1. Queer Theory
Cercheremo ora di mettere in luce come i paradigmi teorici e gli strumenti dell’azione politica della queer theory si ritrovino in molti studi che hanno interessato le potenzialità del cyberspazio come luogo di sperimentazione di identità sessuali alternative. La riflessione cyberfemminista, fin dalle origini, si è largamente interessata delle politiche identitarie rese possibili dallo spazio virtuale. Come avviene la rappresentazione dei sessi nella realtà virtuale? L’esperienza d’identità sessuali multiple, che spesso si realizza nelle comunità virtuali, è uno strumento utile per mettere in discussione il legame fra sesso, genere e desiderio sessuale? Si può paragonare la costruzione di un avatar ad una masquerade queer?
1. Queer Theory
La prima studiosa che adottò il termine queer per riferirsi alla teoria sull’omosessualità gay e lesbica fu Teresa De Lauretis, che, nel 1990, parlò di queer theory durante un convegno. La scelta del termine – spiega De Lauretis – nacque dall’esigenza di evitare aggettivi quali “lesbico-e-gay” e “lesbigay”, al fine di scoraggiare l’identificazione fra omosessualità lesbica e gay (differenti per storia, tradizione e simbologia) e la loro caratterizzazione unicamente per contrasto con l’eterosessualità[1].
Con queer theory oggi s’intende la più recente evoluzione degli studi gay e lesbici, che si interessano, fra l’altro, di fenomeni come il travestitismo, l’ermafroditismo, l’ambiguità di genere, le operazioni per il cambiamento di sesso. La ricerca opera nella direzione di mettere in crisi il concetto di sessualità “naturale”[2]. Dimostrazioni e decostruzioni accademiche da un lato e performance di varia natura dall’altro sono gli strumenti adottati per rivelare l’incoerenza dei tre termini – sesso, genere e desiderio – sui quali si fonda la normalizzazione dell’eterosessualità.
Il percorso che conduce all’elaborazione della queer theory parte da autori come Foucault, Irigaray, Kristeva per arrivare ai suoi punti di riferimento teorici quali Gender Trouble (1990) e Corpi che contano (1993) di Judith Butler.
La riflessione di Butler riguarda il potere. Ella individua nell’economia dell’eterosessualità fallica l’atto fondativo dell’ordine simbolico patriarcale, che esercita il suo dominio mediante il potere performativo del linguaggio: la citazione e la ripetizione della norma producono ciò che viene nominato, non si limitano a significarlo.
La critica al soggetto e all’identità ha fra i suoi massimi esponenti Michael Foucault, che ricostruisce una genealogia del soggetto fondata sull’indagine dei suoi processi di costruzione, risalendo fino al “corpo” che egli considera dato per natura e non costruito.
“Ma è in questa apparenza che il regime del potere/discorso è più dissimulato e più insidiosamente efficace. Quando l’effetto materiale è considerato un punto di partenza epistemologico (…), si tratta di una mossa del fondazionismo empirista che, accettando l’effetto costituito come dato primario, riesce efficacemente a nascondere e mascherare la genealogia delle relazioni di potere dalle quali è costruito”[3].
Butler è più radicale di Foucault, e indica nella capacità del discorso dominante di darsi un fondamento materiale, il corpo, la sua mossa più scaltra, perché in grado di celare i processi che portano alla riproduzione dei meccanismi di potere. Ella sostiene la riformulazione della materialità dei corpi come effetto di una dinamica di potere, non è possibile – secondo la studiosa – scindere la materia dei corpi dalle norme che ne regolano la materializzazione e la significazione.
Assumendo criticamente parte del pensiero di Lacan, Butler riconosce nell’identificazione il momento chiave del “processo di assunzione”[4] di un sesso da parte dell’individuo, si tratta però di identificazioni fantasmatiche, instabili, multiple. Il discorso dominante propone delle identificazioni “lecite” – l’uomo e la donna eterosessuali – che conferiscono all’individuo lo statuto di soggetto, e ne rinnega altre, ad esempio la lesbica fallica e il gay effeminato, relegandole al di là dei confini del soggetto. L’insieme delle identificazioni precluse costituisce l’ambito dell’abietto, ovvero il territorio sociale temuto, “inabitabile”. Il soggetto, dunque, “si costituisce attraverso la forza dell’esclusione e dell’abiezione”[5].
La forza del sistema fallologocentrico consta nel suo essere pressoché intrascendibile. Uomo e donna rientrano entrambi nell’economia dell’eterosessualità, sebbene la norma preveda una posizione di subordinazione per quest’ultima, la stessa materialità dei corpi è prodotta dal linguaggio. Al di fuori dell’economia binaria risiede l’abietto, ma questo fuori rientra, in un certo senso, come “fantasma”: i fantasmi dell’abiezione abitano il soggetto in qualità di ripudio originario, sono le tracce lasciate dall’atto violento della formazione del soggetto. Per questa ragione Butler ritiene che il potenziale eversivo dell’immaginario lesbico sia maggiore di quello proprio dell’immaginario materno[6].
Detto ciò è necessario puntualizzare che la strategia eversiva elaborata dalla queer theory non consiste nel privilegiare un’identità esclusa a scapito delle altre, innescando nuovamente una logica di esclusione, quanto nel mettere in crisi i confini fra il dentro e il fuori, destabilizzando i caratteri eterosessuali, maschili, razziali delle identità “legittime”.
Così Cavarero riassume il progetto politico sotteso dal pensiero di Butler:
“La struttura, insomma, deve essere continuamente destrutturata: mediante una proliferazione inarrestabile dei posizionamenti simbolici che apra lo spazio per una democrazia radicale dove nessuna identità sia più fissa e, quindi, normale, normativa, egemone”[7].
Cerchiamo ora di precisare quali siano le strategie queer che si prepongono di mettere in crisi il binarismo eterosessista.
2. Il queer, il drag e altre azioni politiche
“(…)il termine queer (strano, strambo, bislacco) era da più di un secolo usato in senso spregiativo per designare una persona omosessuale, ma era già stato ripreso e riscattato dal movimento di liberazione gay e veniva usato con orgoglio da uomini e donne dichiaratamente o apertamente omosessuali.”[8]
De Lauretis presenta il termine queer mettendone immediatamente in evidenza il suo essere in divenire. Da un modo gergale per riferirsi agli omosessuali, a un vero e proprio insulto omofobico, fino ad essere adottato dalla comunità omosessuale stessa, lo si può oggi considerare un “termine ombrello” con cui ci si riferisce sia alle più recenti teorie lesbiche e gay, sia ad una “coalizione di identificazioni sessuali del sé culturalmente marginali”[9]. Il termine queer significa molte cose, non tutte coerenti, è fluido, permeabile, sfuggente. Il suo non essere mai completamente posseduto ne fa uno strumento di critica a tutte quelle identità politicamente utili[10], ma escludenti, che animano l’arena pubblica, fra cui il soggetto omosessuale stesso.
Questa sua funzione potrà svolgerla fintanto che conserverà le peculiarità che abbiamo descritto, dopo di che, scrive Butler:
“Il termine sarà revisionato, dismesso, reso obsoleto fino al punto che soccomberà alle istanze che lo oppongono precisamente a causa delle esclusioni dalle quali è attivato”[11].
Ma le pratiche queer che maggiormente ci interessano per il presente discorso sono quelle legate alle performance teatrali, artistiche, pubbliche, “politiche”. Esse sono spesso caratterizzate da una sorta di fusione, o almeno di non contrapposizione, fra il teatrale e il politico. Teatrali non sono solo gli spettacoli che si svolgono in luoghi preposti ad essere sede di manifestazioni, teatrali sono certe azioni sovversive che richiamano l’attenzione e mettono in discussione il paradigma eterosessuale. Molte sono le associazioni che organizzano manifestazioni, parate, feste non violente volte ad affermare la diversità sessuale e a combattere una lotta contro l’omofobia: kiss-ins, feste o incontri in cui i gay si baciano pubblicamente per farsi riconoscere, l’outing ovvero la dichiarazione pubblica dell’omosessualità di personaggi di rilievo non ancora venuti allo scoperto, addirittura l’iperbole della morte stessa con i die-ins, malati di AIDS che volontariamente scelgono di morire in pubblico, la pratica del cross-dressing, vale a dire feste danzanti in drag, spettacoli butch-femme e drag queen[12].
Queste pratiche rientrano, secondo Butler, nella crescente teatralizzazione della rabbia politica che ha origine dalla reazione al sentimento imposto della vergogna. Il moralismo occidentale, che ha a lungo accusato l’omosessualità di essere una pratica lubrica, più che essersi risolto è slittato trovandosi nuovi alibi. L’AIDS, ad esempio, è origine di vergogna e con esso l’omosessualità, considerata una delle cause della sua diffusione.
Ma il drag è in grado di sovvertire l’imperativo eterosessuale? La studiosa americana prende le distanze da facili ottimismi[13]. Se “la conformità iperbolica al comando può rivelare lo status iperbolico della norma stessa[14]”, ovvero se le performance che esasperano il rispetto delle norme che delineano ciò che è “maschio” e ciò che è “femmina” aiutano a svelare come questi imperativi siano culturali, ciò può non essere sufficiente a sovvertirli.
Il drag potrebbe ridursi ad essere l’allegorizzazione della fondamentale malinconia dell’eterosessualità che, richiedendo che identificazione e desiderio siano mutuamente esclusivi, bandisce il desiderio omosessuale.
3. Maschere virtuali in comunità immateriali
Il tema dell’identità di genere emerge fin dalle prime ricerche sulle comunità virtuali effettuate da studiose come Sherry Turkle ed Elizabeth Reid. Tali studi erano per lo più descrittivi, ricerche etnografiche che non tardarono a rivelare una delle possibilità più interessanti del cyberspazio: in una situazione in cui il corpo “reale” non è visibile e si vive una condizione di anonimato, i soggetti tendono a sperimentare la possibilità di dar vita ad identità multiple. Questo fenomeno è stato approfondito dalle autrici lungo il loro percorso di ricerca che, seppur non guidato da direttrici espressamente femministe, le ha portate ad individuare gli aspetti della vita sullo schermo interessanti per il discorso sul genere.
Elizabeth Reid, già in Identity and the Cyborg Body[15], mette in luce l’importanza che al genere viene attribuita nelle dinamiche interne ai MUD. Ogni partecipante deve creare un proprio personaggio scrivendone una descrizione, scegliendogli un nome e assegnandogli necessariamente un genere[16], mentre può omettere molte altre variabili sociali (razza, religione, classe). Inoltre, osservando le interazioni fra i personaggi dei MUD, ella rileva che molta parte dei discorsi in fase di conoscenza sono orientati a scoprire il genere “reale” dell’interlocutore e a convincerlo della veridicità del proprio.
Anche Sherry Turkle, analizzando una lunga serie di casi di gender-swapping[17]nelle comunità virtuali su cui lavora, evidenzia più volte “le potenzialità dei MUD come nuovi palcoscenici per lavorare sulle politiche riguardanti l’identità sessuale”, strumenti con cui “poter pensare e considerare la costruzione sociale dei sessi”[18].
Diverse ricerche successive mettono più esplicitamente in relazione la queer theory con l’esperienza vissuta come personaggi nelle comunità virtuali. In Text as Mask: Gender, Play and Performance on the Internet[19] Brenda Danet argomenta la rilevanza delle comunità virtuali come terreno d’indagine per gli studi di matrice queer, constatando come molte persone che mai sono state interessate prima ad una pratica di cross-dressing, stiano sperimentando l’identità di genere mediante gli incontri “testuali” su Internet.
Più specificamente rivolto all’analisi dei possibili risvolti che la pratica del “sesso virtuale” può avere per le politiche dell’identità, è il lavoro di Shannon McRae[20]. A proposito degli innumerevoli fenomeni di gender-crossing che si verificano in rete, scrive l’autrice:
“If boys can be girls and straights can be queers and dykes can be fags and two lesbian lovers can turn out to both be men in real life, then “straight” or “queer”, “male” or “female” become unreliable as markers of identity. It is not so much that gender roles or sexual preferences actually change as that cross-gender role play troubles the link between gender and desire, from wich we, unquestioningly, construct our identities as sexual beings.”[21]
Secondo McRae, giocare con il proprio genere on-line non è un’attività così eversiva come può esserlo sperimentarsi in performance drag nella vita reale e non porta quasi mai al cambiamento delle proprie preferenze sessuali, tuttavia, è un’attività che può contribuire a smascherare la falsa “naturalità” del legame fra genere e desiderio.
Proprio i meccanismi della costruzione del desiderio sono al centro degli studi di A.R. Stone che individua nei MUD un luogo d’indagine d’elezione per la sua ricerca. La comunicazione testuale che avviene nelle comunità virtuali è una comunicazione a banda ridotta e come tale necessita di essere “integrata” con le fantasie, le interpretazioni, l’immaginazione degli interlocutori, il desiderio viene teorizzato come risposta ad un’assenza percepita[22].
NOTE
[1] T. De Lauretis, Soggetti eccentrici, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 104-106.
[2] Una buona parte della queer theory porta avanti il suo discorso da una prospettiva femminista. La stessa Butler è una delle esponenti più eminenti del femminismo postmoderno.
[3] J. Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”. Feltrinelli, Milano, 1996, p. 30.
[4] Parlando di processo di assunzione operiamo una forte semplificazione. Secondo Butler non esiste un soggetto volontarista che subisce o si appropria di una norma, è piuttosto l’“io parlante” che si forma durante il processo di assunzione del sesso.
[5] J. Butler, Corpi che…, cit., p. 3.
[6] L’immaginario lesbico abita la zona dell’abiezione, incarna le possibilità precluse, il desiderio proibito, mentre il materno, seppur in relazione dialettica rispetto al maschile, rimane inscritto nell’economia binaria dell’eterosessualità e, perciò, nella liceità.
[7] F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia, Torino, 1999, p. 157.
[8] T. De Lauretis, Soggetti…, cit., p. 104.
[9] Per una riflessione sull’uso del termine queer si veda l’articolo: A. Jagose, Queer Theory, reperibile in Internet all’indirizzo http://www.lib.latrobe.edu.au/AHR/archive/Issue-Dec-1996/jagose.html e tratto dal saggio A. Jagose, Queer Theory, University of Melburne Press, 1996.
[10] Una delle questioni aperte del femminismo contemporaneo è relativa alla necessità di conciliare l’esigenza di affermarsi come soggetto politico e la volontà di non riprodurre i meccanismi di esclusione su cui si fonda il fallologocentrismo. Il cyborg di Haraway, il soggetto nomade di Braidotti, l’eccentrico di De Lauretis sono solo alcuni dei tentativi di risposta a questo problema.
[11] J. Butler, Corpi che…, cit., p. 171.
[12] Per cross-dressing s’intende il travestimento con abiti tipici del genere opposto. Drag è un’espressione colloquiale per indicare gli abiti dei travestiti. Durante le feste in drag si gioca con la propria immagine di genere travestendosi, in modo eccessivo e spettacolare.
Butch in inglese significa mascolino, maschiaccio e femme donna, moglie ma nel gergo relativo all’omosessualità per butch e femme s’intendono rispettivamente la lesbica mascolina e la lesbica femminile; drag queen sono invece uomini travestiti che indossano abiti femminili e trucchi vistosi parodiando spesso personaggi famosi o regine vere e proprie. L’obiettivo di questi spettacoli a tematica gay, sia i butch/femme che i drag queen, è per lo più di giocare col genere sfatando così l’immagine stereotipata di maschilità e femminilità.
[13] Ma anche da critiche estreme. La posizione di Butler nei confronti del drag è in posizione dialettica rispetto a quella corrente delle femministe radicali che considerano il drag offensivo per le donne perché pratica imitativa fondata sul ridicolo e la degradazione.
[14] J. Butler, Corpi che…, cit., p. 179.
[15] E. Reid, Identity and the Cyborg Body, capitolo 3 della tesi di laurea Cultural Formations in Text-Based Virtual Realities, Cultural Studies Program, Department of English, Università di Melbourne, Gennaio 1994. Reperibile in rete all’indirizzo http://www.rochester.edu/College/FS/Publications/ReidIdentity.html.
[16] La descrizione è libera, mentre l’assegnazione del genere è richiesta esplicitamente durante il processo di creazione di un personaggio. Molti MUD, tuttavia, danno la possibilità di scegliere anche fra quattro o più generi: uomo, donna, neutro, entrambi e altri ancora.
[17] Le espressioni gender-swapping, gender-crossing e gender-bending designano le performance (in genere sessuali) in cui il soggetto “interpreta” un personaggio di genere opposto al proprio.
[18] S. Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Apogeo, Milano, 1997, p. 321 e p.317.
[19] B. Danet, Text as Mask: Gender, Play and Performance on the Internet, In Cybersociety 2.0: Revisiting Computer-Mediated Communication and Community, a cura di Steven G. Jones, SAGE Publications, 1998.
[20] S. McRae, Flesh Made World. Sex, text and the virtual body, In Internet Culture, a cura di David Porter, Routledge, New York e Londra, 1997.
[21] Ibidem, p. 79-80.
[22] A.R. Stone, Desiderio e tecnologia. Il problema dell’identità nell’era di Internet, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 112-113.
Sandy Stone: Will the real body please stand up?
Stone focalizza il suo studio sulle comunità virtuali nella convinzione che esse agiscano come potenti apparati per la produzione di comunità e per la produzione di corpi.
1. Significato e storia delle comunità virtuali
Le comunità virtuali non sono peculiari dell’era elettronica: ciò che le definisce (oltre alla lontananza, alla mancanza della presenza fisica) è il loro costituirsi attorno ad un TESTO che incarna, organizza, forma lo spirito e gli ideali della comunità.
Stone traccia una breve storia delle comunità virtuali, dividendola in quattro capitoli.
Epoca uno: I testi. Boyle e la prima comunità scientifica . Viene messa in evidenza la capacità del testo, scientifico o di finzione, di creare la comunità, creando, organizzando e controllando saperi, abitudini e idee.
Epoca due: Comunicazione elettronica e media d’intrattenimento (XX secolo e oltre). Con i mass media si comincia a pensare la "presenza" in modo diverso.
Epoca tre: Tecnologia dell’informazione. Le BBS. Il computer, il digitale, cambia l’idea di testo che costituisce la comunità: da testo chiuso e lineare a spazio testuale interattivo e consensuale
Epoca quattro: Realtà virtuale e cyberspazio. Importanza di Neuromante: il romanzo di Gibson cristallizza l’immaginario fantascientifico in un nuovo paradigma all’interno del quale si costituisce la nuova comunità virtuale dei ricercatori e degli ingegneri informatici. Nasce la nuova realtà del cyberspazio con i suoi nuovi aspetti e nuovi interrogativi vengono posti: identità, genere, corpo….
2. Dualismo tra corpo e soggetto
Stone ripercorre la storia del progressivo allontanarsi del soggetto dalla sua corporeità. Riprende le riflessione di Frances Barker (The Tremulous Private Body, 1984) sulla privatizzazione del corpo nella seconda metà del XVII secolo. Da questo momento in poi il corpo e il soggetto, che Cartesio aveva già definitivamente separato, cessano di occupare lo spazio dello spettacolo pubblico e si privatizzano. Nasce l’individuo, il privato, il personale. Il soggetto si rinchiude sempre più in se stesso e diventa "testo". Corpo e soggetto si nascondono così sempre di più, diventano sempre più invisibili e ripiegati su se stessi. Il corpo nascosto sotto i vestiti della nuova moda, o tra le mura della privacy domestica, il soggetto nascosto nel testo.
Il corpo negato, nascosto, ormai non più corpo, ma carne, diventa utile materia prima da utilizzare nel lavoro (e il corpo così inteso, ridotto a materia bruta, sarà il motore della imminente rivoluzione industriale). Il soggetto, al contrario, si rifugia nella trascendenza e nell’incorporeità del testo perdendo sempre di più fisicità.
3. Il corpo nel cyberspazio
"Se l’età dell’informazione è un’estensione dell’età industriale, il divario corpo-soggetto dovrebbe aumentare e radicalizzarsi. Invece nella quarta epoca il divario nello stesso tempo si acuisce e scompare". All’interno del nuovo paradigma tecnologico del cyberspazio le categorie analitiche con cui siamo abituati a distinguere il biologico e il tecnologico, il naturale e l’artificiale, l’umano e il meccanico, non sono più affidabili.
Con le nuove tecnologie sembra ci possano essere le premesse per ripensare seriamente la corporeità in modo diverso, per non ricadere nella storica dimenticanza del corpo che ha caratterizzato l’Occidente. Il rischio che questa mossa si riproponga è evidente nelle assunzioni e nelle fantasie incorporee che circolano tra gli ingegneri del Cyberspazio e della realtà virtuale. Essi fanno spesso riferimento alla grande libertà corporea che le nuove tecnologie offrono, intendo per "libertà corporea" una eccitante "libertà dal corpo". Il desiderio di liberarsi del corpo, riconoscibile anche in molti altri atteggiamenti che circolano riguardo cyberspazio, si ricollega all’ansietà maschile per il controllo, al desiderio di potere assoluto.
4. Corpi illeggibili, ma sempre corpi
"Non importa quanto virtuale il soggetto possa diventare, c’è sempre un corpo attaccato. Può essere da qualche altra parte – e questo "qualche altra parte" può essere una posizione di osservazione privilegiata – ma la coscienza rimane sempre incarnata nel fisico".
Stone ribadisce l’importanza di considerare il soggetto come soggetto incarnato, come legato indissolubilmente al corpo, anche nel cyberspazio: "storicamente il corpo, la tecnologia, la comunità si costituiscono vicendevolmente".
I suoi "corpi illeggibili" sono una proposta per pensare ad un nuovo tipo di corporeità. Stone fa esplicito riferimento al corpo culturalmente intelligibile della Butler , i "criteri e i modi (incluse le inscrizioni su o nel corpo) che ogni società utilizza per produrre corpi che possa riconoscere come suoi membri" e che lei definisce corpo leggibile. Il corpo illeggibile è, al contrario, un corpo che sfugge al riconoscimento della società, un "soggetto ai confini". Qui il riferimento è alla Mestiza di Gloria Anzaldùa, descritta come "molteplicità di interessi frequentemente in conflitto. Non c’è nessuna posizione all’interno della cornice della società che ne costituisca un’adeguata descrizione". Mestiza può suggerire una nuova corporeità all’interno della quale pensare anche i soggetti (corpi) che popolano il cyberspazio.
Ancora, nella conclusione, la necessità di ribadire il radicamento nel corpo: "Cito le parole di una persona specifica, come modo per tenere la discussione radicata in corpi individuali: le parole di Paul Churchland che si riferiscono alle "creature biologicamente situate" che tutti noi siamo. Il lavoro della scienza riguarda i corpi, non in senso astratto, ma nel modo mutevole e complesso con cui manifestiamo noi stessi come essere sociali e fisici, vulnerabili alle potenti conoscenze che ci circondano e agli effetti dei discorsi scientifici e tecnologici che adottiamo e adoperiamo.
Bisogna essere particolarmente consci di questo, poiché la maggior parte del lavoro dei ricercatori del cyberspazio assume che il corpo umano sia solo "carne" – obsoleta, visto che ormai la coscienza stessa può essere caricata nella rete. Gli sviluppatori del cyberspazio predicono un mondo in cui sarà possibile dimenticarsi del corpo. Ma è importante ricordarsi che le comunità virtuali si originano e nella fisicità, e alla fisicità devono ritornare. Nessun corpo virtuale, non importa quanto stupendo, rallenterà la morte di un cyberpunk con l’AIDS. Anche nell’epoca del soggetto tecnosociale, la vita è vissuta attraverso i corpi.
Dimenticarsi del corpo è un vecchio trucco cristiano, che ha spiacevoli conseguenze per quei corpi il cui discorso è impedito dall’atto di questa dimenticanza; quei corpi sul lavoro e sulla sofferenza dei quali l’atto della dimenticanza è fondato, normalmente donne e minorenni. La dimenticanza può diventare però anche potente strategia, come propone Haraway: attraverso la dimenticanza, ciò che è già stato costruito diventa qualcosa che può essere riscoperto in modo differente. Ma come ogni strategia potente e produttiva, anche questa ha i suoi rischi. Ricordare – riscoprire – che i corpi e le comunità si costituiscono a vicenda suggerisce una serie di questioni e dibattiti per le comunità virtuali."