da 6 anni si fa ricerca sulla qualità del lavoro) necessità degli
“occhi delle donne” sul mondo del lavoro. Dal punto di vista della
sicurezza sociale siamo equiparati attualmente ai paesi dell’est
( dopo il crollo )

( ho perso l’inizio dell’intervento – so che ha detto delle cose
importanti ma non sono riuscita a trascrivere bene il senso)

Francesca – Roma – Xfoa
Discorso su lavoro pagato e lavoro non pagato – e quanto è pagato (
Il problema di oggi è che i datori di lavoro fanno già a meno di noi –
Il lavoro anche quando garantito non è più in grado di garantire un
reddito) il crollo dell’ideologia del lavoro ( con l’idea della
possibilità di piena occupazione) mostra il suo aspetto positivo – è
inevitabile porsi il problema di reddito –
Rispetto alle proposte:
non bisogna ancora “stringere” ma aprire sulle proposte- iniziare a
discuterne tenendo conto delle elaborazioni formulate anche in altri
ambiti ( misti)

mi fermo qui, ci sono stati alcuni altri interventi – per es. Anna e
Francesca ma non ho appunti chiari
milva

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Report interventi del tavolo 4 (bozza)

Tav. 4 lavoro reddito precarietà
Roma – cid – 23 /02/04

Ecco un primo elenco degli interventi – tema centrale affrontato
( quando sono riuscita ad appuntarmelo) –eventuali proposte –
chiaramente non ho capito tutto bene allo stesso modo, però è una
traccia per ricostruire, ampliare, entrare nel merito.

Giovanna – Bologna – Emergenza femminista
Ha letto l’intervento di apertura che trovate già sul blog-
le proposte sono: discutere di orari di lavoro e tempo di
vita-reddito per l’autodeterminazione- lavoro precario e forme di
lotta – concetto di sviluppo e ambiente –
creazione di osservatori autogestiti sulle problematiche femminili del lavoro

Cristina – Milano
Analisi sull’ultimo decennio di legislazione che ha disposto la
precarietà sul lavoro – diventata un prototipo che ha valicato i
confini di genere e travalicato la categoria della riproduzione
sociale.
Il paradosso: la vita stessa diventa produzione – la precarietà
lavorativa diventa precarietà esistenziale.

Barbara – Roma – Collettivo autoorganizzate – aci informatica
Analisi delle condizioni lavorative e livelli salariali- inferiori per
le donne – all’interno dell’azienda – discorso sulle nuove proposte
legislative che prevedono due livelli di contrattazione ( naz. e
aziendale) in cui rileva il fallimento dei sindacati e delle istit.
anche
considerando quello che è stato firmato nel protocollo sul welfare del 2007
e il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, in cui si avalla
l’utilizzo di contratti precari.
Proposte: autorganizzazione e nessuna delega nei vari posti di lavoro
per portare avanti le proprie rivendicazioni

Margherita –Taranto – Mov.Fem. rivoluzionario proletario ( e slai
cobas) testimonianza sulle lotte – donne imprese pulizie –fiat melfi –
operatrici call center – discorso sulla femminilizzazione della
povertà- dal lavoro come fattore di emancipazione alla generale
“femminilizzazione”/ precarizzazione del lavoro.

Proposte: affermare nelle lotte sindacali il punto di vista delle donne

Ilenia –Bari /Roma- Lab, di studi femministi alla Sapienza
Analisi delle precarietà, al plurale. Parla di mutazione
antropologica derivante dalla precarietà – è importante riappropriarsi
della nostra storia per trasformare il presente – effetto
disgregatore del lavoro precario – è necessario riconoscere il
problema come problema sociale
Proposte: laboratori di autonarrazione sulla precarietà

Paola – dei Castelli ( Roma) – Collettivo Rosse
Testimonianza – dettagliata analisi sul ruolo delle donne nel lavoro
e nelle lotte ( atesia) e loro assenza nella rappresentanza sindacale
e istituzionale- necessità della raccolta e scambio dei dati –
discorso sull’ inesistenza del Welfare in Italia ( gestione
corporativa delle politiche sociali )
Riferimento al testo di apertura – fa notare che in quel doc. manca
l’analisi del ruolo delle migranti rispetto al lavoro domestico

Proposte: Darci continuità di informazione e di lotta
Uscire con energia femminista

Francesca Grossi – Roma- Fiom
Analisi della flessibilità del lavoro in relazione all’attuale
mercato del lavoro che non consente la stabilizzazione ( contingente
necessità del precariato) – effetti della precarietà in tutte le
relazioni sociali – effetti discriminatori aggiuntivi per le lesbiche
in questo contesto di precarietà

Laura –Roma – A-Matrix
Riassume i punti comuni emersi dalle analisi precedenti- ( la
femminilizzazione/precarizzazione generale del lavoro segna non una
condizione paritaria ( seppur per difetto) ma sancisce un arretramento
ulteriore delle donne nel lavoro) analisi articolata del legame tra
autodeterminazione e reddito ( strumento necessario per uscire da
famiglia/ violenza in famiglia/) – ( il discorso, con altri
interventi- si allarga fino a definire : reddito garantito/reddito
di cittadinanza/ reddito di “esistenza”

Proposta : ragionare sul reddito di “esistenza” –

Micaela –Roma – Coll. Libere streghe
Testimonianza ( precariato Alitalia) – discorso sulla
stabilizzazione del lavoro ( garanzie su ferie malattie e accesso al
credito) – effetti negativi del precariato sulle scelte nella vita
privata ( rinuncia ai figli e ai legami di coppia ) e sull’integrità
psico fisica

Milva – Roma – donne in nero
Chiede a tutte di elaborare anche proposte – concorda su proposta di
reddito di “esistenza” – chiede se la proposta di autonarrazione e
osservatorio autoorganizzato possono essere pensate come unica
proposta- discorso sulla grave situazione della crescita economica naz
con effetti negativi ancora da registrare della crisi finanz.
internazionale – senza un discorso sul reddito in generale la
richiesta di stabilizzazione del lav. può non bastare a risolvere i
problemi che poniamo

Sara –Roma – Ribellule
Allargare il concetto di precarietà – dalla precarietà sul lavoro alla
precarietà di tutte le relazioni sociali – discorso sul legame tra
problema di accesso al reddito e welfare- la famiglia ha puntellato le
carenze strutturali delle politiche sociali –

Proposte: far uscire le “forme di vita” che finora hanno cercato
soluzioni per questo nodo

Serena – Roma – Esc
Necessità di rimettere a tema le trasformazioni radicali che hanno
attraversato il mondo del lavoro ( fa un escursus che include la
fuga dal lav. salariato – il rifiuto del lav anni 70 – la
trasformazione dei servizi e delle politiche sociali – la
salarizzazione del lavoro di cura ( include dis. migranti) –

Proposte: la questione del reddito è centrale – ma dobbiamo fare
attenzione a non fare battaglie di retroguardia – necessità del
confronto con altre realtà che hanno elaborato discorsi sul reddito
garantito.

Miriam – Roma – ex Udi
Testimonianza su atesia e almaviva – analisi sul legame tra famiglia
e politiche sociali – discorso sulla necessità
dell’ assunzione di responsabilità dello Stato e non della famiglia in
questa materia

Luisa – Bologna
Riprende l’analisi sulla femminilizzazione/ precarizzazione del
lavoro – discorso sul ruolo del sindacati confederali = c ‘è un
conflitto di interessi tra loro e i lavoratori
non siamo rappresentate dai sindacati –
testimonianza su alcuni aspetti del lavoro a tempo indeterminato- le
impiegate “pagate per consumare” ( discorso su che cosa a volte
significa “lavorare”)
cosa significa “reddito di esistenza”

Rosa – Milano – donne di sinistra critica – collettivo porta nuova
Analisi del discorso sulla femminilizzazione del lavoro – ma a
partire da quando le donne sono entrate massicciamente nel mercato
del lavoro – include il discorso sulla accezione positiva, nel
recente passato, del termine flessibilità –
Analisi dei discorsi su reddito di
cittadinanza/esistenza/autodeterminazione – pericolo del prospettare
una categoria di persone che vive solo di assistenza –
Analisi del rapporto tra violenza e patriarcato

Proposte: osservatorio autorganizzato via e-mail ( o comunque sulla rete)

Adriana – Trieste
Il paradigma maschile della divisione del lavoro ( che lei ravvisa
negli interventi relativi alle lotte sindacali ) non basta più. Anche
rispetto al discorso del reddito bisogna entrare nei dettagli.
Reddito per le donne – rispetto all’autodeterminazione – significa
innanzitutto avere a disposizione una casa, per es. – A Trieste è in
corso una sperimentazione sul reddito di cittadinanza, ma ne da un
giudizio negativo – testimonianza rispetto alle migranti da lei
conosciute come “cittadine del mondo”

Emma –Milano – circ. femminista donna proletaria
Ha un doc. di proposte che fa girare. Testimonianza rispetto al
licenziamento e alla “rottamazione ” delle donne nel mondo del lavoro
stabile. La discriminazione di genere aumenta con il precariato.
Concorrenza nel mercato del lavoro non facilitata dalla presenza dei
migranti – concorrenza anche come oggetti di politiche sociali (
es. assegnazione di case popolari)

Beatrice –Roma –Amatrix
Discorso sulle proposte

(Qui purtroppo sono dovuta andare in giardino e ho perso gran parte
dell’intervento e anche l’inizio del successivo)

Irene –Roma – cid e comitato 50/50
discorso sulla complessità delle leggi sul lavoro in Italia –
necessità di far agire le leggi sul lavoro già presenti che vengono
disattese –
( da 6 anni si fa ricerca sulla qualità del lavoro) necessità degli
“occhi delle donne” sul mondo del lavoro. Dal punto di vista della
sicurezza sociale siamo equiparati attualmente ai paesi dell’est
( dopo il crollo )

( ho perso l’inizio dell’intervento – so che ha detto delle cose
importanti ma non sono riuscita a trascrivere bene il senso)

Francesca – Roma – Xfoa
Discorso su lavoro pagato e lavoro non pagato – e quanto è pagato (
Il problema di oggi è che i datori di lavoro fanno già a meno di noi –
Il lavoro anche quando garantito non è più in grado di garantire un
reddito) il crollo dell’ideologia del lavoro ( con l’idea della
possibilità di piena occupazione) mostra il suo aspetto positivo – è
inevitabile porsi il problema di reddito –
Rispetto alle proposte:
non bisogna ancora “stringere” ma aprire sulle proposte- iniziare a
discuterne tenendo conto delle elaborazioni formulate anche in altri
ambiti ( misti)

mi fermo qui, ci sono stati alcuni altri interventi – per es. Anna e
Francesca ma non ho appunti chiari
milva

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Contributo da Lavoratrici Autorganizzate Aci Informatica

Come Lavoratrici Autorganizzate Aci Informatica abbiamo partecipato al tavolo 4 sulla precarietà portando l’esperienza del nostro posto di lavoro.

Da più di 30 anni la pratica dell’autorganizzazione ha permeato le nostre lotte e rivendicazioni, portandoci ad ottenere notevoli miglioramenti delle condizioni lavorative: 36 ore settimanali (dal 1976), assunzione obbligatoria a tempo indeterminato etc.

Abbiamo sperimentato di persona la pericolosità di delegare a qualunque soggetto politico (sindacati confederali, partiti politici etc.) le rivendicazioni che riguardano la nostra vita lavorativa.
Questi soggetti che da una parte si riempiono la bocca con le parole ‘precarietà’ e ‘morti sul lavoro’ come se fossero una piaga mandata dal cielo e dall’altra ne sono la causa diretta perché firmano:
– Protocollo sul welfare, che sfonda il limite dei 36 mesi x il contratto a tempo determinato, concordato con la firma di un sindacato (sempre loro!!!!)
– Rinnovo contratto dei metalmeccanici, che aumenta l’orario di lavoro (aumentando il rischio di morti e infortuni sul lavoro) e prevede ‘percorsi di stabilizzazione’ dopo 44 mesi di contratti precari prevedendo anche deroghe e posticipazioni di date (non è detto che si venga assunti a tempo indeterminato)

Proponiamo quindi:
– osservatorio sulla precarietà, reale e non virtuale, per la condivisione delle pratiche di lotta
– rivendicazione del contratto a tempo indeterminato in tutti i posti di lavoro attraverso l’autorganizzazione e il rifiuto di qualunque delega

Francesca e Barbara

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INTERVENTO di Luna e le altre

La scelta di introdurre questo tavolo viene dalla situazione assai significativa che come lesbiche viviamo all’interno del nostro gruppo: pur essendone ormai la parte maggioritaria, abbiamo faticato molto a riconoscerci come gruppo lesbico. La costruzione di questo tavolo e le istanze di riflessione che sono venute dall’assemblea romana ci hanno stimolate a ragionare sulla nostro tardivo autoriconoscimento che abbiamo inteso come storicamente inserito nel “silenzio lesbico”.
Ci siamo anche interrogate sulle caratteristiche di questo nascente movimento, nel quale le lesbiche, per la prima volta, compaiono accanto alle femministe secondo un meccanismo (ancora poco indagato e significato: ecco l’importanza di questo tavolo di riflessione) di nominazione reciproca. Si tratta però soltanto di una nominazione? Quanto c’è di mitologico circa il vissuto lesbico, da parte delle compagne femministe che in questa fase stanno assumendo il lesbismo come categoria politica? Come possiamo sostanziare, per rafforzarlo, questo intreccio? E quali pratiche politiche possono essere messe in atto?

Abbiamo pensato di strutturare questa introduzione ponendo delle domande più che fornendo delle risposte, anche per rendere giustizia del nostro dibattito interno che si è articolato su molti piani e in modo problematico.

1) Definizioni
Patriarcato, eterosistema, eterosessismo.
Tendenzialmente riconosciamo nel patriarcato un ordinamento sociale di cui ci risulta agevole la descrizione e la messa in discussione del suo assetto di funzionamento.
Più sfuggente invece è forse, o semplicemente polimorfa, la definizione che si può dare dell’eterosistema. Attiene sicuramente ai complessi e reiterati dispositivi di costruzione del genere (come costrutto sia sociale che ideologico), ha come finalità la normazione e la codificazione dei generi come l’uno strumentale all’altro. In tal senso l’eterosistema si dà o:
1. come strumento di funzionamento reale del patriarcato che, centrandosi sull’eterosessualità, si costituisce come atto fondativo del capitalismo sancendo come definitiva per altro la divisione tra pubblico e privato. In questa visione l’eterosistema è il primo prodotto del patriarcato, il primo strumento mediante il quale il patriarcato produce e riproduce se stesso.
2. come antecedente formale del patriarcato. In questa visione invece l’eterosistema, cioè la costruzione normata dei generi, e anche dei sessi, è la condizione di possibilità del patriarcato, cioè la messa in atto della prima e fondante oppressione. L’eterosistema, che poggia sullo sfruttamento e l’oppressione delle donne, così inteso sottende qualunque struttura di potere, quindi anche il patriarcato stesso.
In questo quadro, come direbbe Spinelli seguendo Wittig, il contratto eterosessuale è ciò che “impedisce il sorgere di un conflitto di interessi contrastanti tra classi sociali – la classe delle donne dominata e la classe degli uomini dominante -, nascondendo la realtà del dominio nella cortina di fumo della naturale divisione dei sessi.” Data la centralità sociale e economica ascritta al contratto eterosessuale, l’eterosessualità viene presentata e costruita come opzione primaria, corretta, unica. Dal sesso è stato per tanto bandito tutto ciò che eccede dall’imperativo dell’eterosessualità. Questo è ciò che noi chiamiamo eterosessualità indotta o obbligatoria, o meglio regime dell’eterosessualità che agisce delineando e circoscrivndo la “materialità” del sesso materialità che viene ovviamente formata e costruita a partire da quelle norme regolative che sono quelle sancita dall’eterosistema. (j.Butler) L’assetto di questo sistema prende per noi il nome di eterosessismo.

2) Le lesbiche non sono donne. E le femministe?

A partire dalla provocatoria dichiarazione di Monique Wittig molte di noi pongono il loro vissuto di lesbiche fuori dalla categoria socialmente costruita di “donna”. Come gli schiavi che fuggono dallo stato di schiavitù, minandolo alle radici con il loro gesto di sottrazione, così le lesbiche, sottraendosi al regime eterosessuale, allontanandosi definitivamente dalla posizione di dominate, “rendono visibile il carattere impositivo della cosiddetta sessualità naturale” (Spinelli). Questo non significa che sia possibile cancellare la presenza dell’eterosistema dal nostro vissuto, presenza sulla quale siamo state costruite come donne e a partire dalla quale si è strutturato il nostro essere lesbiche. La riappropriazione del termine donna può avvenire attraverso la riappropriazione della categoria di oppressione che a quella parola è legato. Può avvenire cioè a partire dalla coscienza di quella schiavitù, di quella negatività, che va rimessa al centro dell’agire politico.
Certamente è difficile riappropriarsi della parola donna almeno tanto quanto la riappropriazione di definizioni socialmente stigmatizzanti è stato facile per le minoranze sessuali o razziali. Il termine lesbica o queer, piuttosto che nigger in quanto definizioni che eccedono, che sono fuori dall’assetto dato, sono più facilmente rivendicabili in un processo di riappropriazione del proprio vissuto e della propria storia. Il termine donna invece è tutto interno al sistema stesso e rivendicarlo diventa più difficile. Sarà questo il motivo per cui molte compagne, almeno all’interno del percorso romano, preferiscono definirsi femministe piuttosto che donne? E in che modo è possibile per loro una nuova definizione dell’essere donna? In che modo portiamo all’esterno da noi questa contraddizione? Con quali linguaggi?
3) Pratica lesbica e i rischi dell’identitarismo
Diamo per scontato che questo tavolo esiste perché esiste una pratica politica specifica delle lesbiche in Italia. Ma esiste veramente e qual è? Ci sta bene la politica dei diritti portata avanti oggi da alcuni gruppi che rischia di reinserirci forzatamente all’interno di una logica familista? Riusciamo mai a spostare la politica del femminismo verso una prospettiva lesbica? I rischi visibili di questa mancanza di prospettiva sono da un lato l’indifferenziata presenza delle lesbiche all’interno delle battaglie portate avanti dal femminismo. Dall’altro l’identitarismo lesbico e la costruzione di una mitologia dello stesso (solo le lesbiche incarnano la radicalità, solo il percorso lesbico esprime in maniera pura la vera lotta all’eterosistema). Questi sono o potrebbero essere il sintomo di "una malattia minoritaria", l’espressione cioè di una difficoltà interna di costruzione di una soggettività collettiva. Il nostro cammino che comincia come lesbiche dalla constatazione della nostra assenza dal linguaggio, “procede nella consapevolezza che in un mondo in cui non esistiamo dobbiamo essere leggende a noi stesse. Eroiche nelle nostre vite e epiche nei nostri testi” (Wittig). Questo però deve renderci consapevoli del rischio di una sclerotizzazione identitaria, che si tramuta nella messa in atto di una gerarchia a tappe che viene fatta percepire alle altre come unica vera via di liberazione: donna-femminista-lesbica. Va da sé che considerare intellettualmente o ""ideologicamente"" il lesbismo, come mera opzione teorica, l’unica possibilità di liberazione dall’eterosistema, esclude dal piano del discorso e quindi da ogni pratica, il potere complesso e dirompente del desiderio lesbico come desiderio perverso, e la potenza del percorso incarnato nei corpi interno all’esperienza lesbica. La potenza cioè di “una sessualità femminile attiva e autonoma dall’uomo, la rivendicazione e l’espressione di pulsioni erotiche dirette verso le donne, di un desiderio per le donne, che non va confuso con l’identificazione tra donne, ossia la semplice partecipazione a un mondo comune delle donne.” (De Lauretis)
4) Quale possibilità di un’alleanza tra lesbiche e femministe?
Ci siamo interrogate sull’attuale stato di frammentazione dello scenario politico, e sul fatto che forse è proprio a partire da questa frammentazione collettiva che si è concretizzata una possibilità di confronto e alleanza tra lesbiche e femministe.
E’ questa alleanza che ci interessa mettere in discussione e il renderla possibile a partire dal riconoscimento e dall’incontro dei reciproci specifici posizionamenti.
Essere lesbica è per noi il sito di un dislocamento, “l’essere fuori dal sistema che ci mette nella posizione di vedere cose che altrimenti non vedremmo. E’ il soggetto di un conoscere insolito. E’ un soggetto eccentrico al campo sociale costituito in un processo di interpretazione e di lotta, di riscrittura di sé in relazione a un’altra cognizione del sociale, della storia, della cultura.” (De Lauretis)
E’ per noi esistenzialmente una pratica continua che nasce dal nostro corpo, dalla nostra carne e che abbiamo definito “stare in trincea”. Questa percezione dello “stare in trincea”, rispetto al nostro corpo espropriato è stato il primo possibile punto di alleanza da noi rinvenuto.
Abbiamo riscontrato che forse la percezione del corpo come terreno permanente di espropriazione costituisse per le femministe non lesbiche una simile percezione dello “stare in trincea”. Questo a noi sembra delineare un comune e diverso vissuto di lotta e resistenza a una comune e diversa espropriazione del corpo. La base di resistenza e alleanza potrebbe infatti passare attraverso la condivisione di uno dei vissuti più intrinsecamente rivoluzionari del lesbismo: cioè la riappropriazione del "tuo" corpo attraverso il corpo dell’"altra".
Il secondo possibile nesso di allenanza e secondo perché subordinato alla centralità dei nostri corpi e della nostra materialità incarnata, è che sia le femministe che le lesbiche sono soggettività eccentriche che pongono in questo momento storico uno stesso problema: quale possibile comunità è costruibile a partire da quelle specifiche soggettività? Come si costituisce oggi una comunità non identitaria che tenga conto delle differenze, partendo dal fatto che per noi la soggettività di una politica di trasformazione sociale non può essere costituita da colore, genere sessuale, differenza di classe, presi singolarmente, ma da una figura più complessa che senza negare nessuna delle determinazioni e divisioni sociali che la compongono, cerca anzi di nominarle e rivendicarle(Lorde)?

5) Strategie e pratiche di resistenza
Il 24 Novembre con l’assunzione collettiva del tema della violenza degli uomini sulle donne, si è radicalmente messo in discussione il sistema eterosessista basato sulla famiglia. Ma in che modo si sostituisce concretamente il sistema familiare nelle nostre esistenze? Analizzando le nostre pratiche di vita lesbica abbiamo visualizzato come molte di noi tentino la costruzione di “reti lesbiche” che si sostituiscano all’assetto familiare o “omosociale” su cui si regge il patriarcato. Questo tipo di pratica, che in altri paesi, per esempio la Germania, è comune e funzionante sebbene non scontata, in Italia invece spesso naufraga o trova difficile realizzazione. Nell’esperienza di alcune, il tentativo di costituire nuclei di vita resistenti si scontra con la tendenza di molte all’organizzazione della propria esistenza basata sulla relazione di coppia. Non vogliamo in questo modo mettere in discussione la relazione d’amore come fondante del vissuto delle lesbiche, ma porre la questione di un’assunzione collettiva di responsabilità rispetto alle nostre esistenze. Sottrarre le esistenze al controllo e alla funzione della famiglia e della coppia ha per noi un enorme valore politico che ridefinisce e sovverte il quadro della socialità così come è stata fino ad oggi delineata e descrive per tanto un nuovo  spazio pubblico transitato da nuove soggettività che abitano nuove socialità. In questo senso dovremmo interrogarci sul modo di costruire quelli reti che possano non soltanto garantire la cura reciproca (laddove per cura intendiamo il contatto e l’assunzione dell’indigenza, della malattia, della vecchiaia e per fino della morte dell’altra), ma diventare spazi di costruzione di immaginario e pratiche trasformative. La costruzione di questa nuova socialità che spesso per le lesbiche è l’unica garanzia di sopravvivenza, chiama in causa direttamente anche le femministe. Questa potrebbe essere anche per le femministe una strategia valida per mettere realmente in discussione l’ordine familista dell’eterosistema? Il prodursi per altro di una socialità eccentrica comporterebbe un’automatica messa in discussione del sistema del diritto tarato su un assetto duale?

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INTERVENTO DEL GRUPPO “QUELLE CHE NON CI STANNO” AL TAVOLO 1

Relazione del gruppo “Quelle che non ci stanno” – Bologna al Tavolo n°1: Violenza Scambio e condivisione di pratiche e metodologie di intervento per contrastare la violenza maschile, con particolare riguardo alla violenzadomestica. Elaborazione delle femministe e delle lesbiche (centriantiviolenza, collettivi, gruppi, associazioni). Strategie di azione e proposte.

Nel presentare questo tavolo, vogliamo partire da un presupposto fondamentale, che sarà il punto di partenza di tutte le riflessioni per scrivere questo documento, riassunto di tutto il lavoro politico svolto negli ultimi  due anni da “Quelle che non ci stanno” di Bologna.
DI FRONTE ALLA VIOLENZA, NOI DONNE E LESBICHE SIAMO TUTTE UGUALI.

Il documento approfondisce tre temi:
-statistiche e dati sulla violenza e dei relativi processi giudiziari
-valutazioni politiche
-strategie e azioni svolte.

PRESENTAZIONE

Nasciamo nel settembre del 2006 dopo uno stupro subito da Mara, una nostra compagna. Ci siamo unite, singole e collettivi, per la volontà di denunciare i continui attacchi all’autodeterminazione delle donne e delle lesbiche attraverso la violenza maschile. Tutte lavoriamo per denunciare la violenza maschile come questione politica contro la nostra libertà e non come emergenza per legittimare pacchetti sicurezza e leggi contro le/i migranti.
Il nostro percorso è partito da un’esperienza specifica per approfondire una questione che spesso vuole essere relegata alla sfera privata delle donne e delle lesbiche. Sin dall’inizio il nostro obiettivo è stato quello di “nominare correttamente la realtà, passo necessario per leggerla, capirla e agire su di essa”. Secondo questo principio possiamo dire che abbiamo deciso di usare nei nostri documenti sempre la parola violenza maschile sulle donne e sulle lesbiche, perché quando i giornali parlano di “violenza familiare”, “violenza sessuale, coniugale o alle donne” sparisce dall’attenzione di chi legge il soggetto di chi compie l’azione, presentando così il problema come un eufemismo, cioè un problema delle donne che devono apparire sempre vittima con un destino ineluttabile.

STATISTICHE E DATI SULLA VIOLENZA E DEI RELATIVI PROCESSI GIUDIZIARI

Una donna su tre al mondo è vittima di stupri e di violenze per mano maschile. Nei dati ISTAT dell’indagine svolta in Italia nel 2006 si stimano in 7 milioni le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito violenza, fisica o sessuale, nel corso della loro vita, dentro e fuori la famiglia. Il 69% degli stupratori sono partners o ex-partners che agiscono all’interno delle mura domestiche. Solo il 18,8% delle donne è consapevole che ciò che ha subito è una violenza, il 44% lo giudica “qualcosa di sbagliato”, il 36% “qualcosa che è accaduto” e viene registrato come “fatto accidentale o questione personale”.
Ricordiamoci che il 95% delle donne non denuncia e che lo stupro consumato all’interno delle mura domestiche, spesso non individuato come tale, diventa normalità.
Ogni giorno viviamo quella violenza domestica sommersa, che non fa notizia, non vende, viene fuori una volta l’anno quando si avvicina l’8 marzo, con statistiche di tutti i tipi in cui veniamo a sapere che la prima causa di morte per le donne tra i 18 e i 45 anni è la violenza maschile, agita da conoscenti o dalla famiglia stessa.
Quelle donne siamo noi e non solo numeri astratti.
Non abbiamo mai conosciuto donne che non siano mai state vittime di questa violenza dalle tante facce.
Si tratta di dati sconcertanti ma, a questo punto, possiamo affermare che potrebbero realisticamente rappresentare una sottostima della realtà proprio sulla base di quello che abbiamo detto all’inizio e considerando soprattutto che l’ampia base di silenzio, di paura e di normalizzazione non è assolutamente quantificabile.
Inoltre, consideriamo che suddividere la violenza maschile in violenza fisica (percosse) e violenza sessuale rappresenti un’ulteriore riproposizione dello stereotipo dell’aggressione neutra da far confluire nel calderone di un generico comportamento delittuoso. Questo, come abbiamo sperimentato più volte, viene usato e strumentalizzato per avvallare le politiche repressive istituzionali sulla pelle delle donne e delle lesbiche. Emblematici sono gli interrogatori ai quali vengono sottoposte le donne che subiscono una violenza, all’interno dei quali si indaga sulla moralità, sulla vita privata, sulle abitudini sessuali e perfino sulla appartenenza culturale e sociale, per verificarne la credibilità.
La violenza contro le donne e lesbiche è una questione politica e storica, che è iniziata quando le comunità matriarcali sono state distrutte e i nostri corpi da “sacri” sono diventati merce, oggetti-incubatori-contenitori, carne da macello.
La violenza sulle donne è agita continuamente e cruentemente, non passa giorno in cui non veniamo a conoscenza di tentati stupri, stupri, stupri di branco, stupri di branco di minorenni, bambine stuprate, stupri di lesbiche, fidanzati che picchiano e poi uccidono. Ogni giorno quelle donne e lesbiche siamo noi, non solo nomi astratti scritti sui giornali.
Riconosciamo che la violenza rimane la pratica impunita, con cui i maschi riaffermano il dominio dell’uomo sulla donna, l’assoggettamento del suo corpo e della sua volontà. Questo dominio, ribadiamo, sostiene l’ordine patriarcale.
Non capiamo come mai uno stupro di branco ad una minorenne viene “risarcito “ con 3000 euro e una donna che uccide il marito violento con 30 anni di carcere. Ricordiamo come il sindaco di Montalto di Castro ho usato soldi pubblici per la difesa legale del branco di 8 stupratori che hanno violentato una loro coetanea.
Vogliamo denunciare l’omertà e il sostegno pubblico di mogli e amici degli stupratori, la loro solidarietà e plauso, li abbiamo visti sotto il tribunale, insultarci, prendere in giro le nostre pratiche di autodifesa, minacciarci pesantemente. Non stanno anche loro incitando allo stupro?

VALUTAZIONI POLITICHE

Denunciamo la costante e  ripetuta indifferenza delle persone, che di fronte ad una donna che cerca di scappare dal suo aggressore, non è capace neanche di aprire un portone, o intervenire, in un qualsiasi modo. Questa è la normalizzazione della violenza.
Denunciamo la costante complicità dei maschi con gli stupratori, che fanno finta di non aver visto niente o pensano che sia normale prendere una donna con la forza, o incitano allo stupro facendo branco. Questo è sessismo, che uccide le donne e lesbiche tutti i giorni, in tutte le parti del mondo, soprattutto le più povere.
Denunciamo il tentativo di orientare la paura della violenza in maniera strumentale contro i “diversi”, gli immigrati, cercando di farci dimenticare che la maggior parte delle violenze avvengono tra le mura domestiche. Lo stupratore non è un “mostro”, un deviante, un malato, ma è un uomo qualunque, di tutte le etnie, di qualunque classe sociale e culturale. L’unico tratto comune fra tutti: il genere maschile
Vediamo che la violenza non è nel “degrado”, nelle strade buie, nei quartieri poveri, o nelle periferie cittadine, è nelle menti dei “signori” uomini, a volte come un’ossessione, ma soprattutto un modo di vita normale, una pratica, un’ideologia, caratterizzata dalla volontà di ridurre la donna a oggetto.
Denunciamo come tutte le donne e lesbiche del mondo vivano nella paura, la paura del passo dell’uomo, in tutti i luoghi, frequentati o meno, di giorno o di notte, la paura della presenza maschile alle proprie spalle. La nostra reazione è diversa se alle nostre spalle sentiamo un passo di donna. Questa paura è reale, non è irrazionale, non è follia, e ci accomuna tutte, questo è terrorismo.
Sin dall’inizio siamo state tutte d’accordo nel denunciare la violenza contro le donne e le lesbiche con il nome di terrorismo, proprio per la strategia sistematica usata per mantenere le donne subordinate agli uomini: lo stupro punisce le donne che hanno osato al di là dei ruoli assegnati loro. E’ per questo insieme ai numeri ufficiali di denuncia che chiamiamo la strage di omicidi o repressioni nei confronti delle donne “femminicidio”: donne uccise perché donne, uccise perché esistono nella loro identità di donne.  
Denunciamo il “terrorismo sessuale-culturale”  agito da giornalisti che continuano a scrivere articoli in cui raccontano in mille modi le attenuanti per gli stupratori, colpevolizzando la donna vittima, magari di aver avuto comportamenti provocanti, o di non avere detto un no comprensibile. Quando no vuol dire no. Oppure che si dilungano in accurate descrizioni pornografiche delle violenze con linguaggi sempre più sessisti. Ci siamo imbattute a Bologna in un caso grave di “colpevolizzazione” della vittima da parte degli stupratori, ma quel che è più grave dalla stampa. Negli articoli tra le righe si leggeva che lo stupro questa donna in qualche modo era andato a cercarselo sperimentando un sesso non canonico. Attribuire la responsabilità dell’accaduto a chi subisce “rappresenta un meccanismo potente di disimpegno morale”. Oppure attribuire la causa dello stupro alle condizione economiche o culturali dello stupratore tende a giustificare e a esonerarlo dalla gravità del fatto, difendendo e sollevando da ogni responsabilità l’intero gruppo dominante degli uomini, in quanto coloro che compiono lo stupro.
Denunciamo la lesbofobia, un’ulteriore faccia della violenza. Attraverso leggi, religioni, tradizioni e pregiudizi l’eteronormatività pretende ancora di imporre alle donne un unico destino: quello di mogli e madri prolifiche all’interno della famiglia patriarcale, dove la donna non può e non deve avere una esistenza e una sessualità autonome. La lesbica è il no all’eterosessualità obbligatoria sottraendosi a questa norma. Come diceva Adrienne Rich: “L’esistenza lesbica comporta la caduta di un tabù che è il rifiuto di un sistema di vita obbligato, significa anche un attacco diretto o indiretto al diritto maschile di accesso alle donne”.Riteniamo che la lesbofobia cresce anche quando un certo femminismo istituzionalizzato ritiene che non sia fondamentale nominare la parola lesbica o definirsi tali oltre a donne, di fatto cancellandone la visibilità. Alimentata anche dalle femministe istituzionalizzate e no che agiscono persuase che sia inopportuno utilizzare il termine lesbica perchè deterrente verso l’avvicinamento di altre donne,  dimostrando quindi di ignorare  radicalmente  il valore politico della visibilità.
Come lesbiche quindi veniamo aggredite, insultate, stuprate, e ammazzate, sia da maschi singoli che da maschi organizzati (Forza Nuova in Italia, ad esempio, e fascisti vari). Ricordiamo per tutte, per non dimenticare e rimanere sempre vigili le une con le altre, Fanny Ann Eddy, attivista lesbica fondatrice della  ‘Sierra Leone Lesbian and Gay Association’, stuprata e ammazzata nella sua abitazione, Wanda Alston, collaboratrice del sindaco di Washington per la comunità lgbt, attivista lesbica nera, ammazzata anche lei nella sua abitazione, Teena Brandon stuprata e ammazzata perché sembrava un ragazzo, invece era lesbica (da una ricerca di Fuoricampo Lesbian Group).
Denunciamo la repressione palese delle forze dell’ordine agita in tutti i presidi e uscite pubbliche, presenza fissa dei soliti 4 digossini, con donne sbirre che cercano di riportarci all’ordine, al silenzio, alla ragionevolezza. Tentativi costanti di identificare compagne, ad esempio per aver cancellato la scritta puttana dal muro, o per aver bloccato per pochi minuti una strada, dove il giorno prima c’era stato uno stupro. Oppure per aver disturbato la quiete pubblica, avendo urlato troppo forte i nostri slogan. Oppure volanti della polizia che stanno per due ore attaccate al culo delle compagne in presidio, con il motore della machina acceso. Oppure vari tipi di fermi, sempre a scopo identificativo, la notte, all’uscita delle riunioni. Oppure le solite telecamere  fisse e registrazioni audio. Questi “signori” non stanno mantenendo l’ordine pubblico, ma agiscono da gendarmi armati del patriarcato, praticando per di più apologia e incitazione di stupro e violenza, quando cercano di farci stare zitte. Per non dire poi dei vari casi in cui loro stessi sono stati torturatori e stupratori di noi donne. La repressione non è una fatalità. Serve a giustificare e difendere l’eterosessismo e la sua cultura dello stupro, a rafforzare il suo potere sulle donne e lesbiche, a isolarci le une con le altre, a ridurci al silenzio. Non cadiamo in questo antico meccanismo di potere che ci vuole dividere, perché come abbiamo detto all’inizio, di fronte alla violenza siamo tutte uguali.

STRATEGIE E PRATICHE

Con questa analisi vogliamo denunciare lo stupro perché questo non venga considerato più come normale e naturale, ma come pratica violenta fisicamente, verbalmente e nel linguaggio dei media, con la quale gli uomini vorrebbero produrre l’annientamento della donna, rendendo invisibile ogni sua forma di azione.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo deciso come pratica di denuncia la presenza pubblica per mezzo del presidio e la diffusione dei nostri volantini in ogni luogo dove è avvenuto lo stupro, e soprattutto la denuncia pubblica, nei rari casi in cui si sa, proprio sotto casa degli stupratori.
Nostro obiettivo con questa pratica è quello di dimostrare solidarietà alle donne che hanno subito lo stupro e di comunicare alle donne che è possibile non sentirsi sole. La denuncia di chi subisce e la presenza di donne a sostenerle è un’arma da usare contro la violenza maschile; la denuncia in piazza dello stupratore deve essere un monito di condanna per lui e per chi lo sostiene ufficialmente o ufficiosamente attraverso la complicità maschile. Importante per noi è infatti la presenza con presidi sotto i tribunali durante alcuni processi per stupro o in alcuni luoghi dove sappiamo esserci alcuni di coloro che hanno sostenuto e difeso gli stupratori. Pensiamo che questo appoggio sia indispensabile per le donne che subiscono lo stupro perché spesso devono affrontare la solitudine del dopo.
Un altro obiettivo che ci diamo è quello di dare forza e un segnale alle donne affinché da una parte trovino il coraggio di denunciare gli abusi delle violenze, dall’altra pensino che è possibile ribellarsi con ogni mezzo che si possiede. Inoltre è importante dare attenzione alle donne, per strada, a casa, al lavoro, ovunque, in ogni momento per non lasciare spazio di agire alla violenza di un uomo. Alcune del nostro gruppo infatti organizzano gruppi di autodifesa con la pratica del wendo. L’autodifesa è un’arma. Da soggetto debole da difendere possiamo pensare di saper reagire, perchè ci permette di avere fiducia in noi stesse.
Siamo separatiste. Il nostro obiettivo è arrivare alle donne, attraverso le donne (solidarietà tra donne), affinché esse stesse possano trovare la forza per farsi rispettare. Per noi non sono le luci in più per strada, non sono i taxi o gli autobus rosa a risolvere il problema della violenza. I dati dicono che le violenze avvengono nella stragrande maggioranza nelle famiglie o comunque per mano di conoscenti. Allora è importante non spostare l’asse dell’attenzione per creare all’occorrenza  mostri di turno e ribadire che la vera questione è il fatto che per i maschi il problema è il nostro essere donne e sempre più “emancipate”, che scegliamo, che ci ribelliamo. Solo attraverso la denuncia e la solidarietà tra donne è possibile smascherare la strategia della violenza maschile e dei suoi complici. Inoltre per noi è importante sostenere i finanziamenti di quelle associazioni di donne che agiscono sul territorio (Centri antiviolenza).
Tra le nostre strategie è fondamentale avere più spazi per il confronto  e per la socialità di donne e lesbiche. Avere luoghi per le donne e per le lesbiche, vuole dire dare punti di riferimento a tutte quelle donne che devono affrontare la guerra in casa, nel momento in cui l’emergenza violenza non sarà più importante per i giornali o per le campagne elettorali.

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Tra la festa il rito e il silenzio… scegliamo la lotta!


Foto di Luisa Di Gaetano

 Il 23 e 24 febbraio in più di 400, femministe e lesbiche, ci siamo
incontrate a Roma per dare un seguito al percorso nazionale iniziato con la
manifestazione del 24 novembre contro la violenza maschile sulle donne.
Due giorni in cui i nostri desideri, le nostre differenze e le nostre idee
ed
elaborazioni politiche si sono incontrate per dare sostanza
all’affermazione della nostra autodeterminazione.
Abbiamo discusso insieme delle strategie di resistenza e trasformazione del
mondo che abitiamo e delle pratiche che intendiamo agire per fermare la
violenza maschile che si manifesta in varie forme: quella che avviene in
famiglia, quella delle istituzioni e delle leggi che espropriano e
controllano i nostri corpi, del sistema economico che precarizza le nostre
esistenze, della cultura e della formazione che ci educa alla passività e
alla subalternità, dell’eterosistema che costringe i nostri desideri e
le nostre relazioni all’interno del modello unico
dell’eterosessualità.

Abbiamo discusso di spazio pubblico, della sua presunta neutralità e della
necessità di riappropriarci di tutti gli spazi con la nostra pratica
collettiva e autodeterminata.
Abbiamo parlato dell’accesso e della riappropriazione da parte delle
donne delle tecnologia e dei mezzi di comunicazione, tramite l’utilizzo
del free-software.
Abbiamo parlato di razzismo, cercando di partire da noi per esplorare la
complessità del rapporto con l’altra, anche alla luce dei nostri
privilegi, sottolineando che non possiamo dirci autodeterminate se a tutte,
e quindi anche alle donne migranti, non vengono garantiti quei diritti che
rivendichiamo e riteniamo minimi per la nostra esistenza.

Il sommovimento femminista e lesbico ha espresso la necessità di altri
momenti di confronto e discussione, nonchè di proseguire il percorso
comune facendo vivere le nostre elaborazioni negli prossimi
appuntamenti che verranno costruiti:

•    un presidio il 4 marzo sotto il Tribunale di Bologna per un processo
per stupro;
•    un presidio il 5 marzo sotto la sede della Corte di cassazione a Roma
per solidarietà alle donne che hanno denunciato per stupro un medico
anestesista;
•    presidio il 18 marzo a Perugia, sotto il tribunale dove si terrà
l’udienza preliminare per l’uccisione di Barbara Cicioni da parte del
marito;
•    una manifestazione nazionale a maggio in una città del sud contro
la violenza maschile nelle sue varie forme;
•    due giorni di discussione nazionale forse nel mese di giugno;
•    una campagna nazionale per l’autodeterminazione e la libertà delle
donne e delle lesbiche che si articolerà attraverso le proposte discusse
dai vari gruppi  tematici
e l’assemblea ha accolto la campagna

"Obiettiamo gli obiettori"
, che ogni territorio sceglierà poi di
articolare eventualmente come vuole. 

•    un 8 marzo autorganizzato da femministe e lesbiche a livello
territoriale che rilanci la lotta per l’autodeterminazione,
manifestando con lo striscione comune:

Esprimiamo un forte e chiaro no alla strumentalizzazione a fini elettorali dell’8 marzo da parte di cgil cisl e uil, organizzazioni che sostengono politiche familiste e di controllo sui corpi e a cui non deleghiamo l’espressione del nostro pensiero e delle nostre pratiche politiche.

Assemblea nazionale di femministe e lesbiche

Roma, 24 febbraio 2008 

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Per leggere in breve L’ELENCO DELLE PROPOSTE emerse dalla due giorni CLICCA QUI

Per leggere le RELAZIONI FINALI DEI TAVOLI CLICCA QUI

Per consultare i MATERIALI CONDIVISI PER I TAVOLI CLICCA QUI 

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rel/AZIONI finali dai tavoli FLAT

tavolo 1: VIOLENZA

tavolo 2: AUTODETERMINAZIONE

tavolo 3: COMUNICAZIONE

tavolo 4: PRECARIETA’

tavolo 5: SESSISMO

tavolo 6: PRATICHE E PROSPETTIVE

tavolo 7: FEMMINISMO E SPAZIO PUBBLICO

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