DESTRA, SINISTRA E “QUESTIONE OMOSESSUALE da Lidia Cirillo

E’ una delle quattro relazioni della sessione politica del convegno di ArciLesbica  “La storia che non c’era”, che ha avuto luogo nei giorni 1-2-3 giugno 2007 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma.
 
La mia relazione vuole rendere conto dell’atteggiamento di partiti, organizzazioni e correnti politiche verso quella che potremmo chiamare “questione omosessuale”, facendo eco alla formula (questione femminile) con cui il movimento operaio del Novecento cominciò a farsi carico delle rivendicazioni femministe. Come per il femminismo, l’assunzione di responsabilità – o al contrario la riscrittura politica dell’omofobia – sono conseguenza dell’emergere di soggettività che hanno cercato e trovato accesso alle istituzioni. Si è trattato in qualche caso di piccoli gruppi; in altri casi di vere e proprie organizzazioni o di movimenti organizzati.
Il rapporto tra questi movimenti e i partiti è stato lungo e complesso più di quanto di solito si crede. Basti pensare che già nella Repubblica di Weimar le riviste lesbiche e gay davano indicazioni di voto sulla base della permeabilità di una corrente politica alle loro doléances e alle loro domande.  Voglio dire che esiste una storia da cui è possibile dedurre le logiche che ne sono state la guida.  Per questioni di tempo e perché la relazione riguarda il presente ne anticiperò una sintetica spiegazione, che dovrebbe rendere più comprensibili i comportamenti attuali.
L’atteggiamento di correnti politiche, partiti e istituzioni nei confronti degli orientamenti diversi dall’eterosessualità risponde a logiche individuabili ed è soprattutto rivelatore del loro rapporto con la società più profonda,  con le classi subalterne e i settori popolari in genere.
Con un’estrema semplificazione si può dire che un partito, una corrente politica possono cercare in due modi il consenso nei settori popolari più larghi: facendo leva su superstizioni e fobie, limiti di cultura e fantasmi; rispondendo a bisogni ed esigenze vitali, contribuendo ad alleviare condizioni di vita difficili. Mi riferisco naturalmente alla sola componente del consenso nelle relazioni di potere e controllo. L’altra, quella della repressione, che è fondamentale, non fa parte della materia di cui  oggi si discute.
La Chiesa cattolica, che non è una corrente politica ma un’istituzione  politicamente molto attiva, ha sempre utilizzato una combinazione tra l’una e l’altra cosa, tra miracoli e opere caritative, processioni e mense popolari, evangelizzazione e assistenza ad  ammalati e affamati. La borghesia, che è stata una classe particolarmente capace di agire politico, ha fondato  nel XVIII secolo il concetto di laicità, è stata sostegno sociale delle correnti di pensiero liberali e ha combattuto le superstizioni popolari, finché ha avuto bisogno della radicalità delle classi subalterne per combattere l’aristocrazia e la monarchia assoluta. Quando poi è diventata classe di potere, si è spogliata degli abiti liberali e si è appoggiata a ideologie, partiti, istituzioni conservatrici e illiberali.
 I partiti liberali in Italia, cioè quelli che più immediatamente rappresentavano le oligarchie economiche urbane, si sono stabilmente alleate con i cattolici quando si è trattato di combattere il movimento operaio e le sinistre radicate nelle classi subalterne.
Nel 1913 con il Patto Gentiloni (da Vincenzo Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica) i cattolici si impegnano a sostenere i candidati liberali in cambio della difesa dell’insegnamento religioso, della scuola privata confessionale e della “integrità della famiglia”, che in questo caso significa chiusura a ogni possibilità di introduzione del divorzio.
Dopo il fascismo i liberali, cioè due piccoli partiti (il PLI e il PRI), hanno governato a lungo e in posizione del tutto subalterna con il partito cattolico scomparso all’inizio degli anni Novanta,  la Democrazia cristiana, che ha resistito tenacemente e fino all’ultimo alla legge che istituisce il  divorzio  e a quella  che rende legale l’aborto.
La destra degli anni Venti e Trenta, quella clericale e fascista, nascerà dal bisogno delle oligarchie di potere di forme della politica più capaci di quelle liberali di  garantire il sostegno popolare e arrestare l’ascesa del movimento operaio di ispirazione marxista. E’ vero che quella destra punterà prima di tutto sulla repressione, ma è anche vero che sperimenterà nuove forme di consenso. Il liberalismo infatti, coniugando la laicità con la strenua difesa del mercato, non dispone  autonomamente di possibilità di contatto con i più ampi settori popolari. Lascia le loro condizioni di vita in balia di dinamiche economiche che possono diventare spietate con coloro che sono socialmente più deboli; li priva dell’oppio dei popoli e della sua funzione lenitiva e consolatoria.
Un mio omonimo, Domenico Cirillo, finì sulla forca dopo la rivoluzione napoletana del 1799 per avere toccato ai “lazzaroni” san Gennaro e la Madonna, senza aver avuto prima il tempo, la forza e la lucidità per proporre qualcosa d’altro in cui valesse la pena di sperare.
Il fascismo europeo riprende dalla Chiesa cattolica le forme di potere e controllo in una nuova e diversa combinazione tra repressione, evocazione di fantasmi e fobie e opere assistenziali assai modeste, ma che comunque rappresentano qualcosa di più rispetto all’avarizia del vecchio liberalismo. Con le superstizioni popolari il fascismo ha un duplice rapporto, di alleanza e di imitazione. Dal primo fascismo anticlericale e che voleva “svaticanare” l’Italia ai patti del Laterano dell’11 febbraio 1929 è possibile individuare una dinamica abbastanza lineare di sostegno reciproco tra politici fascisti e burocrazia vaticana.
Ma l’osservazione più interessante è un’altra. Il fascismo tedesco, cioè il nazismo, ripropone come capri espiatori le stesse categorie di persone che il clero cattolico aveva elevato al rango di nemici: gli ebrei, gli omosessuali e gli eretici, coloro che criticano un ordine costituito, nel XX secolo socialisti e comunisti. Le radici cristiane sono anche queste, cioè il radicamento profondo nella cultura orale popolare di luoghi comuni che si ripetono all’infinito come proverbi o giaculatorie, senza mai essere sottoposte a critica o a verifica.  L’antigiudaismo, nelle forme specifiche dell’antisemitismo e come contenuto di linee politiche, si afferma quando politici conservatori si accorgono che nei comizi le imprecazioni contro gli ebrei suscitano l’entusiasmo popolare e che il rancore nei confronti dei ricchi può essere dirottato verso le comunità ebraiche europee.
Per evitare immagini semplificate del ruolo della Chiesa cattolica nella cultura europea, aggiungerò che radici cristiane non significa solo questo. Anche le narrazioni dei soggetti di liberazione, compreso il marxismo di Marx, sono debitrici a schemi di pensiero cristiani. Anzi, se c’è qualcosa a cui il movimento operaio di ispirazione marxista può essere vagamente paragonato, è proprio la Chiesa cattolica: una narrazione salvifica, il cristianesimo delle origini; aspettative e bisogni di larghissime masse popolari; una burocrazia repressiva, accentratrice e autoritaria, che non può convivere con  la critica; la tendenza permanente a generare eresie, legate al contrasto tra narrazioni e aspettative popolari da una parte e pratiche e moventi all’agire burocratici dall’altra.
Il compromesso tra gruppi di potere non si è realizzato  solo con l’alleanza tra alte gerarchie vaticane, oligarchie economiche e un liberalismo che ha perduto se stesso.
In Unione Sovietica e nei paesi dell’Europa orientale a dominazione burocratica le Chiese ortodossa e cattolica sono state le uniche forme organizzative e culturali a cui sia stata lasciata la possibilità di sopravvivere. Con pochissime eccezioni, la persecuzione “comunista” dei cristiani è una leggenda, anche se un ridimensionamento del potere economico dei cleri e della loro influenza è stato l’ovvia conseguenza  della diversità dei rapporti economici e sociali. Il ruolo politico attuale della religione, anche in quei paesi, è l’effetto di questo tipo di scelta, cioè della repressione di ogni altro marxismo che non fosse ideologia del potere  e di ogni altra possibilità di critica che non fosse quella  del clero.  Così, per una di quelle deformazioni d’ottica proprie delle relazioni di potere, è apparso avversario chi era riuscito comunque a convivere  con il regime burocratico e non abbastanza avversario chi non aveva potuto assolutamente convivere, cioè il marxismo democratico e libertario.
In Italia l’alleanza tra due burocrazie, quella vaticana e quella di un partito comunista di osservanza staliniana, ha congelato a lungo i processi di laicizzazione. E’ stato necessario il movimento rivoluzionario del 1968- 1977 perché possibilità niente affatto rivoluzionarie come il divorzio, la contraccezione e l’aborto legale entrassero a far parte del costume nazionale.
L’esigenza oggi di riesumare vecchie superstizioni che sembravano superate è legata a un contesto in cui si combinano interessi delle oligarchie economiche, di ceti politici e istituzioni conservatrici. E se l’antigiudaismo sembra per ora improponibile (ma tutt’altro che  dissolto) e di eretici autentici ce ne sono pochissimi in giro, l’omofobia  si rivela più radicata e diffusa di quanto pensassimo. Anche perché essa viene autorizzata e radicalizzata dai discorsi dei media e di esponenti politici  e religiosi.
Vediamo ora attraverso quali dinamiche si manifestano a destra nuove tendenze omofobiche e si rafforza a sinistra la resistenza al riconoscimento di gay, lesbiche e trans.  Prima di tutto il bipolarismo e la presenza di cattolici in entrambi gli schieramenti concede alla burocrazia vaticana un potere di condizionamento politico forse senza precedenti dopo la rivoluzione borghese. In secondo luogo la distanza dei partiti della sinistra dai settori popolari che in passato organizzava, la loro mancanza di radicamento sociale  danno alla Chiesa cattolica la possibilità di riempire un vuoto.  La Chiesa cattolica dispone di strutture organizzative capillari e diffuse sull’intero territorio nazionale, attraverso la quale mantiene contatti  con la società profonda. Utilizza con sapienza il potere della televisione, che per altro dimostra nei suoi confronti un  servilismo senza limiti. Gode di un prestigio legato alle sue opere caritative e assistenziali in un contesto in cui i partiti appaiono sempre più incapaci di garantire qualcosa a qualcuno e attenti soprattutto a interessi di casta.
Ma c’è una ragione più di fondo che rende attuale un rapporto tra politica e classi subalterne fondato sulla sollecitazione di inquietudini, insicurezze e paure.
Il periodo che stiamo attraversando, la cosiddetta globalizzazione,  è caratterizzato da un’accentuata precarizzazione del lavoro subalterno, arretramenti sul piano dei diritti sindacali, da un complessivo indebolimento del welfare e dall’esigenza di sfruttamento di una forza lavoro immigrata e priva di diritti, la cui presenza è destinata a creare degrado,  tensioni e paure.
Il governo Prodi ha conosciuto dopo la finanziaria un vero e proprio crollo di popolarità, ma qualcosa del genere avvenne anche al primo governo Berlusconi per ragioni della stessa natura. Le oligarchie economiche italiane pensano di avere ormai un problema grave di governabilità: i partiti di destra e di sinistra hanno remore e limiti nel prendere tutte le misure che esse ritengono necessarie per costruire l’Europa dei banchieri e degli industriali inserita nei processi di globalizzazione.  Fobie, fantasmi, superstizioni, bisogno di capri espiatori tornano a rappresentare ingredienti fondamentali della conservazione sociale e della politica.

Sarà forse più facile adesso comprendere perché i partiti italiani agiscono in un certo modo o in un altro; per quali motivi il lesbismo, l’omosessualità, il transgenderismo  sono diventati tema e problema delle istituzioni. Ha circolato per un po’ negli spazi queer l’idea che aperture e chiusure fossero trasversali e che la sinistra non fosse meno omofoba della destra. Sono stati ricordati gli anni di carcere previsti per gli omosessuali nei regimi “comunisti”, la coerenza nella lotta contro l’omofobia del Partito radicale, oggi nell’alleanza di centro sinistra ma ieri in quella di centrodestra. Questa idea è del tutto falsa, soprattutto se ci si intende su che cosa significa destra e sinistra. La risultante legislativa può anche essere un nulla di fatto per il governo di centrosinistra come per il governo di centro destra, ma alle spalle delle due coalizioni ci sono comunque due mondi, due culture, due sistemi di valori profondamente diversi.
Partiamo dalla destra estrema: Forza nuova  aggredisce le manifestazioni in stile squadristico; organizza atti di violenza contro singoli gay, lesbiche  o trans; chiama il Pride “sfilata di invertiti” e gli orientamenti diversi dall’eterosessualità “veleno morale”.
Tra questa destra e quella in doppio petto, che sembrava aver subito negli ultimi anni qualche piccolo fenomeno di civilizzazione, ci sono legami rappresentati talvolta da singole personalità o da un intero ambiente sociale.
Borghezio della Lega coniuga l’omofobia con l’antisemitismo e la virulenza anti-islamica  e si proponeva di fondare una Chiesa del Nord lefebvriana.
Prosperini  di Alleanza Nazionale, che è stato anche assessore ai giovani della regione Lombardia, dice che sui gay bisognerebbe gettare il napalm  oppure garrotarli, ma non alla maniera di Franco, alla maniera degli Apaches o almeno a quella che Prosperini attribuisce agli Apaches. Un laccio di cuoio bagnato intorno alla gola si asciuga al sole, restringendosi e strangolando lentamente la vittima, finché il cervello le scoppia.
Calderoli parla di “atti contro natura” e fa sfoggio di un’omofobia ossessiva e sospetta.
La aperture di Gianfranco Fini  e Silvio Berlusconi sono state sopravvalutate dalla stampa per la confusione tra matrimoni, Pacs, Unioni civili, diritti individuali ecc. e perché poi ciascuno utilizza i termini a modo proprio. Nessun partito della destra e nessuno/a che davvero conti al suo interno si spinge oltre il limite posto da Ruini e Bagnasco.   La posizione della burocrazia vaticana  è in proposito molto chiara : nessuna legge  e le cose restino come sono. Per la logica del “minor danno” poi è disponibile ad accettare diritti individuali che non comportino alcuna forma di riconoscimento della coppia. Secondo le ultime notizie si starebbe discutendo nella seconda commissione Giustizia la proposta dell’ex-liberale e oggi forzista Alfredo Biondi, che aveva detto qualche tempo fa di essere stanco di avere sempre “i vescovi nel letto”. La mediazione (ma quale mediazione poi?) sarebbe la rinuncia a qualsiasi riconoscimento pubblico e l’incarico a un notaio di benedire le coppie di fatto con alcuni diritti legati soprattutto alla successione.  Singole persone hanno atteggiamenti più laici, ma si tratta di omosessuali come Cecchi Paone oppure ex socialisti ed ex liberali, appunto come Biondi, finiti per bieche ragioni di interesse ancora una volta in un’alleanza confessionale.. Talvolta si tratta di aperture strumentali con l’obiettivo di lasciare uno spiraglio a settori di elettorato laico, secondo una vecchia tattica adottata dai liberali nei confronti del movimento per il suffragio alle donne. I partiti nel loro complesso erano contrari , ma singoli  tendevano le mani a frange di elettorato maschile influenzati dalle pressioni femministe. Vittorio Sgarbi  partecipa a uno dei primi Pride, si fa fotografare, saluta a destra e a manca. Poi in una trasmissione, in cui per qualcosa perde le staffe, urla trenta volte la parola “culattone” come il peggiore degli insulti.
La destra italiana nel suo complesso ha fatto comunque da anni una scelta di cristianizzazione elettorale: Forza Italia si è levata di dosso la leggera vernice liberale; la  Lega ha abbandonato un certo paganesimo d’accatto; Alleanza Nazionale ha ritrovato in un nuovo implicita patto con la burocrazia vaticana le sue origini fasciste.
 La sintonia tra destra e burocrazia vaticana ha ragioni anche congiunturali: oggi la Chiesa è diretta da uomini (cioè persone di sesso maschile) appoggiati da formazioni integraliste. Per esempio dall’Opus Dei, che ha sostenuto Hiler, Franco  e Pinochet; da Comunione e Liberazione, dalla Compagnia delle opere e dall’ Ordine dei Cavalieri di Malta, i cui nemici tradizionali sono i “cristomarxisti”, il mondo islamico,  le “lobby ebraiche”, gli omosessuali e gli “abortisti”.

Per quanto riguarda la sinistra, bisogna prima di tutto registrare un paradosso. La sua base elettorale stabile, quella cioè con forme di cultura di sinistra, è molto meno omofobica, meno superstiziosa e meno incolta. Al suo interno è cresciuta negli ultimi anni la consapevolezza dell’importanza della lotta per i diritti del persone con orientamenti diversi da quelli eterosessuali. D’altra parte la risultante  sarà per il governo Prodi non molto diversa da quella del governo Berlusconi: nulla di fatto o al massimo l’incredibile proposta del notaio officiante e di una legge ad uso di Dolce e Gabbana. Le ragioni sono complesse e a volerne anche solo accennare si aprirebbe una parentesi troppo ampia.
Il centro- sinistra confina con l’integralismo cattolico nel territorio della Margherita, in cui abita quella Paola Binetti  legata all’Opus Dei  e di cui si dice che porti il cilicio. La battuta  di  Grillini in proposito merita di essere ricordata : non ho nulla contro il sadomaso, ma che lasci agli altri il diritto a diverse preferenze. Nello stesso territorio abita anche Rosy Bindi, che ha tentato la mediazione impossibile tra laicità e integralismo cattolico con la proposta dei Dico. Nel  congresso del partito, che si è tenuto nel mese di aprile, sono stati approvati sia la mozione di adesione al Family Day  contro i Dico (presentatori i teo-dem Enzo Carra e Luigi Bobba), sia l’ordine del giorno a sostegno dei Dico.  Sembra che la polemica tra le due anime del partito sia stato l’unico momento di vivacità e di rapporto autentico del congresso  con le cose che avvengono nel resto del mondo.
Il centro sinistra confina poi con la laicità nei territori dei partiti di discendenza marxista e nel liberalismo coerente del Partito radicale. A questo punto è necessario aprire una parentesi. A persone come me, con una lunga storia in un’area di ispirazione marxista, viene talvolta ricordato che nei paesi “comunisti” per gli omosessuali erano (e sono) previsti anni di carcere. La polemica si basa sull’identificazione marxismo/socialismo/comunismo  con  lo stalinismo.  Sarebbe invece utile ricordare alcuni particolari, per esempio che la Costituzione sovietica del 1918 è tra le prime a depenalizzare le pratiche omosessuali, in un contesto di leggi e misure che raccolgono le rivendicazioni più avanzate dei movimenti di donne  e della grande ondata
femminista a cavallo tra XIX e XX secolo. Kate Millet, una femminista statunitense, nel suo libro “La politica del sesso”, sottolinea la differenza (anzi il vero e proprio rovesciamento) tra la prima fase della vita dell’Unione sovietica  e quella successiva, quando una burocrazia di potere rappresentata dalla persona di Stalin si è ormai affermata. Non solo le pratiche omosessuali, ma anche l’aborto diventeranno di nuovo reato; si affermerà una logica familistica simile a quella del fascismo; l’autorganizzazione delle donne verrà bruscamente spezzata, malgrado le proteste e l’opposizione di  Clara Zetkin.
E’ vero che questo rovesciamento ebbe anche ragioni obiettive nelle difficoltà dell’ URSS e nel contrasto tra le aspirazioni libertarie e l’immenso e primitivo mondo rurale ereditato dalla società zarista.  La ragione di fondo fu però nel riprodursi di una relazione  oppressiva di potere  tra una parte dominante della società (appunto, la burocrazia) e tutto il resto del corpo sociale, in cui bisognava spegnere il più possibile la capacità di critica. Nella sinistra di genealogia marxista si trovano quindi non a caso le proposte più avanzate, anche se c’è una certa differenza tra quelle elaborate prima e dopo l’ingresso al governo. La proposta di cui  è prima firmataria Titti De Simone, presentata il 2 agosto 2006, distingue tra matrimonio e famiglia e si propone di regolamentare le forme di famiglia diverse da quella fondata sul matrimonio. Tuttavia i diritti delle coppie dello stesso sesso sono poi uguali a quelli delle coppie eterosessuali.
Lo stato di parte dell’unione civile è titolo equiparato a quello di membro della famiglia, i figli nati durante l’unione hanno i diritti di quelli nati nel matrimonio, si può accedere all’affidamento e all’adozione a parità di condizioni,  i diritti sono equiparati su tutti i piani (della successione, fiscale, previdenziale, pensionistico, di risarcimento del danno in caso di decesso causato da fatto illecito ecc.). Simile a questa è l’altra proposta di parlamentari di Rifondazione, di cui prima firmataria è Maria Luisa Boccia.
Liberazione, il quotidiano del PRC, si è distinto per posizioni  sul tema degli orientamenti sessuali assai avanzate e soprattutto aggiornate, cosa che prova l’esistenza di un interesse reale. Titti De Simone e Vladimir Luxuria sono state elette nelle liste del partito e sono con Franco Grillini  (ex-sinistra DS) i più visibili nel parlamento italiano. L’obiezione che si può fare a Rifondazione non è secondaria: su questo tema, come su molti altri (la guerra, le condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, il rapporto con i  movimenti ecc.) è quella della  distanza abissale tra le parole da una parte e le pratiche e i risultati dall’altra. Ma  qui si aprirebbe un discorso troppo complesso e fuori dal tema di questa relazione. Vedremo se Rifondazione si mobiliterà davvero per il Pride o se si limiterà a mandare una delegazione, sia pure folta. L’associazione Sinistra critica, nata come minoranza nel VI congresso del PRC si è mossa in questi mesi  perché il Pride sia la vera risposta al Family Day e sarà presente in diversi spezzoni del corteo, oltre che con simboli propri.  
La realpolitik ostacola anche la maturazione di una posizione  per quel che riguarda i  DS. All’interno di questo partito ha avuto luogo il percorso del  Gayleft  che ha raccolto l’eredità del vecchio Coordinamento degli omosessuali. Zapatero  è il mito, la Sinistra giovanile e le femministe le relazioni interne privilegiate e i sostegni.
Anche in questo caso la realpolitik consente un ben magro bilancio, ma non solo dal punto di vista delle pratiche e dei risultati, ma anche dal punto di vista dell’accettazione delle rivendicazioni GLBT. Fassino ha precisato di recente che famiglie sono solo quelle eterosessuali e il suo partito ha accettato la  Conferenza sulla famiglia, la sua logica e le sue esclusioni. Anche i Ds hanno un problema di rapporto con le superstizioni popolari, che risolvono con l’omissione, avendo rinunciato a risolverlo nel modo in cui sarebbe necessario e possibile. In un intervento nell’assemblea nazionale del 3° congresso del partito (febbraio 2005)  Andrea Benedino  di Gayleft segnala che i manifesti per la campagna sui Pacs, promossa dai dipartimenti giustizia e welfare del partito, in molte federazioni non sono stati attaccati. Non per caso  nella  marcia verso la fusione con la Margherita i DS perdono il presidente dell’Arcigay Franco Grillini.
Vorrei concludere con alcune osservazioni sul Partito radicale, che forse renderanno più chiara la tesi di fondo di questa relazione. I radicali sono stati i primi e tradizionalmente anche i più decisi nella lotta contro la superstizione omofobica e per la laicità. Nel 1967, cioè in un tempo politicamente lontano e in cui questa tematica era del tutto rimossa, due convegni su clericalismo e sessuofobia, al cui interno c’è anche la tematica omosessuale, testimoniano l’internità della polemica anticlericale al progetto radicale. Il Partito radicale gioca dopo il ‘68 un ruolo specifico nella radicalizzazione politica del paese, coprendo un terreno che la sinistra per ragioni diverse lascia scoperto, il PSI per l’alleanza di governo con la Democrazia cristiana, il PCI per la sua cultura  poststaliniana. Le iniziative sul divorzio e sull’aborto e il rapporto con il primo nucleo visibile del movimento omosessuale, il Fuori , danno una forte caratterizzazione al lavoro politico dei radicali.
Questo partito tuttavia non è in grado di garantire diritti e processi ampi di laicizzazione. Negli anni Settanta, sia pure con difficoltà e mediazioni al ribasso (vedi la legge 194 sull’aborto) furono la spinta dei movimenti popolari e la tardiva assunzione di responsabilità del PCI a battere l’integralismo cattolico, come sempre assolutamente intransigente su un tema e sull’altro. Il limite del Partito radicale è quello del vecchio liberalismo, che fu poi costretto a scegliere tra coerenza con se stesso e capacità di arginare il movimento operaio organizzato in partiti socialisti o comunisti. Coniugare laicità e religione del mercato significa essere due volte distante dalla vastissima parte di popolazione che sgobba per l’intera giornata e fatica ad arrivare alla fine del mese.
La lotta contro le superstizioni popolari, di cui l’omofobia e l’eterosessualità obbligatoria sono  espressioni, passa necessariamente per una crescita culturale diversa da quella prodotta dai processi di scolarizzazione per altro assai lenti e contraddittori.
Solo se l’incontro con la cultura laica e gli/le intellettuali che ne sono portatori avviene in  forme di organizzazione  popolare in grado di affrontare  i problemi della vita quotidiana (il salario, la pensione, la salute, la casa, i trasporti ecc.) la laicizzazione è  possibile. La storia ci lascia moltissime testimonianze dell’impotenza di una laicità e di una razionalità che considerino  laico e razionale il dominio di classe e le logiche distruttive di un mercato lasciato a se stesso.
Si aprirebbe a questo punto un altro capitolo, quello delle superstizioni popolari diverse da quella religiosa: la bontà insostituibile del mercato o, al contrario, l’abolizione del mercato come soluzione di tutti i problemi; il partito degli illuminati detentore per definizione della verità ecc. Ma  sarei fuori dal tema che mi è stato assegnato. Una sola cosa, brevemente. Il problema non ha altra soluzione, nei limiti in cui una soluzione è possibile, che l’esercizio permanente dello spirito critico di massa, cioè la democrazia e una democrazia non formale, ma in cui  il proletariato, il popolo, la “moltitudine” – o come ciascuna preferisce dire – non deleghino ma pensino e agiscano per sé.
   

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