GUIDA ALLA DECIFRAZIONE DEGLI STEREOTIPI SESSISTI NEGLI ALBI

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Impariamo a decodificare le immagini destinate ai bambini
È attraverso le immagini che gli albi illustrati trasmettono una visione sessista
della famiglia e della società.
Se al momento del loro ingresso nella scuola materna, verso i tre, quattro anni,
i bambini e le bambine si sono già identificati nel loro ruolo sessuale e conoscono
il comportamento appropriato a ciascun sesso, i libri illustrati, supporto
essenziale nelle classi della scuola materna, perfezionano questa identificazione:
dicono con insistenza che la funzione delle donne è occuparsi del lavoro domestico
e dei bambini e quella degli uomini guadagnare denaro. Che gli uomini
sono responsabili, creativi, eroici, leali, capaci di amicizia disinteressata e che,
con l’eccezione della madre, fonte di attenzioni, consolazione e soprattutto di
servizi, e della bella principessa che sposa il principe, le donne sono meno intelligenti
e istruite degli uomini e sovente sono frivole, approfittatrici, spendaccione
e malevole.
Queste immagini stereotipate sono mutilanti per le bambine, ma immiseriscono
anche i maschietti. Di fatto la simmetria vuole che si rifiutino a un sesso le
caratteristiche e i comportamenti che vengono attribuiti all’altro.
Se i ragazzi sono attivi e coraggiosi, le bambine, secondo lo schema tanto rassicurante
della complementarità, non potranno che essere timide e passive.
Se le bambine sono affettuose e sensibili, ai maschi non rimane che mostrarsi
violenti.
Negli albi, le qualità “positive” sono più spesso attribuite agli uomini e ai ragazzi;
ma mentre le bambine vengono private di modelli attivi e autonomi, nello
stesso tempo anche il territorio dei ragazzi si riduce, limitandoli nell’espressione
dell’affettività, della sensibilità estetica e delle capacità manuali, spingendoli a
conformarsi ad un’immagine culturalmente povera della virilità.

I ruoli rigidi imprigionano e modificano la personalità. La libertà e la creatività
nel comportamento dipendono dalla possibilità di inventarsi, attingendo da
modelli diversi e ricombinandoli in un insieme originale che rappresenti una
vera scelta.
La semplificazione dei comportamenti dei personaggi femminili rende poverissime
le proposte rivolte alle bambine, lasciando loro solo due alternative: l’obbedienza
al modello tradizionale con la conseguente rinuncia ad ogni aspirazione
personale, o l’imitazione di modelli maschili con la rinuncia alla “femminilità”.
La terza opzione, quella di conciliare la vita di una donna con la vita professionale,
è una strada difficile di cui gli albi non danno minimamente conto e in cui
le ragazze saranno costrette a impegnarsi senza modelli di sostegno.
Al tempo stesso i ragazzi, privi di modelli femminili, non concepiscono l’esistenza
di donne che possano recitare nella società e nella propria vita altro ruolo che
quello, ancillare e consolatorio, che i libri suggeriscono.
Un lessico di immagini simboliche è indispensabile per comunicare con bambini
che ancora non leggono. Se attualmente esso serve, nella maggior parte dei casi,
a sostenere ruoli stereotipati e modi di vivere non ugualitari, nulla impedisce agli
autori e alle autrici di riconvertirlo nella proposta di nuove relazioni e comportamenti.
Una mamma che esce di casa con la sua valigetta portadocumenti, o che legge il
giornale seduta in poltrona, direbbe ai bambini che le madri possono esercitare
una professione, essere autonome, curiose, informate…
Un’immagine che mostrasse, senza ironia e senza grembiuli a fiorellini, un papà
che stira, direbbe ai bambini che dividere il lavoro domestico è normale…
Adela Turin 2003

Un lessico simbolico
Le immagini, facendo uso di un lessico simbolico che i bambini imparano a distinguere
molto presto, li istruiscono sui ruoli sessuati nella famiglia e nella società e
sulle caratteristiche psicologiche degli uomini e delle donne, dei bambini e delle
bambine, presentate come innate e naturali.
Ecco alcuni dei simboli più frequenti:
Il grembiule è il simbolo principale del ruolo femminile: il lavoro domestico, la cura
dei bambini. Il ruolo del grembiule non è quello di proteggere gli abiti: la madre
lo porta anche in strada e il padre fa la sua (piccola) parte di lavoro domestico
senza grembiule. Il grembiule è il vessillo casalingo della donna.
Altri simboli come secchi metallici, spazzoloni da gran tempo caduti in disuso,
scope di filacce, camicioni, fanno frequenti apparizioni nelle immagini, per mostrarci
madri che lavorano in condizioni penose e umilianti e per parlarci del carattere
immutabile del lavoro domestico, della sua perenne fatalità. Per dirci anche
che la tecnologia non è cosa da donne. L’immagine di una donna a quattro
zampe, con una ciocca di capelli negli occhi, che strofina il pavimento con uno
spazzolone è ancora presente negli albi.
La poltrona è maschile. Massiccia come un trono: luogo e simbolo del potere
domestico.
Nell’appartamento degli albi (il più delle volte ammobiliato come in un Ikea planetario)
la poltrona di papà è un elemento in distonia.
Sempre monumentale, sovente antica, è la poltrona del nonno, il trono di un potere
patriarcale inamovibile, ereditario.Paradossalmente il lavoro del papà è rappresentato
dal suo riposo… Aspettando la cena che “viene preparata” in cucina,
il papà si riposa dalle fatiche del solo lavoro che, con gli albi, i bambini imparano
a rispettare: il lavoro remunerato dei papà.

Il giornale (e la TV) riassumono tutto ciò che concerne il mondo fuori dalla casa: la
politica, la cultura, lo sport… domini tradizionalmente riservati agli uomini, in cui
sovente le donne si sentono fuori posto e disorientate.
Ma sono anche i simboli del diritto a non fare niente, a essere lasciati in pace: il papà
è intento a leggere il giornale (e/o a guardare la TV) mentre aspetta la cena.
Il giornale spiegato è il club maschile da cui le donne e le seccature della quotidianità
sono escluse, lo schermo dietro cui lui si può trincerare, preservando e isolando
il suo spazio. Rappresenta inoltre il suo diritto a fornire informazioni e condizionare
le opinioni, la sua autorità in materia di politica, di tecnologia, di attualità, di sport…
Negli albi la poltrona, il giornale e la TV sono simboli molto forti della dominazione
domestica del padre.
La valigetta simbolizza la professione: serve a fare di un uomo un dirigente, di
una donna, eventualmente, un’insegnante o una segretaria. Se a possederla è la
mamma (eventualità che gli albi non contemplano, ma che abbiamo testato), agli
occhi dei bambini diventa una borsa della spesa, una sporta.
Gli occhiali sono il sapere, l’autorità, l’intelligenza. Il dottore, l’avvocato, la maestra,
portano gli occhiali. Qualche volta ci dicono che una bambina è furba, ma poiché
resta inteso che ne risulta imbruttita, si ribadisce la tradizionale incompatibilità, in
una donna, di bellezza e intelligenza. La madre non ha gli occhiali quasi mai.

Colori, gatti, cani, nastri… dettagli significativi
I colori degli abiti sono fortemente codificati nelle immagini degli albi. Fanno parte
dei mezzi a disposizione degli illustratori per precisare il genere e il ruolo e per
descrivere il carattere dei personaggi.
Finché si tratta di bambini piccoli, celeste e rosa sono sufficienti, ma nel caso degli
adulti i colori costituiscono una vera e propria tassonomia.
I colori caldi sono femminili, quelli freddi e scuri sono maschili.
I colori pastello parlano di femminilità aggiungendo una sfumatura che può essere,
a seconda del contesto, l’età giovanile, la dolcezza, la timidezza e anche la
stupidità.
Il rosa e il lilla sono riservati alle civette ridicole (in genere zitelle); i colori “drammatici”
come il viola, il rosso scuro, il fucsia caratterizzano personaggi femminili
negativi o trasgressivi (la vicina pettegola, la bella donna eccentrica, la donna di
potere, la strega…).
Si usano il marrone spento e il grigio come colori dell’indigenza e/o la vecchiaia
di una donna o di un animale femmina.
Per gli animali vestiti, questo codice serve a precisare il sesso, l’età e la principale
caratteristica del personaggio: un fiocco rosa basta a dire che si tratta di un femmina
giovane e frivola e senza precisazioni nel testo si saprà se la coniglietta è
una ragazza civettuola, una mamma, una nonna, una vicina impicciona…
Entrando a scuola i bambini sapranno, davanti ai portamantelli dipinti di verde o
di arancione, dove appendere i loro cappotti a seconda del sesso.
Nell’araldica sessista degli albi, due animali: il gatto e il cane.
Legato al focolare e all’interno della casa, alle streghe e al diavolo, simbolo di infedeltà,
di pigrizia, di egoismo, di sensualità, ma anche di dolcezza, grazia e
bellezza, il gatto è il compagno preferito della donna e della bambina, mentre il
cane, che è un animale da spazi aperti, simbolo di lealtà, fedeltà, stoicismo, coraggio
e intelligenza, accompagna più sovente l’uomo o il ragazzo.
Marmellate, pasticcini, dolciumi parlano di femminilità.
Come la menzogna e l’astuzia, la ghiottoneria è assegnata alle donne nella grande
distribuzione dei peccati capitali. E come tutto ciò che si vuole contrassegnare
al femminile, i dolci sono coperti di glassa rosa e sovraccarichi di decorazioni.
Anche le scarpe hanno la loro utilità: le pantofole in cui sprofondano i piedi della
madre, indicano ai bambini che lei non si muoverà da casa, mentre le scarpe di
papà dicono che lui uscirà per andare al lavoro.

Lo stesso messaggio del grembiule portato anche in strada:
la mamma è fuori, ma in realtà non ha mai lasciato la casa.
Festoni, fiocchi, volant, significano frivolezza, civetteria,
scemenza. I fiori servono a caratterizzare le femmine nel
caso degli animali umanizzati: eccoli spuntare sul cappello
e qualche volta direttamente dal cranio di conigli e foche.
Nella loro versione più ingenua i fiorellini stanno a significare
semplicità di spirito, sprovvedutezza.
I testi del XIX secolo spesso paragonavano le fanciulle a
“piccoli fiori che un soffio fa appassire…” in racconti che le vedevano bionde e
pallide, giacenti in bare di cristallo, come la bella addormentata.
Dagli abbecedari e libri di lettura del XIX secolo, fino agli albi dei giorni nostri,
le immagini destinate ai bambini hanno lo scopo di istruirli suoi ruoli sessuati.

Un simbolo molto forte: la finestra, ripropone il tema della passività della ragazzina.
Limite estremo di un interno, la finestra è il luogo della nostalgia, dell’attesa,
della mestizia. Principesse prigioniere nella torre del castello, fanciulle romantiche
in attesa del grande amore, bambine malinconiche, guardano scorrere la vita
senza lasciare il loro posto: l’interno della casa.
L’ingresso negli albi delle “nuove bambine”, robuste e sovente brutali, del tipo
“maschiaccio” (è l’alternativa che più di frequente gli autori trovano alla piccola
ebete di un tempo) rende la metafora burlesca.
Se fino a poco tempo fa le immagini mettevano in ridicolo le donne di potere (direttrice
di scuola dittatoriale, regina dispotica, vicina autoritaria) così come le vecchie
zitelle (il nubilato negli albi non è visto come una scelta possibile per la donna)
questi modelli alternativi hanno lasciato il posto al solo ruolo femminile accettabile:
quello della madre-serva.
Ma l’assenza più flagrante negli albi è quella della donna medica, avvocata
(professioni già molto femminilizzate), autista di autobus, pilota d’aereo, architetta,
ingegnere, direttrice d’orchestra, dirigente, ministra, presidente della
repubblica…
E soprattutto quella della madre che ha anche altre preoccupazioni e occupazioni
oltre il lavoro domestico e quella della coppia che divide equamente il lavoro
quotidiano e la cura dei bambini.

Le immagini dei libri illustrati: una testimonianza
storica sui ruoli nella famiglia
In tutte le classi sociali, l’educazione dei bambini, dopo
la prima infanzia, ha per lungo tempo rispettato la
separatezza dei sessi.
Nelle classi agiate la madre si occupava dell’educazione
delle bambine e il padre della formazione dei
ragazzi. Nelle classi popolari, la madre istruiva le figlie
nelle incombenze domestiche e materne e il padre iniziava
i figli al suo mestiere.
Le trasformazioni che seguirono lo sviluppo capitalista
e la sparizione delle imprese famigliari provocarono la
dissociazione tra lavoro e vita domestica.

L’immagine della madre
Nelle storie che la stampa per adulti destinava ai
bambini (prima dell’esplosione della letteratura infantile
all’inizio del XX secolo) sovente si vedeva una
madre povera che moriva, affidando alla maggiore
delle sue figlie la cura della casa, del padre e dei fratelli
più piccini.
Era la constatazione di una realtà: l’ignoranza dell’igiene,
ma soprattutto lo stato di salute delle donne
nelle campagne, mal nutrite, sfiancate dal lavoro,
continuamente incinte, uccideva le madri prematuramente.
Presto i vedovi si risposavano e in queste famiglie
ricomposte, ancora così frequenti nel XIX secolo, il
padre, innamorato della sua seconda sposa molto più
giovane, non vedeva di buon occhio i figli del suo
primo matrimonio.
Dopo il Medioevo i racconti di fate danno conto di
queste situazioni: la “madre buona” moriva lasciando
al suo posto la seconda moglie del padre, la
“matrigna”.
In un racconto del XIX secolo, si racconta senza mezzi
termini ai bambini che un pugno del padre (brav’uomo,
ma irascibile) ha causato la morte della moglie
ammalata di tisi, la quale, morendo, chiede alla figlia
più grande di avere buona cura del babbo.
La sua preoccupazione è il frutto dell’amore, non
necessariamente del perdono. Cosa ne sarebbe stato
dei figli se il padre fosse, anche lui, scomparso?
Fino all’inizio del XX secolo la maternità è rimasta
pericolosa.
Sofferenze e rischi della maternità erano visti dai libri
come equivalenti a quelli che gli uomini affrontavano
in guerra e così erano presentati ai bambini…

La madre dei bambini dei XXI secolo: una serva, sovente
disperata, che perde il controllo, che diventa violenta.
Qualche volta una megera…
A partire dagli anni Sessanta, quando le donne entrano
numerose nel mercato del lavoro, l’immagine della madre
negli albi per bambini ha cominciato a deteriorarsi fino a
diventare la più degradata della storia.
Un esempio estremo è la madre di “Benny” (Lindgren e
Lanström, 1999, al fondo della pagina) che in tutto il libro
non fa che sfaccendare nelle ripugnanti condizioni motivate
dalla scelta del personaggio.
Se l’immagine della madre è stata un tempo quella di una
casalinga dal grembiulino civettuolo che confezionava torte
per i suoi bambini, gradualmente è diventata quella di una
schiava domestica distrutta dalla fatica, interminabilmente
occupata dalle faccende, spesso tecnologicamente incapace,
impotente o in preda al panico di fronte a un aspirapolvere che
inghiotte il gatto o a un ferro da stiro che si mette a fumare.
La madre sottoproletaria, esausta e miserevole è talvolta sostituita,
negli albi più “attuali”, da una giovane donna affranta
di cui si potrebbe intuire una certa avvenenza se solo trovasse
il tempo di pettinarsi, se non avesse l’orlo della gonna
scucito, se lasciasse perdere il grembiule e le pantofole, se
fosse meno stanca e di miglior umore.
Che queste immagini illustrino i dati che ci sono noti sulla
divisione del lavoro domestico non giustifica il fatto che gli
albi banalizzino e legittimino una situazione intollerabile.
Assumerne l’evidenza agli occhi dei bambini, senza criticarla,
significa contribuire alla sua eternizzazione.

La visione della famiglia attuale
L’immagine della famiglia che gli albi offrono ai bambini non prevede scene in cui i
genitori sono tra loro in relazione affettiva o amorosa, non li mostra mai intenti a
conversare o a divertirsi insieme. Il padre è assente e non lo si vede se non nell’inevitabile
scena del pasto serale.
La drammaturgia di questo momento cruciale nella vita della famiglia vuole che la
madre, in piedi di fronte al marito e ai figli seduti a tavola, presenti gli alimenti con
un gesto di oblazione quasi liturgico. Un’immagine di cui il significato simbolico è
evidente, che sembra procedere da un’antica cultura rurale.
Il rituale comporta sovente una zuppiera, che la madre porta come un ostensorio:
si comprende che è il simbolo dell’offerta che lei fa alla famiglia della sua vita
intera. Il gesto è tanto più significativo se si pensa che la zuppiera è un oggetto
desueto, che la maggioranza dei bambini (soprattutto quelli, numerosissimi, la cui
mamma di ritorno dal lavoro, prepara un pasto in gran velocità) non ha mai visto.

Le due madri
Ai due estremi di questa ristretta gamma di madri stanno la madre di un ragazzo e
quella di una bambina. La madre del maschio è la “madre serva”. La sua immagine
più estrema è quella di una donna senza età, indigente, scarmigliata e stralunata.
Giovane e sfinita o miserabile e non più giovane, la madre di un maschio è totalmente
al servizio del figlio. Il suo ruolo non è mai di educatrice: nella sua ignoranza
e banalità non è in grado di insegnargli nulla, le lezioni vengono tutte dal padre.
La madre della bambina invece è correttamente abbigliata, disponibile, pronta a
impartire un’educazione. La si vede insegnare alla figlia come fare le torte, disporre
i fiori in un vaso, portarla con sé quando va a fare acquisti di abbigliamento.
Si capisce che è incaricata di una missione: trasmettere il suo savoir-faire di padrona
di casa e, in tal modo, perpetuare il ruolo.
Questo doppio personaggio di madre, che incoraggia nelle bambine l’identificazione
con il ruolo e nei maschi il disprezzo per le caratteristiche descritte come
naturalmente ed esclusivamente femminili (in primo luogo impersonate dalla
madre) è lo strumento più flagrante, e forse uno dei più efficaci, usato nell’impresa
che gli albi conducono da secoli, di condizionare i bambini ai ruoli sessuati.

Spazi sessuati nella casa…
Ai ruoli del padre e della madre corrispondono gli spazi della casa: la madre è rappresentata
in cucina, il padre sulla “sua” poltrona in soggiorno o in sala da pranzo.
Se per caso si vede il padre in cucina, c’è da scommettere che sta asciugando un
piatto (gli albi, che ignorano l’esistenza delle lavastoviglie, stentano a trovare per il
papà un altro lavoro di casa che non sia la rigovernatura!).
Certi libri presentano, a distanza di
alcune pagine, immagini simmetriche
che insistono sui ruoli: la
mamma in cucina (panieri, legumi),
papà alla scrivania (matite, occhiali,
calcolatrice…)

Il lavoro
Chi fa che cosa nella strada, negli aeroporti, negli studi medici, negli ospedali,
sugli aerei, nei supermercati, nei teatri, negli studi televisivi e in quelli degli artisti,
nei campi sportivi, alle sfilate di moda, nei laboratori?
Nei libri che insegnano ai bambini a conoscere la vita della città, si vedono spazi
urbani (piazze, mercati ecc.) occupati da uomini che esercitano ogni sorta di mestiere
e da alcune donne che chiacchierano, fanno acquisti o portano a passeggio
i bambini.
In questo esempio: 35 uomini, 20 mestieri (meccanico, cuoco, camionista, fornaio,
salumaio, antiquario, cineasta, fotografo, attore, produttore cinematografico,
terrazziere, giornalaio, gasista, rappresentante, uomo d’affari, lattaio, pompiere,
insegnante…) e 5 donne caricaturali: due sono obese e fanno shopping, una dà
da mangiare agli uccelli, due chiacchierano ignorando le proteste del bambino
che le accompagna.

I padri che “aiutano”
Negli anni Ottanta una folla di padri ha cominciato, negli albi, ad “aiutare”.
Ridicolizzati da un grembiule troppo piccolo, qualche volta a fiorellini, li si vedeva
lavare i sempiterni piatti o devastare la cucina per preparare un pasto se circostanze
veramente eccezionali lo richiedevano.
È il caso di un papà che la malaugurata angina della mamma obbliga a fare nel
corso di una domenica ciò che la mamma fa tutti i giorni della settimana (il sabato
sono le due bambine ad occuparsi della casa “come vere donnine”).
All’ultima pagina lo si vede “affranto” sprofondato nella sua poltrona.
“Ma per fortuna la sera la mamma è quasi guarita e già scende dalla sua stanza…”
dice il testo.
Questo padre ridicolo e inetto spiega ai bambini che è stato gentile, di fronte
all’emergenza, ad uscire dal suo ruolo e dalla sua dignità, ma che occuparsi dei
bambini e della cucina, anche per un giorno solo, lo sfinisce. Il che dimostra che
non è fatto per questi lavori.

I "nuovi padri"
o il recupero del legame affettivo con i bambini
L’ondata di nuovi padri degli anni 2000 non ha portato soltanto dei papà plausibili.
In mancanza di nuove madri e di nuove famiglie ugualitarie, gli albi ne fanno
spesso degli scapoli strampalati o dei divorziati patetici
Ma può capitare anche di vedere dei veri padri che tengono i loro figli (preferibilmente
ragazzi) teneramente in braccio.
Possiamo solo rallegrarcene, ma ci domandiamo perché non li si vede mai cambiare
i pannolini, fare il bagno, lavare o nutrire i bambini, spingere il passeggino…
E’ vero che certi albi ci spiegano che questi padri affettuosi hanno soltanto il sabato
da dedicare ai bambini (mentre la mamma si occupa di tutto il resto?)
Anche se qualche volta si vede apparire una famiglia conviviale come in "Il
segreto di Marie” di David Mc Kee… sarebbe vana la ricerca, negli albi, di una
coppia che faccia i lavori di casa insieme.

109 bambini e 95 bambine di età compresa tra i sette e i dieci anni
hanno confermato, nel 2003, l’efficacia degli stereotipi sessisti
La prima immagine presentata ai bambini aveva caratteristiche volutamente
ambigue: un orso grande e grosso, privo di qualunque caratteristica femminile,
anzi di tratti mascolini, ma vestito da un grembiule con la pettorina.
Quest’ultimo è decisamente l’elemento prevalente. Lo
stereotipo che fa dire a 153 bambini su 204 che il personaggio
è una mamma e che ne hanno la certezza
per via del grembiule.«I maschi non mettono il grembiule,
perché il grembiule è da femmine».
«I papà non cucinano. Se fosse il papà andrebbe a comprare
una pizza!»
Nei rarissimi casi in cui l’orso col grembiule viene
riconosciuto come papà orso intento a cucinare, l’intervistato
precisa che mentre lui cucina «la mamma fa
le pulizie e gli orsetti sono fuori in giardino a giocare»,
oppure una gerarchia nei ruoli di genere è ristabilita
in questo modo: «Il papà cucina con il grembiule e
intanto la mamma lava per terra».
Nei casi in cui l’orso non viene riconosciuto come personaggio femminile, le
motivazioni sono spesso legate alle sue caratteristiche fisiche (corporatura
imponente, unghioni, denti) o di comportamento: l’orso sembra rivolgere a
qualcuno un gesto piuttosto imperioso. «Non è un grembiule è un tovagliolo e
l’orso sta dicendo a sua moglie: “Ho fame. Portami la cena!”».
Qualche volta emerge una conflittualità: se l’orso fosse maschio starebbe dicendo
«Non ho nessuna voglia di cucinare», mentre se fosse femmina direbbe: «Devo
sempre fare tutto io in questa casa, la pulizia, cucinare…» sembra di assistere a
una discussione troppe volte ripetuta.
Ed ecco invece un’espressione significativa a proposito dell’oblatività affettiva
del ruolo materno: «Se l’orso che cucina è il papà, ciò che dice agli orsetti è di non
mettere in disordine la cucina. Se invece è la mamma, dice di stare attenti a non
farsi male.»
Infine, sempre nell’ambito di quel 25% che all’orso col grembiule ha attribuito
il genere maschile, 11 dei nostri intervistati lo hanno immaginato impegnato in
un’attività professionale e il grembiule è diventato quello di un macellaio, di un

fruttivendolo, di un cuoco, oppure: «L’orso ha una bella faccia da maschio. È un
pizzaiolo che grida “Ora faccio una bella Margherita!”».
Se il grembiule aveva rappresentato uno stereotipo
femminile largamente riconosciuto, la seconda immagine
proposta ai bambini è stata, ancora più massicciamente,
accreditata alla mascolinità. Di nuovo un
orso, privo di connotazioni di genere, ma impegnato
nella lettura di un quotidiano.
«La mamma non ha mai il tempo di leggere. Deve fare
i lavori…» E di che cosa si interessa il papà? «Le notizie,
ma soprattutto lo sport». E la mamma non si interessa
delle notizie? «Nooo… La mamma il giornale lo
guarda la sera, quando ha finito tutti i lavori» Che cosa legge nel giornale la
mamma? «Mah… Le diete. Le ricette. La moda. I consigli per la salute dei suoi
bambini».
Sì, anche quando finalmente trova un momento per leggere, la mamma è sempre
intenta a pensare al bene della famiglia, alla salute e al benessere dei figli, ai
manicaretti che potrà preparare per rendere tutti felici.
In sostanza nell’immaginario dei bambini (184 su 204) c’è una rigida divisione
dei ruoli sessuali: estroverso quello del padre, che legge il giornale, o per informarsi
sull’attualità, o per distrarsi con le imprese sportive dei suoi campioni. In
quest’ultimo caso la lettura non è solamente estroversa, ma ha anche un carattere
edonistico di autogratificazione. Introverso, centripeto, orientato sul piacere
di altri e sul bene della famiglia, è invece nell’immaginario dei bambini, l’interesse
della madre.
Ma sulla lettura del giornale c’era una domanda di
riserva con un’immagine appropriata: all’orso di
prima era stata messa una collana che ne femminilizzava
decisamente l’immagine.
Ma in molti casi neppure con la collana l’orso diventa
un’orsa o il papà diventa la mamma: «È il papà che ha
messo una collana per sembrare più bello» «È il fratello
maggiore, che è “strano” e molto vanitoso». «È un cane»
ha affermato con decisione un ragazzino di nove anni,
«si vede dal collare». Davvero? E che cosa legge? «Un
giornale per cani» è stata la risposta, in cui si intravvedeva una considerazione

abbastanza scarsa per un’intervistatrice che faceva domande così ovvie.
«È un’orsa, però è strana se si ferma a leggere durante il giorno». Se la mamma sta
leggendo il giornale, è perché in quel momento i bambini sono a scuola, o a dormire,
e il papà è a pesca o al lavoro. Insomma perché la mamma possa avere un
attimo di pace, un momento da dedicare a se stessa, bisogna che tutta la famiglia
sia addormentata o altrove. Se poi si ha il riconoscimento dell’orso con la collana
come femmina, è una signorina, una sorella maggiore, una studentessa,
un’orsa giovane . Un esame sommario fa contare 26 risposte di questo tipo, che
fanno capire come i bambini siano ben consapevoli della fatica quotidiana che
la maternità implica, ma la considerino un fatto naturale.
I papà lavorano e lavorare, si sa, stanca. Per questa
ragione questo stanchissimo orso che riposa in poltrona
è il più delle volte definito un papà.
Non sempre. Qualche volta anche la mamma è stanchissima,
ma raramente può permettersi di riposare
in poltrona.Ci sono però altre figure: il nonno, un fratello,
un amico del fratello, un bambino. Bisogna
osservare che l’orso giovane è una femmina in soli 3
casi su 43 e questo ci porta più o meno alla proporzione
che abbiamo tra il papà e la mamma: 112 a 12.
Nel caso del giovane orso si deve osservare che si considera normale da parte sua
il fatto di essere un completo scioperato. Come mai è così stanco? «È stanco perché
ha giocato tutto il giorno», «È stanco perché la notte prima è andato in giro con
gli amici ed è rincasato tardi».
Quando l’orso ha un aspetto più vigile, meno rilassato,
l’attribuzione alla mamma diventa un po’ più frequente
e cala quella al giovane orso. Tuttavia: «Sembra
una femmina, però sono i maschi che stanno vicino al
camino e si scaldano. Le donne vanno a far la spesa e
non si siedono davanti al fuoco. Questa sta seduta, ma è
anomala». «Quando diventano grandi le femmine
devono stare composte e si riposano solo quando vanno
a dormire. Le mamme orse non dormono di giorno.
Quando si riposano poi non si “stravaccano”, ma stanno
sedute». «Questa è un’orsa femmina che si sta alzando per andare a vedere i bambini,
poi va in bagno e si mette a pulire.»

Lo sguardo dell’orso è rivolto verso qualcuno, o qualcosa. Che cosa sta guardando?
Se l’orso è il papà la risposta più frequente è «la televisione».
Sovente intorno alla poltrona i bambini immaginano un soggiorno, arredato
con un divano e magari altre poltrone.Ma in soli 4 casi su 204 questo, che sembrerebbe
caratterizzato come spazio di relazione, ospita personaggi intenti a
conversare e in tutti i quattro casi la conversazione si svolge con degli amici o dei
parenti che sono venuti in visita.
Mai, in nessun caso, la conversazione ha luogo tra i genitori o tra i genitori e i
figli. Sembra insomma che la comunicazione all’interno della famiglia sia davvero
scarsa. In un solo caso i genitori sono stati immaginati seduti insieme sul
divano,mentre un figlio stava sulla poltrona, ma non stavano parlando: guardavano
una soap-opera alla TV.
Il passaggio dagli orsi agli esseri umani ha reso ancora
più immediata l’individuazione dei personaggi
all’interno di una rete di rapporti famigliari di cui i
bambini hanno esperienza.
Qui lo stereotipo da riconoscere era il collegamento
della figura ad un’attività professionale. In particolare
la valigetta portadocumenti lo suggeriva, ma anche
l’abbigliamento elegante e l’atteggiamento formale.
«È un dottore» «È un avvocato» «È un tecnico dei computer
». Ma anche «È un politico» «È un direttore» «È
un banchiere». Su quest’ultima professione bisogna
osservare che in alcuni casi i bambini non fanno distinzione
tra “banchiere” e “bancario”.
Molti hanno attribuito all’uomo sulla porta la professione del loro papà: «È un
commerciante» «È un muratore» «È un idraulico» «È un rappresentante, infatti
nella valigetta ha il suo campionario, da mostrare ai clienti».
Da dove viene? «Dall’ufficio» «Dal suo lavoro» «Dall’aver fatto visita a un un
cliente»
«La porta è la porta del suo ufficio, dove lo aspetta la sua segretaria» «In ufficio lo
aspetta il suo direttore per una riunione»
Quando il personaggio è sulla porta di casa, di ritorno dal lavoro, i bambini
immaginano che la sua famiglia lo attenda: «I figli stanno facendo i compiti e sua
moglie ha preparato la cena» E lui che cosa fa? «Si cambia d’abito, si lava le mani,
cena e poi va a dormire».

L’ultima immagine della serie era la versione femminile
dell’immagine precedente: una giovane donna in
tailleur, in atto di aprire una porta, con in mano una
valigetta portadocumenti.
Anche in questo caso l’abbigliamento e la presenza
della valigetta fanno identificare una figura di professionista,
ma la gerarchia riappare se le due figure vengono
considerate in sequenza: lui avvocato, lei segretaria;
lui medico, lei infermiera, lui direttore, lei maestra.
Non sempre è così. Qualche volta viene attribuita ad
entrambi i personaggi la stessa professione e, sovente,
ai due personaggi viene attribuita la stessa professione dei genitori degli intervistati
o il lavoro che vorrebbero fare da grandi: «È una scrittrice e nella valigetta
ha il suo ultimo romanzo» Arrivando a casa che cosa farà, questa scrittrice?
«Toglie le scarpe e la giacca e si mette al computer. Poi, quando arriva a casa anche
suo marito, va a preparare la cena».
È affascinante la concretezza e la precisione con cui i bambini sanno spiegare il
funzionamento della divisione del lavoro nella famiglia e nella società.
Nessuno crede che il lavoro domestico si faccia da solo, come per magia. Tutti
sanno bene che è dalla mamma che dipende il buon funzionamento della vita di
tutta la famiglia. La donna sulla porta «È una signorina che entra in casa, fa l’impiegata.
Trova tutto ordinato e il tavolo già apparecchiato dalla sua mamma. Non
è sposata».
Insomma la donna, finché è giovane, può beneficiare di alcuni servizi, a spese di
un’altra donna (di solito la madre), ma è evidente che non appena diviene lei
stessa moglie e madre, questi privilegi diventano un ricordo. Il dispositivo culturale
che sottostà alla divisione del lavoro attraverso il genere è talmente ampio
ed efficace da apparire come l’ordine naturale delle cose: «È una mamma. È tornata
a casa dal lavoro in anticipo per lavare, stirare e occuparsi dei figli. Si vede
dall’espressione del volto. Si vede che è felice».
Non adattarsi al dispositivo culturale può significare solitudine e anche questo
fatto è tutt’altro che incomprensibile ai bambini.
Ferdinanda Vigliani
Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile
© Du côté des filles
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QUANTE DONNE PUOI DIVENTARE?

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