tavolo 8: RAZZISMO

L’esito incerto della costituzione di un tavolo sul razzismo , ha poi avuto una buona riuscita, sicuramente come input per un confronto che speriamo  possa essere trasversale  alle tematiche analizzate dai gruppi di lavoro
Questa due giorni nasce dalla grande manifestazione del 24.11 contro la violenza maschile sulle donne che si è distinta per una forte connotazione antistituzionale, antifamilista, antisecuritaria e antirazzista. Rifiutando le strumentalizzazioni in chiave securitaria della violenza contro le donne abbiamo inserito nell’agenda politica il nesso sessismo/razzismo.
La proposta quindi del tavolo sul razzismo è nata quindi dalla  constatazione di alcune compagne di torino e di bologna secondo la quale ‘ far ricadere nell’invisibilità tutto questo sarebbe un passo indietro’
La difficoltà data  dall’interrogativo se era opportuno un tavolo su questo tema ,  considerata la assenza delle donne migranti  , e quindi al rischio di parlare in loro nome o sovradeterminarle è stato emblematico, comunque,  del desiderio di confrontarci con un tema che non possiamo piu’ ignorare.
Sciolto il nodo iniziale  nel senso di iniziare a  partire da noi ed esaminare il nostro rapporto con le donne migranti alla luce del nostro modo di relazionarci a loro ( la pratica femminista ci insegna che bisogna partire da se’ e che è la modalità di relazione che  è centrale,),  abbiamo iniziato quindi  a ragionare sul termine razzismo.
Pur riconoscendo che il termine razza non ha nessuna connotazione biologica , ma che è frutto invece di una costruzione culturale che si interseca nella stratificazione dei rapporti di potere; abbiamo scollegato inizialmente il termine razzismo da immigrazione riconoscendolo come un rapporto sociale, politico ed economico  di sfruttamento e dominazione di un gruppo su un altro. Riconoscendo che il razzismo non nasce con l’emigrazione degli ultimi anni ,( l’italia ha un passato come nazione colonizzatrice su cui  la comunità eritrea si sta interrogando a Roma ultimamente)  e non riguarda solo i migranti, ma è interno ad ogni polarità che implica l’alterità ,( si è razzisti verso quelli del sud al nord, verso gli anziani da parte dei giovani , verso gli omosessuali , etc..  ci siamo chieste se esistevano piu’ razzismi. Le posizioni su questo non  sono state concordi.
Abbiamo pero’ riconosciuto che già nel linguaggio agiamo un razzismo inconsapevole, usando le e spressioni Noi /Loro.
Riconoscendo la valenza performativa del linguaggio, non ci siamo sottratte dalla critica ad una cultura eurocentrica che caratterizza la cultura dell’emancipazione delle donne.
Soltando partendo da noi , dalle nostre incongruenze culturali , frutto di una cultura che esprime una violenza epistemica possiamo poi cambiare la politica all’esterno.
La critica al razzismo non puo’ prescindere dal riconoscere il nostro passato coloniale, e questo ci spinge verso una rimozione che seppur inconsapevole ci blocca in una  relazione con le migranti  improntata all’aiuto e alla sovradeterminazione  .
I Black studies e gli studi postcolonial ci rimandano l’implosione del soggetto unitario del femminismo : le donne.
Là dove il soggetto del femminismo bianco è autocentrato sulla propria  condizione particolare ( donna occidentale, classe media , eterosessuale) condizione che tende ad universalizzare , i black studies ci rimandano un  nostro limite interno che ignora altri assi di differenziazione.
Il partire da noi ha messo in luce la nostra posizione di privilegio che non significa necessariamente complicità, ma non possiamo comunque  nasconderci che la ‘bianchezza è privilegio’.
L’analisi del privilegio che è sociale economico e politico  ci ha fatto poi discutere su un’altra serie di contraddizioni a catena , prima fra tutte la strutturazione dello spazio pubblico.
La prima asimmetria che abbiamo riconosciuto è proprio questo, uno scarso accesso alla spazio pubblico, quale luogo in cui essere visibili e autodeterminarsi che alle donne migranti è negato perché è negato l’accesso ai diritti di cittadinanza.
Un concetto di cittadinanza che è escludente poiché rappresenta lo spazio entro il quale e solo entro il quale  puoi essere riconosciuta come soggetto di diritti.
Abbiamo poi discusso sul lavoro di cura , che viene sempre piu’ appaltato alle donne migranti e che ci pone un interrogativo in quanto donne e femministe .
Il nostro interrogativo è : come possiamo pensare che la nostra libertà di tempo e di spazio venga garantita affidando ad altre donne un lavoro tradizionale di cura ?  quanto una risposta individuale e di privilegio a dei bisogni collettivi e non collettivizzati,  che lo stato pubblico e il wellfare non garantiscono, perpetua uno stato di sfruttamento che abbiamo tentato di allontanare da noi?
Questo ci ha fatto pensare che il lavoro di cura affidato alle ‘’badanti ‘’migranti costruisce una relazione perversa , come la modalità stessa di cura affidata tradizionalmente alle donne.
Non è razzismo spostare su altre diverse da noi per condizione economica e provenienza geografica quello che storicamente è stato considerato mancipio femminile?
Con la Lonzi concordiamo ‘ solo se cogli la forma che la violenza assume sulla tua vita  , puoi coglierla nella vita delle altre’.
Allora che tipo di relazione riusciamo costruire con le donne migranti?Riconoscere le sfiga delle altre per accontentarci di cio’ che abbiamo noi? No.
Autorappresentarci come un soggetto di conoscenza che costruendo ‘l’altra (le donne del mondo)come essere inferiore , bisognosa del tuo aiuto, perpetuando la missione civilizzatrice del colonialismo bianco? No.
Per costruire una relazione paritaria ed arricchente abbiamo pensato che l’unica via sia trovare delle similitudini, dei tratti comuni che nel rispetto delle singole differenze  ci permetta l’incontro e lo scambio .
La nostra critica e autocritica al razzismo inconsapevole non ha potuto prescindere dal lanciare uno sguardo critico sull’eredità dell’imperialismo e dell’eurocentrismo  di cui siamo figlie involontarie, e che continua definire rapporti di potere asimmetrici e gerarchie di rilevanze nei rapporti politici tra donne.Se il corpo politico al centro delle nostre pratiche rimane indiscutibilmente bianco, non possiamo esimerci dal problematizzare questo.
E il nostro privilegio non puo’ essere complicità nel limite alla autoderminazione delle donne tutte.
L’autodeterminazione infatti non prescinde da un contesto che non riconosce esistenza legale ( possesso di documenti, libretto sanitario etc ) ad alcune donne , ed impone una condizione di ricatto e di precarietà socioeconomica a molte altre .
Fin qui la fotografia del nostro interrogarci.
Per dare continuità a questo sforzo abbiamo ipotizzato delle azioni:
1.     In qualsiasi mobilitazione vanno  tenuti presente i limiti che all’autoderminazione hanno le donne migranti .
2.    Proponiamo pratiche di interculturalità ,contrapposte alla multiculturalità che a volte altro non è che un patto tra patriarcati. dove  il termine ‘’inter =tra’’ rimanda ad una relazione tra pari , l’interculturalità è quindi uno spazio terzo , un prodotto altro.
3.    Siamo poi contro ogni forma di nazionalismo foriero di una identità esclusiva che non puo’ non toccare l’ autoderminazione delle donne, perchè tutti i nazionalismi .e le guerre ricadono sul corpo delle donne (stupri in ex yugoslavia, il burqa in afganistan dopo l’11 settembre, l’assedio israeliano in Palestina etc.. )
4.    La trasversalità del tema del razzismo e del lesbismo  dovrebbero diventare  temi centrali del pensiero femminista su cui non possiamo smettere di interrogarci .

Abbiamo  quindi sentito il bisogno di continuare ad elaborare i numerosi input che questo incontro ha generato e pensiamo quindi di continuare la riflessione via web.

Posted in relazioni finali FLAT | Comments Off on tavolo 8: RAZZISMO

tavolo 7: FEMMINISMO E SPAZIO PUBBLICO

 

FEMMINISMO E SPAZIO PUBBLICO :  LA CRITICA FEMMINISTA DELLA POLITICA.


Dal tavolo 7 non è emersa ( e non poteva emergere) altra decisione che quella di continuare a discutere, facendo un saggio uso del BLOG e prevedendo prossimi incontri in cui il confronto possa ulteriormente avanzare.
Si condivide l’opinione che il tema messo all’ordine del giorno è complesso, registra pareri diversi e viene espresso in linguaggi e codici specifici. Una fase di reciproco ascolto è perciò necessaria non per risolvere le divergenze, ma per metterne a fuoco la vera natura e i significati. E cercare poi un terreno comune di iniziative e di pratiche su cui poter convivere, malgrado le diversità.
Nei primi interventi è stato precisato e circoscritto l’oggetto proposto all’attenzione delle compagne. L’oggetto NON è il rapporto tra indefiniti spazi femminili e istituzioni (assemblee elettive, apparati di Stato, partiti ecc.). Non si nega che questo problema esiste e si ammette che non si può rimuoverlo, ignorando la sua presenza incombente e le contraddizioni con cui deve fare i conti ogni donna che voglia portare la battaglia femminista al loro interno.
Tuttavia il problema che si desidera mettere all’ordine del giorno è l’AUTORGANIZZAZIONE (o autocostruzione, come qualcuna preferisce chiamarla). E’ a questa autorganizzazione che spetterebbe il compito di occupare di nuovo lo SPAZIO PUBBLICO e diventare luogo di deliberazione capace di mutare lo stato delle cose presente.
Negli anni Settanta la costruzione di momenti collettivi, caratterizzata da una forte indipendenza psicologica e intellettuale e dal superamento della dicotomia personale-politico, consentì al femminismo di fare irruzione nello spazio pubblico, di imporsi alla politica e di mutare il senso comune. Oggi il contesto e profondamente mutato e, anche se resta valida la lezione dell’autocoscienza, cambiano i modi con cui quella lezione potrebbe essere applicata.
La formula “spazio pubblico” è stata anche contestata per la sua neutralità in una fase della storia in cui istituzioni e partiti vivono il loro momento di maggiore discredito ed è possibile avvicinare altre donne solo con modi radicalmente diversi da quelli in cui esse identificano la politica.
Negli anni Settanta – è stato detto – lo spazio pubblico era attraversato dai movimenti, che lo rendevano permeabile alla trasformazione ; è evidente invece che la realtà è adesso assai mutata. In questa realtà si tratta forse piuttosto di costruire uno SPAZIO COLLETTIVO in cui sia possibile individuare e praticare strategie di resistenza.
QUESTE LE DUE POSIZIONI. Indagheremo poi quale rapporto sia possibile ipotizzare tra spazio pubblico e spazi collettivi e se davvero sui tratti di due concetti alternativi  
L’esigenza di ricominciare a discutere, il proposito di continuare a confrontarsi sul più lungo periodo non cancellano l’altra esigenza, cioè quella di RISPONDERE TEMPESTIVAMENTE ALL’EMERGENZA DI ATTACCHI BRUTALI, CHE TUTTE SIAMO DECISE A NON TOLLERARE. Ma proprio perché non vogliamo costruire un femminismo emergenziale e desideriamo dare continuità alle nostre relazioni, comprendersi diventa indispensabile.
La possibilità di costruire una forte soggettività femminista e lesbica sembra oggi diventare più concreta, dopo la manifestazione del 24 novembre. Quella manifestazione ha segnato una ripresa di temi e di pratiche che sono state degli anni Settanta: il ritorno del conflitto uomo-donna e quindi le pratiche proprie della conflittualità. Il corpo e la sessualità tornano a essere la posta in gioco di un più ampio conflitto politico e culturale di cui soprattutto le donne e le comunità lesbiche, gay e trans sono costrette e reggere l’impatto.
Non è possibile riferire, nemmeno sinteticamente, la VARIETA’ dei punti di vista e delle esperienze che si sono confrontate nella discussione del tavolo. Minimo comune denominatore di posizioni diverse, e non tutte reciprocamente decodificate, la convinzione che al femminismo tocchi assumersi  INEDITE RESPONSABILITA’ di fronte alla cosiddetta crisi della politica e alla progressiva perdita di senso della nozione stessa di sinistra.

Posted in relazioni finali FLAT | Comments Off on tavolo 7: FEMMINISMO E SPAZIO PUBBLICO

tavolo 6: PRATICHE E PROSPETTIVE

Il tavolo 6 è partito da una relazione introduttiva di Luna e le altre che si interrogava sul nascente movimento femminista nel quale le lesbiche compaiono accanto alle femministe secondo un meccanismo di nominazione reciproca.
Abbiamo rilevato – e ci sembra importante sottolinearlo – che il tavolo ha visto l’importante partecipazione di alcune compagne femministe non lesbiche ma in gran maggioranza era composto da lesbiche.
Il tavolo 6 si è interrogato quindi su come rafforzare l’intreccio tra femministe e lesbiche e quali pratiche comuni mettere in atto.
Siamo partite nella riflessione dalla provocatoria dichiarazione di Monique Wittig: “Le lesbiche non sono donne. Non è più donna chi non è in relazione di dipendenza da un uomo”.
Da qui l’autonominazione come lesbiche piuttosto che come donne. Ma a questo va aggiunto che molte compagne eterosessuali hanno contestato l’uso della parole donne per nominarsi e hanno assunto l’autodefinizione di femministe che è una scelta politica mentre il termine donna è tutto interno al sistema e rivendicarlo diventa difficile.
Nel porre la discussione su quali pratiche scegliere, abbiamo analizzato il pericolo che può correre il movimento lesbico di cadere in pratiche identitarie – contro le quali è fondamentale un’alleanza con le femministe – o nella costruzione di una mitologia della scelta lesbica secondo la quale la scelta lesbica sarebbe la posizione radicale per eccellenza. Invece noi vogliamo un’alleanza tra femministe e lesbiche che non preveda né tolleranza né mitologie.

Il percorso del 24 novembre ha collettivizzato il rifiuto del vittimismo: abbiamo scelto insieme di ribaltare il vittimismo e di parlare della nostra forza, delle nostre energie da liberare.
Parlando di percorsi politici, il punto comune su cui ci siamo subito ritrovate è la critica alla famiglia e la lotta contro il familismo in quanto la famiglia è alla base del patriarcato e il luogo dove comincia e viene commesso il maggior numero di violenze sulle donne. Abbiamo visto come oggi la critica alla famiglia e al paradigma familista è divenuto ancora più necessaria perché la precarietà economica, imposta dal sistema neoliberista, ci risospinge tutte là dentro a causa della mancanza di garanzie sociali. La precarizzazione ci risospinge nella famiglia e nella scelta della vita in coppia sia per motivi di sopravvivenza economica sia per la sottrazione di tempi dell’esistenza che sono il tempo della socializzazione, quindi delle relazioni tra femministe e lesbiche.
Abbiamo anche analizzato come in questi anni anche il movimento LGBT ha contribuito a rinforzare la retorica della famiglia così come parallelamente le politiche delle pari opportunità, assunte da gran parte del movimento delle donne, hanno minato la radicalità del discorso femminista.
Il fulcro della nostra analisi è stato la forte connessione non solo tra patriarcato e famiglia ma anche tra famiglia e eterosessualità obbligatoria, un sistema che preferiamo definire eterosessista oltre che patriarcale per la necessità di sottolineare che alla base dell’oppressione delle donne c’è la centralità sociale ed economica del contratto eterosessuale, infatti l’eterosessualità viene costruita e presentata come opzione primaria, giusta, unica e naturale. Dal sesso è stato per questo bandito tutto ciò che esce dall’imperativo dell’eterosessualità. Questo è ciò che chiamiamo eterosessualità indotta o obbligatoria o meglio regime dell’eterosessualità. Alcune di noi in questo discorso hanno sottolineato tra le alternative all’eterosistema la fluidità delle scelte sessuali.
Detto tutto ciò, abbiamo convenuto sul fatto che una lotta autentica contro il familismo significa lottare contro l’eterosistema. Per questo chiediamo a tutte un’assunzione collettiva di responsabilità rispetto alla produzione culturale anche nella direzione di esplicitare l’esistenza di altre forme di desiderio e sessualità fuori dalla norma eterosessuale, nella prospettiva di un’educazione non solo non sessista ma non eterosessista e in questo ci rivolgiamo esplicitamente alle compagne del tavolo 5 e nella prospettiva dell’assunzione della pratica dell’autoproduzione culturale. Più in generale chiediamo un’assunzione dello specifico punto di vista lesbico e delle istanze delle lesbiche da parte delle femministe.
Un punto strettamente legato alla lotta contro il familismo e l’eterosessismo è risultato essere la critica alla maternità obbligatoria e l’attenzione al rischio del controllo sui corpi delle donne e delle lesbiche attraverso le biotecnologie.  Riteniamo che la critica alla maternità obbligatoria sia il terreno per rispondere, senza farci ricacciare in lotte di retroguardia, alla legge 40 e agli attacchi all’autodeterminazione delle donne condotti attraverso la rimessa in discussione della legge 194. Parallelamente è stato sottolineato come forme di lotta individuale contro il familismo eterossessista siano anche le diverse forme di genitorialità ricercate da alcune.
Nella discussione sulla famiglia abbiamo anche analizzato criticamente la centralità che spesso ha la coppia nelle nostre esistenza lesbiche, convenendo anche però di non voler riproporre un nuovo dualismo tra coppia e comunità, tra vita basata sulla coppia e invece vita basata sulla comunità, sottolineando come, crescendo in una società oppressiva, sviluppiamo bisogni profondi a cui  possono dare risposte sia la coppia che la comunità e quindi il discorso rimane aperto, senza lasciarci intimorire dalle contraddizioni che portiamo avanti nelle nostre esistenze.
Abbiamo cercato di individuare forme di resistenza collettiva, nella prospettiva di passare dalla resistenza alla liberazione, che rafforzino le esistenze individuali, evidenziando l’importanza di cercare percorsi politici che rendano più forti i percorsi personali. Alcune compagne non lesbiche hanno esplicitato come le femministe che lottano contro la famiglia e che nei loro percorsi personali si pongono come soggetti eccentrici si trovano nella stessa situazione delle lesbiche sia nel rapporto di oppressione, pregno di contraddizioni, con la famiglia d’origine sia nella necessità e nel desiderio di relazioni di cura, solidarietà e piacere da istaurare tra femministe e lesbiche.
Scegliamo quindi di sviluppare e porre al centro la pratica di relazioni privilegiate tra femministe e lesbiche, pratiche che sono di resistenza e di sopravvivenza, sottolineando la necessità di costruire comunità di differenti, usando le parole di Lorde, e di creare spazi femministi e lesbici. La base di resistenza e alleanza potrebbe passare attraverso la condivisione di uno dei vissuti più intrinsecamente rivoluzionari del lesbismo: cioè la riappropriazione del “tuo” corpo attraverso il corpo dell’”altra”. Rispetto agli spazi è stata ricordata la difficoltà non solo di creare spazi femministi e lesbici ma anche di mantenere aperti quelli esistenti, spesso vessati dalle difficoltà economiche. In questo discorso è stata denunciata in specifico la difficoltà di mantenere aperti gli spazi separatisti femministi e lesbici, per cui chiediamo a tutte un riconoscimento e quindi un sostegno alla pratica separatista anche da parte delle femministe e lesbiche che non assumono questa pratica.
Un ultimo punto fondamentale emerso dalla discussione è stato evidenziare come la cultura  dello stupro sia uno strumento di controllo dell’eteropatriarcato, una forma di appropriazione del corpo, il corpo di ciascuna di noi che è campo di battaglia, ma nello specifico è una forma di appropriazione del corpo delle donne e di riappropriazione del corpo lesbico: vogliamo porre all’attenzione che spesso le lesbiche vengono stuprate in quanto tali tanto che spesso gli stupri di lesbiche vengono perpetrati vicino a luoghi di socialità lesbica o in conseguenza della visibilità politica delle lesbiche.

Infine il tavolo 6 chiede all’assemblea una presa di posizione pubblica che dica un forte e chiaro NO alla strumentalizzazione a fini elettorali dell’8 marzo di CGIL CISL UIL, ricordando anche la diretta responsabilità della CISL di Pezzotta nella costruzione del family day.

Posted in relazioni finali FLAT | Comments Off on tavolo 6: PRATICHE E PROSPETTIVE

tavolo 5:SESSISMO

QUALI POSSIBILITA’ PER UNA CULTURA NON SESSISTA

Il nostro punto di partenza è stato affermare che la scuola, dell’obbligo e facoltativa, così come l’università, non è il solo luogo di formazione dell’individuo, ma ne rappresenta una parte non trascurabile e perciò si è resa necessaria e fondamentale l’analisi critica della sua struttura considerando una prospettiva di genere.
Consideriamo la scuola ancora un’istituzione totale, una caserma, uno spazio in cui i rapporti tra due tipologie di soggetti, gli insegnanti e le studentesse/i, così come tutti i rapporti all’interno del sistema scuola, sono improntati all’autoritarismo e non all’autorevolezza: autoritarismo aumentato a causa dell’ autonomia scolastica e dalla sempre più dura condizione di precarietà nel lavoro.
Si impone così un’assenza di relazioni costruttive tra insegnanti e studenti, in particolare alle superiori e all’università, rispetto alle modalità di trasmissione del sapere e ai suoi contenuti.
Inoltre non si dà alcuno spazio a studenti e studentesse di decidere nulla del loro percorso scolastico.
Analizzando in particolare le problematiche di genere sottolineiamo che IL CORPO è IL GRANDE ASSENTE della scuola italiana, per cui è necessario recuperare un sapere incarnato e sessuato che però non riproponga i modelli tradizionali previsti per la donna (modelli che rappresentano la donna  come cristallizzata nei ruoli di colei che cura e/o colei che seduce).
 Per ‘corpo assente’ intendiamo:
1-    la costruzione di un sapere falsamente neutro e disincarnato dai soggetti che l’hanno prodotto o che lo producono ( sono insufficientemente analizzati e poco approfonditi tutti gli elementi che condizionano la produzione dei saperi, come sesso, genere, classe di appartenenza, cultura di provenienza…)
2-    che il corpo non viene preso in considerazione nei processi educativi e di formazione (espressione corporea, manualità, fisicità, movimento e sessualità non entrano generalmente in nessun percorso didattico). Inoltre l’annullamento del corpo aumenta col progredire dei gradi dell’istruzione.
3-    l’enorme produzione di sapere elaborata con una prospettiva di genere da parte del femminismo non è entrata, se non in forme minime ed inadeguate, nei programmi scolastici e nelle pratiche di insegnamento, nonostante il corpo insegnante sia composto prevalentemente da donne. Anche i tentativi istituzionali (Progetto Polite, raccomandazioni nazionali e internazionali sull’uso non sessista della lingua, etc.) non hanno dato risultati. In questo rinveniamo una precisa responsabilità delle istituzioni che rispecchiano e intendono mantenere e riprodurre il modello della società patriarcale.

Nonostante ciò la scuola pubblica rimane per noi uno dei luoghi deputati alla costruzione del sapere e perciò è necessario proporre metodologie altre per decostruire modelli e per formare soggettività critiche e capaci di scegliere e di assumere la responsabilità delle proprie scelte.

Ci sembra perciò importante proporre:
–    la creazione di una rete di femministe e lesbiche operanti nel settore della formazione e dell’educazione per condividere proposte,  progetti, idee, materiali ed esperienze.
–    data l’inadeguatezza dei libri di testo rispetto alle problematiche di genere, proponiamo l’utilizzo di un blog e la creazione di un dossier (da distribuire fuori dalle scuole, ai corsi di aggiornamento e alle SIS) in cui vengano individuate ed analizzate, da parte di insegnanti e studentesse/i insieme,  omissioni e mistificazioni presenti nei libri di testo e nei materiali didattici; per quanto riguarda gli asili il blog e il dossier potrebbero affrontare i significati dei giochi, delle favole e dei colori.
–    creare gruppi o associazioni di femministe e lesbiche che progettino laboratori di genere da realizzare con bambine/i e ragazze/i nelle scuole o in altri contesti, i quali siano focalizzati  sul lavoro sul corpo, sulla relazione, la fisicità, la sessualità.
–    proporre che l’insegnamento dell’educazione sessuale comprenda tutti i tipi di orientamento sessuale, e che quindi non trasmetta solamente la prospettiva eterosessuale, in tutti gradi di formazione, dall’asilo alle scuole superiori.
–    prevedere dei corsi di pedagogia della differenza in tutti i luoghi di formazione, soprattutto in quelli dei futuri insegnanti (es SIS e corsi di aggiornamento).

E’ stata creata una mail ( culturanonsessista@autistiche.org ) con una password comune ( tavolo5 ) aperta a tutte coloro che vorranno condividere idee e sviluppi di queste proposte.

Posted in relazioni finali FLAT | Comments Off on tavolo 5:SESSISMO

tavolo 4: PRECARIETA’ E LAVORO

Siamo partite dalla riflessione sul rapporto tra produzione e riproduzione e dalle prospettive di lotta proposte nel documento introduttivo.
Ci siamo trovate d’accordo nel sostenere che la precarietà coincida con un processo di femminilizzazione del lavoro: l’elemento di analisi comune è stato che la condizione tipica delle donne (in termini di orario, reperibilità, ricorso alle capacità relazionali, ect) si estende a tutte le forme di lavoro; è quindi in atto un processo di “parità inversa” nel quale sono gli uomini a acquisire le condizioni di precarietà delle donne.
Accanto a coloro che pensano che ciò abbia determinato una tendenziale “caduta dei confini dei generi” , si sono susseguiti vari interventi che hanno testimoniato le persistenti discriminazioni contro le donne e le lesbiche sia nel lavoro che nella rappresentanza sindacale, anche nei luoghi di lavoro a prevalenza femminile. È stata evidenziata inoltre l’assenza nell’immaginario collettivo dell’eccedenza delle donne nella condizione di precarietà e della complessità esistenziale delle donne (es. la richiesta di assumere contemporaneamente molti più ruoli rispetto al passato).
Per queste ragioni riteniamo necessario che le donne producano conflitto in piena autonomia e in modo autorganizzato, dal momento che i sindacati e i partiti hanno dimostrato di non essere soggetti cui delegare le nostre rivendicazioni entro e oltre il lavoro.
Alcune poi avvertono l’esigenza di trovare il modo di convertire in possibili vie di fuga dai modelli precostituiti dalla società gli spazi aperti dalla precarizzazione: i risvolti positivi, evidenziati da qualcuna, della flessibilità come scelta sono però completamente vanificati oggi dall’insufficienza di retribuzioni e di politiche sociali che rendono impossibile autogestire tempi e modi di vita e di lavoro, finendo per coinvolgere l’intera esistenza. In particolare la rivendicazione della stabilizzazione, che pure da diritti e garanzie irrinunciabili (es. malattia, ferie e maternità), alla luce delle basse retribuzioni anche del lavoro a tempo indeterminato, non risolve il problema della precarietà di vita e di lavoro.
Ciò ci espone a varie forme di violenza diretta (es. il ricatto, anche sessuale) e indiretta (stress psicofisico e danni alla salute).
Il filo della violenza unisce anche il lavoro di cura e sessuale. È pressoché unanime la constatazione della permanenza del suo esclusivo carico sulle spalle delle donne, e in particolare in Italia, lasciando immutata la necessità di agire un rinnovato conflitto tra i sessi.
Anche l’affidamento del lavoro di cura alle donne migranti, oltre a essere simbolo della interconnessione tra sessismo e razzismo, rappresenta un’ulteriore conferma che il lavoro di cura resta appannaggio delle donne.
Questa asimmetria è resa ancora più grave da politiche sociali considerate da tutte inadeguate per il loro fondamentale impianto familista e eterosessista. La famiglia è stata nominata come luogo di violenza e oppressione.
Per lottare per un’autonomia e un’indipendenza economica dalla famiglia e per non essere costrette a accettare qualsiasi lavoro e qualunque condizione di lavoro, abbiamo ragionato sulla rivendicazione di un reddito di esistenza, proposta su cui si sono raccolti molti, non tutti, i consensi.
 Il tavolo sulla precarietà propone quindi all’assemblea di
1. di continuare a ragionare insieme della proposta di un reddito di esistenza
2. di mettere in piedi un laboratorio di autonarrazione, anche su blog, che possa essere uno strumento di un osservatorio sul nostro lavoro, che ci aiuti a comprendere la natura sociale delle difficoltà che individualmente incontriamo nel lavoro.

Posted in relazioni finali FLAT | 2 Comments

tavolo 3: COMUNICAZIONE

Come prima cosa vorremmo raccontarvi brevemente chi eravamo e quali sono state le nostre modalità di relazione dovendo appunto parlare di comunicazione. Eravamo circa 35 donne, di varia provenienza geografica, età e percorsi politici e abbiamo condiviso un tavolo che prevedeva sia un momento di discussione e scambio di idee, a partire dalla intro fatta dal gruppo Feramenta, sia un workshop nel quale Femminismo a Sud ha spiegato la costruzione/uso/funzionamento di una mailing list e di un blog.  Dall’inizio è emerso che il titolo scelto per il tavolo “ Media, linguaggi ed immaginari. Strategie e pratiche di autorappresentazione e riappropriazione dei mezzi di comunicazione e dei linguaggi” aveva sollecitato aspettative diverse, alcune donne credevano fosse un momento di riflessione maggiormente centrato sulla rappresentazione/autorappresentazione delle donne nei media. Ed è stato altrettanto evidente da subito il diverso approccio legato anche alla differenza generazionale. Piccole difficoltà che si sono risolte in una chiara volontà di restare e confrontarsi, con serenità e senza sottrarsi al riconoscimento dei differenti percorsi di singole e collettivi, che come è stato da subito rilevato sono anche differenti modi di intendere parole, linguaggi ed immaginari. Al gruppo hanno partecipato diverse donne che lavorano in radio, web tv, giornali o comunque nel vasto mondo della comunicazione.   Veniamo ai contenuti. L’introduzione di Feramenta è stata chiara e puntuale nel ricostruire i passaggi più importanti, anche delle teorie cyborfemministe, rispetto all’uso delle nuove tecnologie nella comunicazione. Parlando di queste non si poteva non nominare e riflettere sul gender divide, che fa sì che all’interno del più generale digital divide che riguarda il mondo intero, le donne come spesso accade sono quelle maggiormente penalizzate nell’accesso alle tecnologie. Anche dove c’è maggiore consapevolezza, come potrebbe essere il caso del movimento di femministe e lesbiche di cui siamo parte, si riscontra ancora un accesso/uso delle nuove tecnologie di comunicazione poco utilizzato e poco conosciuto. Forse c’è anche poca curiosità o una leggera inibizione. Questo non significa che email e blog siano l’unico luogo di incontro per noi, ma servono inevitabilmente per essere in relazione tra un incontro e l’altro, in cui fisicamente ci si riconosce tra corpi. Feramenta ha sottolineato la necessità di rompere con gli stereotipi – che vorrebbero le donne incapaci di intendere e volere le nuove tecnologie – dare spazio alla curiosità e alla sperimentazione così da riappropriarsi dei mezzi di comunicazione. Tutto questo in un ottica di free software e piattaforme libere che ci sono e vanno maggiormente sviluppate. Anche perché come ha ricordato Femminismo a Sud in molti casi le comunità che hanno inventato i nuovi codici o sistemi operativi (Linux) sono comunità maschili che per quanto aperte risentono di qualche eco della cultura patriarcale. Come femministe possiamo pensare di intervenire anche su questo e soprattutto abbiamo diritto di sapere e conoscere i funzionamenti delle nuove tecnologie per poterle a nostra volta trasmettere, avendo come fine una conoscenza condivisa e partecipata. Tuttavia, dobbiamo fare i conti con la reale possibilità di accesso e utilizzo delle nuove tecnologie da parte di tutte noi, quindi è necessario anche capire come creare una rete di saperi e di strumenti che siano davvero efficaci.  Ad esempio, se scegliamo il blog come mezzo per fare rete nella Rete, dobbiamo chiederci in che modo e se funziona. Più interventi hanno sottolineato il rischio dell’autoreferenzialità. Per scongiurarla, e per dirla con le perfette parole di Giorgiana è necessario “moltiplicare i centri di trasmissione e creare un meccanismo virale e propulsivo” che tradotto significa lavorare affinchè il nostro modo di comunicare si diffonda come un virus così da entrare anche nei meccanismi dei media mainstream, non per cambiarli ma per non esserne schiacciate. Il ragionamento sui media mainstream e indipendenti si è intrecciato anche con il rapporto che si può avere con le istituzioni: questa parte del dibattito ha ovviamente espresso posizioni differenti. C’è chi ritiene importante capire quale può essere la comunicazione femminista che metta in relazione politica e movimento per condizionare le scelte politiche, chi ritiene che questo non ci riguardi o comunque non è interessata ad agire su questo livello del discorso politico, e altre hanno ricordato che per alcune di noi, come chi lavora nei centri antiviolenza, la comunicazione con le istituzioni è ineludibile e necessaria per ottenere spazi e risorse. Non c’è stato poi il tempo di parlare di come la violenza, che si era detto tema trasversale a tutti i tavoli, entri nella comunicazione e nei media, ma era sottointeso che la violenza investe anche i linguaggi e gli immaginari che ci vengono veicolati.  Quindi volendo tirare le fila, da un lato abbiamo evidenziato alcuni punti che restano critici e hanno bisogno di essere problematizzati maggiormente, dall’altro avremmo delle proposte pratiche da suggerire all’assemblea: PUNTI CRITICI
in che modo questo percorso nato dal 24 novembre in poi si debba rapportare con i media tutti; come superare, a partire da noi, il gender divide per un maggiore accesso ai mezzi di informazione, soprattutto quelli autoprodotti; come raggiungere le donne che per diversi motivi non hanno accesso alla Rete; come trasformare linguaggi e immaginari, a partire anche qui da noi, per dirla con una battuta: okkio ai prossimi comunicati, spesso siamo incomprensibili anche a noi stesse 🙂
 PROPOSTE
creare un gruppo di comunicazione permanente che metta insieme saperi, materiali e risorse e che sia aperto non solo a chi lo fa di professione ma anche a chi rientra nel circuito comunicativo in maniera informale. Con onestà ci siamo dette che è necessario farlo dandosi però tempo, viste le vite precarie di tutte noi; mettere in campo tutte le forme possibili di comunicazione svincolate dai media ufficiali quando vogliamo essere/agire nello spazio pubblico; usare consapevolmente gli strumenti collettivi e qui veniamo alla netiquette
 Come gruppo comunicazione abbiamo ragionato su quali sono stati gli errori maggiori nella comunicazione dal 12 gennaio in poi attraverso l’uso della mailing list Sommosse e il blog Flat. Abbiamo indubbiamente condiviso la gestione della comunicazione rispetto alla precedente esperienza del sito controviolenza, però non possiamo non vedere gli errori fatti. Se volessimo riassumere il tutto in una espressione dovremmo dire che abbiamo assistito ad una incapacità di ascolto reciproco, ma pensiamo sia importante entrare nel dettaglio di alcune cose che NON SI DEVONO FARE:
La mailing list era stata creata (ed era stato detto) per discutere dei tavoli, non dell’universo mondo – autopresentazioni comprese. Le mailing list funzionano normalmente così quindi si chiede una maggiore attenzione al contesto; È risultato abbastanza palese che nessuna leggeva le altre mail; In molti casi si è intasata la mail delle altre con contenuti totalmente inutili oltre che inopportune, tipo mangio bevo il caffè etc. Per questo era stato più volte dato un altro indirizzo e quello andava usato, non quello della mailing list che automaticamente arriva a tutte; Incapacità di autodeterminarsi e di essere autonome rispetto al mezzo. Non siamo state capaci di autogestirci: scrivere cancellatemi significa delegare ad altre qualcosa che chiunque può fare da sola; Alcune piccole regole dette più volte sono state completamente disattese, tipo cambiare l’oggetto della mail se si cambiava contenuto; La mailing esige sintesi, non si possono leggere tesi di laurea e in più è necessario fare un po’ di pulizia, quando si risponde in lista si deve nella propria email cancellare i contenuti precedenti, mantenendo solo le citazioni necessarie al ragionamento in corso; Se in un mese intervengono 25 volte solo le stesse poche persone, significa poi che in una assemblea virtuale di 300 persone non c’è reale partecipazione, è mancanza di rispetto e tende ad escludere anzichè includere;  Ricordarsi che nello scrivere una mail gli umori non sono immediatamente traducibili, l’ironia per esempio sfugge e allora sforzarsi magari di essere più comprensibili
 LA CONCLUSIONE è che se non lo avete ancora fatto leggetevi la Netiquette che è stata diffusa in rete e per chi fosse interessata a saperne di più o volesse aprire un blog e diventare un altro centro di trasmissione, a breve Femminismo a sud metterà a disposizione i materiali del workshop   

Posted in relazioni finali FLAT | 1 Comment

tavolo 2: AUTODETERMINAZIONE

L’unica a decidere è la donna

Il tavolo due sull’autodeterminazione ha visto la partecipazione di moltissime donne e lesbiche, circa ottanta, arrivate da diverse città italiane e di diverse generazioni ma purtroppo senza la partecipazione delle migranti.
La discussione è stata molto appassionata, partecipata, ma anche variegata e  ha posto la necessità di rilanciare l’approfondimento sui temi toccati e sul linguaggio che usiamo.
E’ anche questo un modo per scegliere un nostro terreno di riflessione e di conflitto che non sia una mera risposta all’attacco che viene messo in atto nei confronti della libertà e dell’autodeterminazione delle donne. E’ infatti necessità comune continuare nel percorso iniziato dopo il 24 novembre e andare avanti dopo queste due giornate.

Stiamo assistendo a un grave attacco nei confronti della libertà e dell’autodeterminazione delle donne che non riguarda solo il tema della libertà di scelta nella procreazione, ma è un attacco complessivo che tenta di normare il nostro corpo, il nostro orientamento sessuale, i nostri stili di vita, le forme della nostra relazione e la possibilità di muoverci oltre i confini c.d. nazionali.
Questa attacco oggi passa attraverso la messa in discussione della libertà di interrompere una gravidanza, non solo tramite una interpretazione restrittiva e arbitraria della 194 che, essendo una legge di compromesso, offre la sponda a chi ci vuole impedire di decidere sul nostro corpo, ma attraverso un uso strumentale della scienza e dell’autorità medico-scientifica, attraverso la costruzione di un immaginario che vede il “concepito” come autonomo dal corpo della donna e attraverso la colpevolizzazione delle scelte delle donne.
La legge 40 sancisce (per legge) lo statuto giuridico dell’embrione creando un precedente per questa dicotomia. Ma questa legge è parte di un paradigma più ampio delle politiche di controllo sui nostri corpi, imponendo una norma eterosessuale e un modello unico di maternità (all’interno di una coppia stabile eterosessuale).
Nel confronto è emersa anche la necessità di riprendere il discorso sulla sessualità, rimettendo al centro il nostro piacere fuori dai modelli maschili imposti.
Quello che ci unisce è la possibilità di un lavoro politico che si tenga su molteplici livelli, complementari tra di loro. Da una parte tenere fermo il timone sulla nostra libertà in ogni ambito della nostra vita proseguendo la decostruzione dei modelli imposti e l’elaborazione di un “pensiero altro”, anche dal punto di vista generazionale. Dall’altra  difendere e rilanciare quotidianamente i diritti che erano dati per acquisiti e che oggi  sono fortemente erosi.
Questo significa contrastare l’obiezione di coscienza e garantire la possibilità concreta di accedere all’interruzione di gravidanza per tutte in tutta Italia, rendere disponibile la RU 486 e la pillola del giorno dopo senza prescrizione medica.

Vi proponiamo:

–    Una campagna ad ampio raggio sull’autodeterminazione e la libertà delle donne e delle lesbiche che riesca a parlare con tutte le altre donne. Il punto centrale è la mobilitazione diffusa e di piazza nelle forme autonome e autorappresentate, che il movimento ha sperimentato con forza e radicalità nella manifestazione del 24 novembre e nelle tappe successive.

 
Inoltre sono emerse nel corso della discussione alcune proposte concrete:

–    Campagna di obiezione agli obiettori.
–    Denuncia delle farmacie e dei pronto soccorsi che non forniscono la pillola del giorno dopo.
–    Azioni giudiziarie (legali?) per mancata prestazione sanitaria.
–    Difesa e riappropriazione degli spazi dei consultori e presa in carico del ricambio generazionale dei medici e mediche non obiettori/rici.

–    Aborto libero e gratuito!

Posted in relazioni finali FLAT | Comments Off on tavolo 2: AUTODETERMINAZIONE

tavolo 1: VIOLENZA

La violenza è esercitata dagli uomini e dalle istituzione maschili sulle donne e sulle lesbiche.
La violenza maschile è un fatto culturale trasversale, rappresenta uno strumento di controllo e disciplina finalizzato ad impedire alle donne e alle lesbiche di liberarsi dai ruoli imposti di mogli, madri e oggetti del desiderio. Ruoli imposti dal sistema patriarcale.
Affermiamo la nostra soggettività e identità in quanto donne e lesbiche libere di autodeterminarsi.
Individuiamo nella famiglia l’ambito privilegiato dell’esercizio del potere e della violenza maschile sulle donne e sulle lesbiche, con il beneplacito  delle istituzioni che riconoscono la famiglia e non la donna come soggetto di diritti.
Le istituzioni sociali (religione, diritto/leggi, sistema educativo, media) ancora oggi legittimano e riproducono la cultura dello stupro, contribuiscono a fondare e assicurare la subordinazione delle donne e delle lesbiche, sia nelle relazioni di potere familiare che in quelle economiche e sociali, ma in particolar modo attraverso il controllo dello svolgimento della funzione procreativa femminile, considerata un’obbligazione naturale, e nella funzione di ammortizzatore sociale.
Continua a vigere la cultura dello stupro, che è fisico e simbolico e che viene legittimato e riprodotto in maniera pervasiva.
Donne e lesbiche provenienti da percorsi e pratiche differenti concordano sulla necessità di condividere linguaggi e pratiche su molteplici piani.
L’elaborazione dei saperi delle donne e delle lesbiche è frutto della relazione fra donne, che è pratica politica, la quale riesce a produrre cultura condivisa che viene agita nell’autonomia dei linguaggi e delle pratiche di cui ciascuna è portatrice.
Valorizziamo la solidarietà come pratica tra donne e lesbiche.
Vogliamo rendere visibili tutte le forme di violenza maschile, attraverso presidi fisici e virtuali, riprendendoci ogni spazio di azione e di parola; creare percorsi di autodifesa che valorizzino la solidarietà tra donne e lesbiche e il riconoscimento della nostra forza individuale e collettiva;
Riconosciamo la pratica dei centri antiviolenza che, attraverso la ricontestualizzazione culturale della violenza maschile, l’accoglienza e il sostegno alle donne, creano percorsi di presa di coscienza e autodeterminazione così da porre le basi per una vita indipendente, autonoma e libera.
Denunciamo la mistificazione della violenza maschile agita attraverso un linguaggio sessista e rispondente ai desideri maschili.
Contro l’informazione e la pubblicità maschiliste, agiamo pratiche di controinformazione e decostruzione degli stereotipi veicolati dall’immaginario maschile.
Tra le nostre strategie è fondamentale avere più spazi per confronto e per la socialità di tutte.
Riconosciamo una unica radice della violenza maschile contro le donne e le lesbiche, che pur esprimendosi in diverse forme è agita sempre dallo stesso genere come strumento sessuato di controllo sistematico e strategico.

Partendo dalla manifestazione del 24 novembre, e considerando la violenza maschile trasversale nei temi trattati dai Tavoli, proponiamo un 8 marzo caratterizzato con questi contenuti e una data di mobilitazione nazionale, in maggio, al sud, che abbia un manifesto nazionale comune.

Informiamo tutte che nel mese di marzo ci sono degli appuntamenti importanti:

a)    4 marzo a Bologna, presidio sotto il tribunale per un processo per stupro
b)    5 marzo Roma, presidio a piazza Cavour (sede della Cassazione) per solidarietà alle donne che hanno denunciato per stupro un medico anestesista
c)    18 marzo a Perugia, presidio sotto il Tribunale dove si terrà l’udienza preliminare per il femminicidio di Barbara Cecioni.        
 
 

Posted in relazioni finali FLAT | 1 Comment

PROPOSTE FLAT in breve

(invitiamo tutte ad integrare l’elenco che segue, aggiungendo le proposte che, seppur emerse  dai tavoli…ci sono sfuggite!)

Nella due giorni di discussione sono state numerose le proposte e le
riflessioni, proviamo a riassumerne alcune
dando sicuramente priorità a quelle che concretamente potrebbero
svilupparsi territorialmente sempre rapportandosi alle specifità e ai
bisogni dei diversi contesti.

Attraverso le relazioni dei vari tavoli sono emerse le seguenti:
Dal tavolo 2:
–    Denuncia delle farmacie e dei pronto soccorsi che non forniscono
la pillola del giorno dopo. Continue reading

Posted in relazioni finali FLAT | Comments Off on PROPOSTE FLAT in breve

presentazione tavolo media e linguaggi

 Qui di seguito trovate la presentazione in powerpoint del
tavolo su "media linguaggi e immaginari, strumenti di riapprorpiazione"

Abbiamo
voluto aprire il tavolo con un intervento su digital devide,
cyberfemminismo e tecnofemminismo per portare un percorso femminista,
che molte non conoscono, che è legato alla riappropriazione della
tecnologia come strumento non solo del comunicare ma di
autodeterminazione e autodifesa. 

2223.ppt

Posted in materiali3 | Comments Off on presentazione tavolo media e linguaggi