INTERVENTO DEL GRUPPO “QUELLE CHE NON CI STANNO” AL TAVOLO 1

Relazione del gruppo “Quelle che non ci stanno” – Bologna al Tavolo n°1: Violenza Scambio e condivisione di pratiche e metodologie di intervento per contrastare la violenza maschile, con particolare riguardo alla violenzadomestica. Elaborazione delle femministe e delle lesbiche (centriantiviolenza, collettivi, gruppi, associazioni). Strategie di azione e proposte.

Nel presentare questo tavolo, vogliamo partire da un presupposto fondamentale, che sarà il punto di partenza di tutte le riflessioni per scrivere questo documento, riassunto di tutto il lavoro politico svolto negli ultimi  due anni da “Quelle che non ci stanno” di Bologna.
DI FRONTE ALLA VIOLENZA, NOI DONNE E LESBICHE SIAMO TUTTE UGUALI.

Il documento approfondisce tre temi:
-statistiche e dati sulla violenza e dei relativi processi giudiziari
-valutazioni politiche
-strategie e azioni svolte.

PRESENTAZIONE

Nasciamo nel settembre del 2006 dopo uno stupro subito da Mara, una nostra compagna. Ci siamo unite, singole e collettivi, per la volontà di denunciare i continui attacchi all’autodeterminazione delle donne e delle lesbiche attraverso la violenza maschile. Tutte lavoriamo per denunciare la violenza maschile come questione politica contro la nostra libertà e non come emergenza per legittimare pacchetti sicurezza e leggi contro le/i migranti.
Il nostro percorso è partito da un’esperienza specifica per approfondire una questione che spesso vuole essere relegata alla sfera privata delle donne e delle lesbiche. Sin dall’inizio il nostro obiettivo è stato quello di “nominare correttamente la realtà, passo necessario per leggerla, capirla e agire su di essa”. Secondo questo principio possiamo dire che abbiamo deciso di usare nei nostri documenti sempre la parola violenza maschile sulle donne e sulle lesbiche, perché quando i giornali parlano di “violenza familiare”, “violenza sessuale, coniugale o alle donne” sparisce dall’attenzione di chi legge il soggetto di chi compie l’azione, presentando così il problema come un eufemismo, cioè un problema delle donne che devono apparire sempre vittima con un destino ineluttabile.

STATISTICHE E DATI SULLA VIOLENZA E DEI RELATIVI PROCESSI GIUDIZIARI

Una donna su tre al mondo è vittima di stupri e di violenze per mano maschile. Nei dati ISTAT dell’indagine svolta in Italia nel 2006 si stimano in 7 milioni le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito violenza, fisica o sessuale, nel corso della loro vita, dentro e fuori la famiglia. Il 69% degli stupratori sono partners o ex-partners che agiscono all’interno delle mura domestiche. Solo il 18,8% delle donne è consapevole che ciò che ha subito è una violenza, il 44% lo giudica “qualcosa di sbagliato”, il 36% “qualcosa che è accaduto” e viene registrato come “fatto accidentale o questione personale”.
Ricordiamoci che il 95% delle donne non denuncia e che lo stupro consumato all’interno delle mura domestiche, spesso non individuato come tale, diventa normalità.
Ogni giorno viviamo quella violenza domestica sommersa, che non fa notizia, non vende, viene fuori una volta l’anno quando si avvicina l’8 marzo, con statistiche di tutti i tipi in cui veniamo a sapere che la prima causa di morte per le donne tra i 18 e i 45 anni è la violenza maschile, agita da conoscenti o dalla famiglia stessa.
Quelle donne siamo noi e non solo numeri astratti.
Non abbiamo mai conosciuto donne che non siano mai state vittime di questa violenza dalle tante facce.
Si tratta di dati sconcertanti ma, a questo punto, possiamo affermare che potrebbero realisticamente rappresentare una sottostima della realtà proprio sulla base di quello che abbiamo detto all’inizio e considerando soprattutto che l’ampia base di silenzio, di paura e di normalizzazione non è assolutamente quantificabile.
Inoltre, consideriamo che suddividere la violenza maschile in violenza fisica (percosse) e violenza sessuale rappresenti un’ulteriore riproposizione dello stereotipo dell’aggressione neutra da far confluire nel calderone di un generico comportamento delittuoso. Questo, come abbiamo sperimentato più volte, viene usato e strumentalizzato per avvallare le politiche repressive istituzionali sulla pelle delle donne e delle lesbiche. Emblematici sono gli interrogatori ai quali vengono sottoposte le donne che subiscono una violenza, all’interno dei quali si indaga sulla moralità, sulla vita privata, sulle abitudini sessuali e perfino sulla appartenenza culturale e sociale, per verificarne la credibilità.
La violenza contro le donne e lesbiche è una questione politica e storica, che è iniziata quando le comunità matriarcali sono state distrutte e i nostri corpi da “sacri” sono diventati merce, oggetti-incubatori-contenitori, carne da macello.
La violenza sulle donne è agita continuamente e cruentemente, non passa giorno in cui non veniamo a conoscenza di tentati stupri, stupri, stupri di branco, stupri di branco di minorenni, bambine stuprate, stupri di lesbiche, fidanzati che picchiano e poi uccidono. Ogni giorno quelle donne e lesbiche siamo noi, non solo nomi astratti scritti sui giornali.
Riconosciamo che la violenza rimane la pratica impunita, con cui i maschi riaffermano il dominio dell’uomo sulla donna, l’assoggettamento del suo corpo e della sua volontà. Questo dominio, ribadiamo, sostiene l’ordine patriarcale.
Non capiamo come mai uno stupro di branco ad una minorenne viene “risarcito “ con 3000 euro e una donna che uccide il marito violento con 30 anni di carcere. Ricordiamo come il sindaco di Montalto di Castro ho usato soldi pubblici per la difesa legale del branco di 8 stupratori che hanno violentato una loro coetanea.
Vogliamo denunciare l’omertà e il sostegno pubblico di mogli e amici degli stupratori, la loro solidarietà e plauso, li abbiamo visti sotto il tribunale, insultarci, prendere in giro le nostre pratiche di autodifesa, minacciarci pesantemente. Non stanno anche loro incitando allo stupro?

VALUTAZIONI POLITICHE

Denunciamo la costante e  ripetuta indifferenza delle persone, che di fronte ad una donna che cerca di scappare dal suo aggressore, non è capace neanche di aprire un portone, o intervenire, in un qualsiasi modo. Questa è la normalizzazione della violenza.
Denunciamo la costante complicità dei maschi con gli stupratori, che fanno finta di non aver visto niente o pensano che sia normale prendere una donna con la forza, o incitano allo stupro facendo branco. Questo è sessismo, che uccide le donne e lesbiche tutti i giorni, in tutte le parti del mondo, soprattutto le più povere.
Denunciamo il tentativo di orientare la paura della violenza in maniera strumentale contro i “diversi”, gli immigrati, cercando di farci dimenticare che la maggior parte delle violenze avvengono tra le mura domestiche. Lo stupratore non è un “mostro”, un deviante, un malato, ma è un uomo qualunque, di tutte le etnie, di qualunque classe sociale e culturale. L’unico tratto comune fra tutti: il genere maschile
Vediamo che la violenza non è nel “degrado”, nelle strade buie, nei quartieri poveri, o nelle periferie cittadine, è nelle menti dei “signori” uomini, a volte come un’ossessione, ma soprattutto un modo di vita normale, una pratica, un’ideologia, caratterizzata dalla volontà di ridurre la donna a oggetto.
Denunciamo come tutte le donne e lesbiche del mondo vivano nella paura, la paura del passo dell’uomo, in tutti i luoghi, frequentati o meno, di giorno o di notte, la paura della presenza maschile alle proprie spalle. La nostra reazione è diversa se alle nostre spalle sentiamo un passo di donna. Questa paura è reale, non è irrazionale, non è follia, e ci accomuna tutte, questo è terrorismo.
Sin dall’inizio siamo state tutte d’accordo nel denunciare la violenza contro le donne e le lesbiche con il nome di terrorismo, proprio per la strategia sistematica usata per mantenere le donne subordinate agli uomini: lo stupro punisce le donne che hanno osato al di là dei ruoli assegnati loro. E’ per questo insieme ai numeri ufficiali di denuncia che chiamiamo la strage di omicidi o repressioni nei confronti delle donne “femminicidio”: donne uccise perché donne, uccise perché esistono nella loro identità di donne.  
Denunciamo il “terrorismo sessuale-culturale”  agito da giornalisti che continuano a scrivere articoli in cui raccontano in mille modi le attenuanti per gli stupratori, colpevolizzando la donna vittima, magari di aver avuto comportamenti provocanti, o di non avere detto un no comprensibile. Quando no vuol dire no. Oppure che si dilungano in accurate descrizioni pornografiche delle violenze con linguaggi sempre più sessisti. Ci siamo imbattute a Bologna in un caso grave di “colpevolizzazione” della vittima da parte degli stupratori, ma quel che è più grave dalla stampa. Negli articoli tra le righe si leggeva che lo stupro questa donna in qualche modo era andato a cercarselo sperimentando un sesso non canonico. Attribuire la responsabilità dell’accaduto a chi subisce “rappresenta un meccanismo potente di disimpegno morale”. Oppure attribuire la causa dello stupro alle condizione economiche o culturali dello stupratore tende a giustificare e a esonerarlo dalla gravità del fatto, difendendo e sollevando da ogni responsabilità l’intero gruppo dominante degli uomini, in quanto coloro che compiono lo stupro.
Denunciamo la lesbofobia, un’ulteriore faccia della violenza. Attraverso leggi, religioni, tradizioni e pregiudizi l’eteronormatività pretende ancora di imporre alle donne un unico destino: quello di mogli e madri prolifiche all’interno della famiglia patriarcale, dove la donna non può e non deve avere una esistenza e una sessualità autonome. La lesbica è il no all’eterosessualità obbligatoria sottraendosi a questa norma. Come diceva Adrienne Rich: “L’esistenza lesbica comporta la caduta di un tabù che è il rifiuto di un sistema di vita obbligato, significa anche un attacco diretto o indiretto al diritto maschile di accesso alle donne”.Riteniamo che la lesbofobia cresce anche quando un certo femminismo istituzionalizzato ritiene che non sia fondamentale nominare la parola lesbica o definirsi tali oltre a donne, di fatto cancellandone la visibilità. Alimentata anche dalle femministe istituzionalizzate e no che agiscono persuase che sia inopportuno utilizzare il termine lesbica perchè deterrente verso l’avvicinamento di altre donne,  dimostrando quindi di ignorare  radicalmente  il valore politico della visibilità.
Come lesbiche quindi veniamo aggredite, insultate, stuprate, e ammazzate, sia da maschi singoli che da maschi organizzati (Forza Nuova in Italia, ad esempio, e fascisti vari). Ricordiamo per tutte, per non dimenticare e rimanere sempre vigili le une con le altre, Fanny Ann Eddy, attivista lesbica fondatrice della  ‘Sierra Leone Lesbian and Gay Association’, stuprata e ammazzata nella sua abitazione, Wanda Alston, collaboratrice del sindaco di Washington per la comunità lgbt, attivista lesbica nera, ammazzata anche lei nella sua abitazione, Teena Brandon stuprata e ammazzata perché sembrava un ragazzo, invece era lesbica (da una ricerca di Fuoricampo Lesbian Group).
Denunciamo la repressione palese delle forze dell’ordine agita in tutti i presidi e uscite pubbliche, presenza fissa dei soliti 4 digossini, con donne sbirre che cercano di riportarci all’ordine, al silenzio, alla ragionevolezza. Tentativi costanti di identificare compagne, ad esempio per aver cancellato la scritta puttana dal muro, o per aver bloccato per pochi minuti una strada, dove il giorno prima c’era stato uno stupro. Oppure per aver disturbato la quiete pubblica, avendo urlato troppo forte i nostri slogan. Oppure volanti della polizia che stanno per due ore attaccate al culo delle compagne in presidio, con il motore della machina acceso. Oppure vari tipi di fermi, sempre a scopo identificativo, la notte, all’uscita delle riunioni. Oppure le solite telecamere  fisse e registrazioni audio. Questi “signori” non stanno mantenendo l’ordine pubblico, ma agiscono da gendarmi armati del patriarcato, praticando per di più apologia e incitazione di stupro e violenza, quando cercano di farci stare zitte. Per non dire poi dei vari casi in cui loro stessi sono stati torturatori e stupratori di noi donne. La repressione non è una fatalità. Serve a giustificare e difendere l’eterosessismo e la sua cultura dello stupro, a rafforzare il suo potere sulle donne e lesbiche, a isolarci le une con le altre, a ridurci al silenzio. Non cadiamo in questo antico meccanismo di potere che ci vuole dividere, perché come abbiamo detto all’inizio, di fronte alla violenza siamo tutte uguali.

STRATEGIE E PRATICHE

Con questa analisi vogliamo denunciare lo stupro perché questo non venga considerato più come normale e naturale, ma come pratica violenta fisicamente, verbalmente e nel linguaggio dei media, con la quale gli uomini vorrebbero produrre l’annientamento della donna, rendendo invisibile ogni sua forma di azione.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo deciso come pratica di denuncia la presenza pubblica per mezzo del presidio e la diffusione dei nostri volantini in ogni luogo dove è avvenuto lo stupro, e soprattutto la denuncia pubblica, nei rari casi in cui si sa, proprio sotto casa degli stupratori.
Nostro obiettivo con questa pratica è quello di dimostrare solidarietà alle donne che hanno subito lo stupro e di comunicare alle donne che è possibile non sentirsi sole. La denuncia di chi subisce e la presenza di donne a sostenerle è un’arma da usare contro la violenza maschile; la denuncia in piazza dello stupratore deve essere un monito di condanna per lui e per chi lo sostiene ufficialmente o ufficiosamente attraverso la complicità maschile. Importante per noi è infatti la presenza con presidi sotto i tribunali durante alcuni processi per stupro o in alcuni luoghi dove sappiamo esserci alcuni di coloro che hanno sostenuto e difeso gli stupratori. Pensiamo che questo appoggio sia indispensabile per le donne che subiscono lo stupro perché spesso devono affrontare la solitudine del dopo.
Un altro obiettivo che ci diamo è quello di dare forza e un segnale alle donne affinché da una parte trovino il coraggio di denunciare gli abusi delle violenze, dall’altra pensino che è possibile ribellarsi con ogni mezzo che si possiede. Inoltre è importante dare attenzione alle donne, per strada, a casa, al lavoro, ovunque, in ogni momento per non lasciare spazio di agire alla violenza di un uomo. Alcune del nostro gruppo infatti organizzano gruppi di autodifesa con la pratica del wendo. L’autodifesa è un’arma. Da soggetto debole da difendere possiamo pensare di saper reagire, perchè ci permette di avere fiducia in noi stesse.
Siamo separatiste. Il nostro obiettivo è arrivare alle donne, attraverso le donne (solidarietà tra donne), affinché esse stesse possano trovare la forza per farsi rispettare. Per noi non sono le luci in più per strada, non sono i taxi o gli autobus rosa a risolvere il problema della violenza. I dati dicono che le violenze avvengono nella stragrande maggioranza nelle famiglie o comunque per mano di conoscenti. Allora è importante non spostare l’asse dell’attenzione per creare all’occorrenza  mostri di turno e ribadire che la vera questione è il fatto che per i maschi il problema è il nostro essere donne e sempre più “emancipate”, che scegliamo, che ci ribelliamo. Solo attraverso la denuncia e la solidarietà tra donne è possibile smascherare la strategia della violenza maschile e dei suoi complici. Inoltre per noi è importante sostenere i finanziamenti di quelle associazioni di donne che agiscono sul territorio (Centri antiviolenza).
Tra le nostre strategie è fondamentale avere più spazi per il confronto  e per la socialità di donne e lesbiche. Avere luoghi per le donne e per le lesbiche, vuole dire dare punti di riferimento a tutte quelle donne che devono affrontare la guerra in casa, nel momento in cui l’emergenza violenza non sarà più importante per i giornali o per le campagne elettorali.

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