La scelta di introdurre questo tavolo viene dalla situazione assai significativa che come lesbiche viviamo all’interno del nostro gruppo: pur essendone ormai la parte maggioritaria, abbiamo faticato molto a riconoscerci come gruppo lesbico. La costruzione di questo tavolo e le istanze di riflessione che sono venute dall’assemblea romana ci hanno stimolate a ragionare sulla nostro tardivo autoriconoscimento che abbiamo inteso come storicamente inserito nel “silenzio lesbico”.
Ci siamo anche interrogate sulle caratteristiche di questo nascente movimento, nel quale le lesbiche, per la prima volta, compaiono accanto alle femministe secondo un meccanismo (ancora poco indagato e significato: ecco l’importanza di questo tavolo di riflessione) di nominazione reciproca. Si tratta però soltanto di una nominazione? Quanto c’è di mitologico circa il vissuto lesbico, da parte delle compagne femministe che in questa fase stanno assumendo il lesbismo come categoria politica? Come possiamo sostanziare, per rafforzarlo, questo intreccio? E quali pratiche politiche possono essere messe in atto?
Abbiamo pensato di strutturare questa introduzione ponendo delle domande più che fornendo delle risposte, anche per rendere giustizia del nostro dibattito interno che si è articolato su molti piani e in modo problematico.
1) Definizioni
Patriarcato, eterosistema, eterosessismo.
Tendenzialmente riconosciamo nel patriarcato un ordinamento sociale di cui ci risulta agevole la descrizione e la messa in discussione del suo assetto di funzionamento.
Più sfuggente invece è forse, o semplicemente polimorfa, la definizione che si può dare dell’eterosistema. Attiene sicuramente ai complessi e reiterati dispositivi di costruzione del genere (come costrutto sia sociale che ideologico), ha come finalità la normazione e la codificazione dei generi come l’uno strumentale all’altro. In tal senso l’eterosistema si dà o:
1. come strumento di funzionamento reale del patriarcato che, centrandosi sull’eterosessualità, si costituisce come atto fondativo del capitalismo sancendo come definitiva per altro la divisione tra pubblico e privato. In questa visione l’eterosistema è il primo prodotto del patriarcato, il primo strumento mediante il quale il patriarcato produce e riproduce se stesso.
2. come antecedente formale del patriarcato. In questa visione invece l’eterosistema, cioè la costruzione normata dei generi, e anche dei sessi, è la condizione di possibilità del patriarcato, cioè la messa in atto della prima e fondante oppressione. L’eterosistema, che poggia sullo sfruttamento e l’oppressione delle donne, così inteso sottende qualunque struttura di potere, quindi anche il patriarcato stesso.
In questo quadro, come direbbe Spinelli seguendo Wittig, il contratto eterosessuale è ciò che “impedisce il sorgere di un conflitto di interessi contrastanti tra classi sociali – la classe delle donne dominata e la classe degli uomini dominante -, nascondendo la realtà del dominio nella cortina di fumo della naturale divisione dei sessi.” Data la centralità sociale e economica ascritta al contratto eterosessuale, l’eterosessualità viene presentata e costruita come opzione primaria, corretta, unica. Dal sesso è stato per tanto bandito tutto ciò che eccede dall’imperativo dell’eterosessualità. Questo è ciò che noi chiamiamo eterosessualità indotta o obbligatoria, o meglio regime dell’eterosessualità che agisce delineando e circoscrivndo la “materialità” del sesso materialità che viene ovviamente formata e costruita a partire da quelle norme regolative che sono quelle sancita dall’eterosistema. (j.Butler) L’assetto di questo sistema prende per noi il nome di eterosessismo.
2) Le lesbiche non sono donne. E le femministe?
A partire dalla provocatoria dichiarazione di Monique Wittig molte di noi pongono il loro vissuto di lesbiche fuori dalla categoria socialmente costruita di “donna”. Come gli schiavi che fuggono dallo stato di schiavitù, minandolo alle radici con il loro gesto di sottrazione, così le lesbiche, sottraendosi al regime eterosessuale, allontanandosi definitivamente dalla posizione di dominate, “rendono visibile il carattere impositivo della cosiddetta sessualità naturale” (Spinelli). Questo non significa che sia possibile cancellare la presenza dell’eterosistema dal nostro vissuto, presenza sulla quale siamo state costruite come donne e a partire dalla quale si è strutturato il nostro essere lesbiche. La riappropriazione del termine donna può avvenire attraverso la riappropriazione della categoria di oppressione che a quella parola è legato. Può avvenire cioè a partire dalla coscienza di quella schiavitù, di quella negatività, che va rimessa al centro dell’agire politico.
Certamente è difficile riappropriarsi della parola donna almeno tanto quanto la riappropriazione di definizioni socialmente stigmatizzanti è stato facile per le minoranze sessuali o razziali. Il termine lesbica o queer, piuttosto che nigger in quanto definizioni che eccedono, che sono fuori dall’assetto dato, sono più facilmente rivendicabili in un processo di riappropriazione del proprio vissuto e della propria storia. Il termine donna invece è tutto interno al sistema stesso e rivendicarlo diventa più difficile. Sarà questo il motivo per cui molte compagne, almeno all’interno del percorso romano, preferiscono definirsi femministe piuttosto che donne? E in che modo è possibile per loro una nuova definizione dell’essere donna? In che modo portiamo all’esterno da noi questa contraddizione? Con quali linguaggi?
3) Pratica lesbica e i rischi dell’identitarismo
Diamo per scontato che questo tavolo esiste perché esiste una pratica politica specifica delle lesbiche in Italia. Ma esiste veramente e qual è? Ci sta bene la politica dei diritti portata avanti oggi da alcuni gruppi che rischia di reinserirci forzatamente all’interno di una logica familista? Riusciamo mai a spostare la politica del femminismo verso una prospettiva lesbica? I rischi visibili di questa mancanza di prospettiva sono da un lato l’indifferenziata presenza delle lesbiche all’interno delle battaglie portate avanti dal femminismo. Dall’altro l’identitarismo lesbico e la costruzione di una mitologia dello stesso (solo le lesbiche incarnano la radicalità, solo il percorso lesbico esprime in maniera pura la vera lotta all’eterosistema). Questi sono o potrebbero essere il sintomo di "una malattia minoritaria", l’espressione cioè di una difficoltà interna di costruzione di una soggettività collettiva. Il nostro cammino che comincia come lesbiche dalla constatazione della nostra assenza dal linguaggio, “procede nella consapevolezza che in un mondo in cui non esistiamo dobbiamo essere leggende a noi stesse. Eroiche nelle nostre vite e epiche nei nostri testi” (Wittig). Questo però deve renderci consapevoli del rischio di una sclerotizzazione identitaria, che si tramuta nella messa in atto di una gerarchia a tappe che viene fatta percepire alle altre come unica vera via di liberazione: donna-femminista-lesbica. Va da sé che considerare intellettualmente o ""ideologicamente"" il lesbismo, come mera opzione teorica, l’unica possibilità di liberazione dall’eterosistema, esclude dal piano del discorso e quindi da ogni pratica, il potere complesso e dirompente del desiderio lesbico come desiderio perverso, e la potenza del percorso incarnato nei corpi interno all’esperienza lesbica. La potenza cioè di “una sessualità femminile attiva e autonoma dall’uomo, la rivendicazione e l’espressione di pulsioni erotiche dirette verso le donne, di un desiderio per le donne, che non va confuso con l’identificazione tra donne, ossia la semplice partecipazione a un mondo comune delle donne.” (De Lauretis)
4) Quale possibilità di un’alleanza tra lesbiche e femministe?
Ci siamo interrogate sull’attuale stato di frammentazione dello scenario politico, e sul fatto che forse è proprio a partire da questa frammentazione collettiva che si è concretizzata una possibilità di confronto e alleanza tra lesbiche e femministe.
E’ questa alleanza che ci interessa mettere in discussione e il renderla possibile a partire dal riconoscimento e dall’incontro dei reciproci specifici posizionamenti.
Essere lesbica è per noi il sito di un dislocamento, “l’essere fuori dal sistema che ci mette nella posizione di vedere cose che altrimenti non vedremmo. E’ il soggetto di un conoscere insolito. E’ un soggetto eccentrico al campo sociale costituito in un processo di interpretazione e di lotta, di riscrittura di sé in relazione a un’altra cognizione del sociale, della storia, della cultura.” (De Lauretis)
E’ per noi esistenzialmente una pratica continua che nasce dal nostro corpo, dalla nostra carne e che abbiamo definito “stare in trincea”. Questa percezione dello “stare in trincea”, rispetto al nostro corpo espropriato è stato il primo possibile punto di alleanza da noi rinvenuto.
Abbiamo riscontrato che forse la percezione del corpo come terreno permanente di espropriazione costituisse per le femministe non lesbiche una simile percezione dello “stare in trincea”. Questo a noi sembra delineare un comune e diverso vissuto di lotta e resistenza a una comune e diversa espropriazione del corpo. La base di resistenza e alleanza potrebbe infatti passare attraverso la condivisione di uno dei vissuti più intrinsecamente rivoluzionari del lesbismo: cioè la riappropriazione del "tuo" corpo attraverso il corpo dell’"altra".
Il secondo possibile nesso di allenanza e secondo perché subordinato alla centralità dei nostri corpi e della nostra materialità incarnata, è che sia le femministe che le lesbiche sono soggettività eccentriche che pongono in questo momento storico uno stesso problema: quale possibile comunità è costruibile a partire da quelle specifiche soggettività? Come si costituisce oggi una comunità non identitaria che tenga conto delle differenze, partendo dal fatto che per noi la soggettività di una politica di trasformazione sociale non può essere costituita da colore, genere sessuale, differenza di classe, presi singolarmente, ma da una figura più complessa che senza negare nessuna delle determinazioni e divisioni sociali che la compongono, cerca anzi di nominarle e rivendicarle(Lorde)?
5) Strategie e pratiche di resistenza
Il 24 Novembre con l’assunzione collettiva del tema della violenza degli uomini sulle donne, si è radicalmente messo in discussione il sistema eterosessista basato sulla famiglia. Ma in che modo si sostituisce concretamente il sistema familiare nelle nostre esistenze? Analizzando le nostre pratiche di vita lesbica abbiamo visualizzato come molte di noi tentino la costruzione di “reti lesbiche” che si sostituiscano all’assetto familiare o “omosociale” su cui si regge il patriarcato. Questo tipo di pratica, che in altri paesi, per esempio la Germania, è comune e funzionante sebbene non scontata, in Italia invece spesso naufraga o trova difficile realizzazione. Nell’esperienza di alcune, il tentativo di costituire nuclei di vita resistenti si scontra con la tendenza di molte all’organizzazione della propria esistenza basata sulla relazione di coppia. Non vogliamo in questo modo mettere in discussione la relazione d’amore come fondante del vissuto delle lesbiche, ma porre la questione di un’assunzione collettiva di responsabilità rispetto alle nostre esistenze. Sottrarre le esistenze al controllo e alla funzione della famiglia e della coppia ha per noi un enorme valore politico che ridefinisce e sovverte il quadro della socialità così come è stata fino ad oggi delineata e descrive per tanto un nuovo spazio pubblico transitato da nuove soggettività che abitano nuove socialità. In questo senso dovremmo interrogarci sul modo di costruire quelli reti che possano non soltanto garantire la cura reciproca (laddove per cura intendiamo il contatto e l’assunzione dell’indigenza, della malattia, della vecchiaia e per fino della morte dell’altra), ma diventare spazi di costruzione di immaginario e pratiche trasformative. La costruzione di questa nuova socialità che spesso per le lesbiche è l’unica garanzia di sopravvivenza, chiama in causa direttamente anche le femministe. Questa potrebbe essere anche per le femministe una strategia valida per mettere realmente in discussione l’ordine familista dell’eterosistema? Il prodursi per altro di una socialità eccentrica comporterebbe un’automatica messa in discussione del sistema del diritto tarato su un assetto duale?