Roma 22 novembre: Con le “Sommosse” in piazza contro la violenza alle donne

da www.deltanews.it/

(Roma) Sovversive, gioiose, rabbiose, le Sommosse femministe e lesbiche – questo il nome che si sono date dallo scorso gennaio – domani scenderanno nelle strade della capitale per la manifestazione nazionale contro la violenza alle donne. Sarà una manifestazione che in continuità con quella del 25 novembre scorso rifiuta ogni tipo di compromesso, simbolo, bandiera o partito politico; sarà completamente auto- organizzata dal basso, da collettivi, realtà e  associazioni che compongono la rete nazionale della FLAT, l’assemblea nazionale di femministe e lesbiche nata in seguito alla manifestazione dello scorso anno che aveva portato in piazza più di 150 mila donne.  Sono militanti instancabili e intransigenti alle prese con un lavoro e politico permanente che non merita mai il dovere delle cronache ma che pone come centralità la libertà e l’ autodeterminazione della donna e dei soggetti G.B.L.T (gay, bisessuali, lesbiche, trans)

Libertà è una parola che non delega – si legge nei loro blog, volantini, comunicati – scomoda per una società che continua ancora a mantenere il suo ordine simbolico sul disequilibrio di genere e sull’essenzialismo   biologico dei sessi; è un’azione politica che sfida il contrattacco maschile, all’autonomia delle donne agito da norme, politiche repressive e securitarie, da attacchi provenienti dalle forze neo-cons; una pratica politica che non compromette mai la sua autenticità anche all’interno di contesti rivoluzionari, come quello attualissimo dell’onda studentesca, in cui le universitarie hanno deciso di rivendicare e far valere la propria autonomia dando una lettura di genere della “neo- riforma”. In nome di questa libertà, le femministe e lesbiche scendono in piazza, a ridosso  della giornata internazionale contro la violenza alla donna, per denunciare ancora una volta la matrice sessista della violenza, che si origina nel privato, nella relazione tra i generi, nella famiglia ove si consuma il primo atto di dominio politico dell’uomo sulla donna e si dispiega nel sociale, assumendo molti volti: istituzionale, xenofobo, omofoba.  Il patriarcato ha tanti volti e modalità di attacco, ma un’unica mossa inconfondibile, quella che nel definire ciò che è normale perchè naturale, non solo stabilisce il dominio maschile nel posizionamento gerarchico tra i due sessi ma rigetta come abietti, chi eccede il suo sistema eterosessuale-sessista, chi non è conforme al suo ordine simbolico come le  soggettività g.b.l.t.  Corpi e voci inessenziali cu si nega lo statuto di soggetti e cui si impongono modalità disciplinatorie  e normalizzanti di esistenza “come pretende- dicono le Sommosse-  di fare il DDL Carfagna,  criminalizzando le prostitute e imponendo regole di condotta per tutte, dividendoci in buone e cattive, in sante e puttane, in vittime e colpevoli;  come il pacchetto sicurezza che individua nel migrante l’unico colpevole delle violenze”. La guerra delle Sommosse è stata annunciata  anche nei confronti della “riforma Gelmini” che impone alle donne un diktat permanente:  quello di sostituire il welfare del paese. Come risposta alla crisi finanziaria attraverso i tagli del corpo insegnanti e la soppressione del tempo pieno, si sta ordinando alle donne di ritornare a casa a svolgere il lavoro di cura, alle ricercatrici di fare largo e di sgomberare l’ambito universitario ancora tropo segnato dal sapere maschile e su cui gli Studi di genere a causa soprattutto di ostacoli istituzionali sono ancora scarsamente incisivi.

Tutto questo ha lo scopo di annullare la soggettività delle donne come differenza. Una differenza che rifiuta sia l’assimilazione all’universale neutro maschile per conquistare lo statuto di individuo-cittadino sia una politica di identità che riconosce esclusivamente nel ruolo materno e nelle sue virtù l’unica specificità dell’essere donna. Il desiderio di essere riconosciute come piena soggettività morale, civile e politica, senza essere incasellate in ruoli finalizzati alla conservazione dell’ordine sociale, la resistenza a un simbolico che il patriarcato continua a perpetuare, è rigettata semplicemente come indecoroso, termine che le manifestanti si riappropriano per rivendicare la loro libertà e autodeterminazione.

Libere, dunque indecorose, contro i pregiudizi, contro la falsa retorica e l’ipocrisia morale del decoro pubblico in nome del quale i diversi governi riducono la questione della sicurezza e della precarietà delle vite umane a un mero problema di sicurezza urbana. Vite precarie, – come insegna Giudy Butler- sono vite non rispettate, non riconosciute  nella loro identità tanto da essere derealizzate e da essere definite come altro rispetto all’umano. Vite precarie sono quelle delle donne che si spengono per mano di mariti/padri violenti, di compagni che amano fino ad ammazzare. La violenza maschile è la prima causa di morte e di invalidità permanente delle donne in Italia come nel resto del mondo. Prima del cancro, dell’anoressia, degli  incidenti stradali, è la violenza a uccidere le donne.  Il Femminicidio, termine che stenta a essere incluso nell’agenda politico istituzionale espone il corpo delle donne alla vulnerabilità e alla morte, non solo quella fisica, ma anche quella psicologica, politica, economica e sociale. Il femminicidio è ogni atto teso a reprimere la soggettività delle donne. In Italia ogni anno una donna muore per violenza ogni tre giorni. Dei loro uxoricidi, conosciamo l’identikit: compagni, mariti, fratelli, amici, non stranieri, dunque e nemmeno malati patologici. Semplicemente normali, semplicemente uomini. Sono loro che la perpetrano e in quanto agenti dovrebbero, interrogarsi e spiegare le ragioni. Ancora nessuna risposta è giunta se non quella del gruppo di “Maschile Plurale” e del “Fiocco Bianco”. Ancora troppo pochi, per mettere in discussione la pratica separatista criticata da più parti anche lo scorso anno. Fin quando, non ci sarà questa presa di coscienza, fin quando gli uomini, anche quelli che non la compiono, non si interrogano pubblicamente, non si impegnano a riconoscersi come parzialità, fin quando si delega la violenza esclusivamente a una questione femminile, fin quando non si sottrarrà questo evento all’ineluttabilità, le donne continueranno a lottare da sole. La violenza alle donne non è un destino delle donne  ma è una scelta degli uomini.  Non basta che gli uomini si spendano in campagne di solidarietà e sensibilizzazione, è necessario che anche loro inizino a  scardinare la cultura patriarcale.

Domani l’appuntamento è alle 14.00 a Piazza Repubblica. La speranza è che tutte numerose vi partecipano per dare un segnale forte che insieme tutto può cambiare.

 (Delt@ Anno VI, N. 330 del 21 novembre 2008)                                               A.A.

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