Le parole per farlo. Donne al lavoro nel post-fordismo – A. Nannicini (a cura di)

«Abbiamo bisogno di una nuova antropologia su noi stessi, su noi stesse … Un ordine antropologico moderno, che si chiamava sintomaticamente "mondo del lavoro" è caduto sotto picconate di provenienza ancora incerta, il suo popolo di donne e uomini si industria (neanche tanto metaforicamente) in mezzo alle macerie. E ha bisogno di raccontarsi». Queste parole della bella prefazione di Lidia Campagnano presentano in maniera efficace il lavoro di Adriana Nannicini e ne colgono immediatamente lo sforzo più prezioso, quello di raccontare.

Profondamente radicato nella cultura del femminismo (come il titolo rende esplicito nel gioco di rimandi con il libro di Marie Cardinal Le parole per dirlo), Le parole per farlo. Donne al lavoro nel post-fordismo è un testo composito che indaga il legame contemporaneo fra le donne e il lavoro, alternando spunti di riflessione e racconti di esperienza vissuta. Un’alternanza che non presenta fratture, ma che restituisce, nella densità dei racconti, materiali incandescenti per l’elaborazione teorica.

Il libro si apre con un capitolo dedicato alla questione lessicale: «non disponiamo – scrive Nannicini – di un lessico capace di dire la soggettività del rapporto con il lavoro/i», da qui l’esigenza di ripercorrere alcune parole chiave del lessico femminile-femminista sul lavoro rideclinandole al presente, parole come autonomia, casa-città, ma anche corpo e solitudine. Rinnovare, anzi inventare un lessico non significa non attribuirgli memoria: rielaborare alla luce delle esperienze di oggi parole storiche del movimento delle donne, porta non soltanto a fare pratica del "pensiero situato" di cui parla il femminismo contemporaneo, ma a volersi riappropriare del metodo teorico felicemente sintetizzato nella formula del «partire da sé».

Il lavoro di Adriana Nannicini incoraggia e valorizza la presa di parola costruendo la cornice di un racconto corale. Nella seconda parte del libro si racconta di un’esperienza-laboratorio in cui altre parole vengono dette, scambiate, ripensate, in un processo in cui si cerca di costruire piccole sponde collettive al tema del lavoro flessibile delle donne e in cui le dimensioni del personale e del pubblico vengono tenute in equilibrio dalla tensione conoscitiva che anima un contesto inusuale fra corso-laboratorio-inchiesta.

La raccolta di storie che costituisce la terza parte del libro, oltre a mostrare da vicino contesti professionali diversi, alcuni insoliti e "atipici" altri più noti, descrive, nell’invenzione dei perscorsi individuali, tutte le contraddizioni in cui alle donne (più che agli uomini) capita di imbattersi nell’epoca del lavoro immateriale. La duttilità nel suo facile confondersi con instabilità e marginalizzazione, la chance (o miraggio?) del lavoro autonomo. "Strumenti di lavoro" preziosi e fortemente invocati, relazioni, saperi, affetti sono spesso investiti in situazioni fragili o marginali, condannati più alla frammentazione e alla ripetizione che alla messa in valore. La richiesta di soggettività resta astratta, le qualità "femminili" sottopagate.

Eppure non è la rabbia la cifra di questi racconti, né la retorica ideologica, semmai un ritmo vitale (e vissuto!) di fatica e passione. Fatica e sofferenza, costi inevitabili in un mondo del lavoro che frantumandosi chiede ai singoli lo sforzo incessante – fisico e mentale – di tenere insieme i pezzi e i frammenti, e passione, l’incoffessabile ambizione, la voglia di esserci, di lasciare una traccia.

Il pregio maggiore di questo libro è di evitare la tentazione dell’astratto in cui molti discorsi intorno alla femminilizzazione del lavoro rischiano di cadere. Non è infatti il lavoro femminile o femminilizzato il suo oggetto, ma il concreto venire al mondo del lavoro di molte donne.

Sandra Burchi.

Le parole per farlo: intervista con Adriana Nannicini
 
"Le parole per farlo. Donne al lavoro nel postfordismo", una raccolta di saggi, articoli e storie, curata da Adriana Nannicini e pubblicata da DeriveApprodi.
    
    
    
    

"Vedere, narrare, descrivere: parlare dei rapporti che abbiamo con il lavoro. E’ un’esigenza, questa, che si sta facendo urgente di fronte alle trasformazioni che hanno portato al modello sociale detto da più parti postfordista. Modello sociale e organizzazione del lavoro nel quale il linguaggio e i processi di comunicazione non sono soltanto rilevanti, ma costituiscono un elemento direttamente incluso nel processo produttivo…" E’ l’inizio de Le parole per farlo. Donne al lavoro nel postfordismo (DeriveApprodi), a cura di Adriana Nannicini, che problematizza fin dalla prima pagina una criticità ineludibile del controverso rapporto tra donne e lavoro: la mancanza di comunicazione. "E’ indispensabile – ci dice la curatrice del libro – ritrovare le parole per raccontarlo e per farlo. Serve un lessico altrimenti come possiamo criticare noi stesse? La possibilità di mutamenti praticabili esiste, ma è necessario che la narrazione sia attuata in prima persona dalle lavoratrici. Usare le parole solo come studiose di un fenomeno, e non come protagoniste di un’esperienza, è inutile ed inefficace".

 

La questione lessicale, essenziale nella misura in cui consente di "dire la soggettività del rapporto con il lavoro/i", riattualizza parole note ai femminismi – autonomia, casa/città, corpo, solitudine – e che oggi richiamano nuove e differenti forme di esclusione del mondo del lavoro. Dietro il facile miraggio della libera gestione di tempi e spazi, l’organizzazione flessibile del lavoro costringe ad una disponibilità illimitata, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. "Così il rapporto con il lavoro appare superinvestito, fino a diventare il principale, o addirittura l’unico, oggetto di passione per le donne di oggi. Qualcuna suggerisce: il rapporto con il lavoro ha subito un’erotizzazione, si è caricato di quella passione e di quei sentimenti che erano appannaggio del rapporto d’amore". E l’amore, si sa, è totalizzante, esclusivo, soffocante…

 

La flessibilità assume le sembianze poco confortanti della precarietà e a nulla vale la consolazione che sia in atto una femminilizzazione del lavoro attraverso la valorizzazione delle capacità e dei saperi delle donne. "Il lavoro atipico – afferma Nannicini – è la tendenza su cui si modellano concezioni di lavoro e costruzioni di comportamento, e mette in evidenza, in particolare quello delle donne, la falsa illusione di una ritrovata libertà". Forse è possibile determinare l’orario, ma quali altri vantaggi si possono sottolineare? Vecchi stereotipi assumono nuova forza e vigore, arretrando le donne sul cammino della visibilità e dell’indipendenza: "le varie forme di lavoro da casa – prosegue Adriana Nannicini – presentano un esito imprevisto, ossia la possibilità di tornare invisibili rispetto al mondo pubblico. In casa, è difficile stabilire dei confini e spesso diventa impossibile smettere di lavorare, il che significa che ci sono passaggi e confini che non si oltrepassano più. In questo modo, il lavoro diventa una persecuzione, ed il soggetto dimentica il gusto di essere nel mondo, in quello stesso mondo dove non ci sei perché nessuno ti vede. Come si valorizza un lavoro che non si/ti vede? In ufficio o in un luogo pubblico, il lavoro, e conseguentemente l’identità della lavoratrice, sono elementi contrattabili perché visibili. Non si dovrebbe mai dimenticare che il lavoro è pubblico ed eterodiretto".

Come scrive Lidia Campagnano nella prefazione, "è come se, insieme al mondo del lavoro, si fossero frantumati i rapporti di lavoro fra donne: e per spingersi più oltre, è come se nella nuova nebulosa lavorativa piena di donne e descritta come femminilizzata fosse quanto mai sconveniente, eticamente quanto sul piano economico e su quello dei poteri, riconoscersi tra donne in quanto donne".

L’isolamento totale e l’incessante alternanza tra desiderio di riconoscimento e volontà di autodeterminazione minano le basi per una serena convivenza tra tempo del lavoro e tempo di vita: "si tengono i tempi delle macchine e si fa finta di avere un corpo maschile – precisa Nannicini. Bisogna tornare a valorizzare le diversità e riuscire ad ascoltare nuovamente il corpo, che è una grande risorsa, ricordandoci che dobbiamo anche riposare. Perché, poi, è davvero il lavoro la misura di tutto?"

A. Nannicini (a cura di), Le parole per farlo. Donne al lavoro nel
post-fordismo, DeriveApprodi, Roma 2002, pp. 138, ISBN 88-87423-92-X

http://www.universitadelledonne.it/le%20parole.htm

Posted in materiali4 | Comments Off on Le parole per farlo. Donne al lavoro nel post-fordismo – A. Nannicini (a cura di)

LA MORATORIA SULL’ABORTO ULTIMA VIOLENZA ALLE DONNE da la Repubblica

In una concezione non dogmatica ma (auto) critica della democrazia, quale è propria di ogni spirito laico, nessuna decisione presa è, per ciò stesso, indiscutibile. Il rifiuto della ridiscussione è per ciò stesso una posizione dogmatica, che può nascondere un eccesso o un difetto di sicurezza circa le proprie buone ragioni. Questo, in linea di principio, riguarda dunque anche la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, "la 194", che pur ha dalla sua due sentenze della Corte costituzionale e un referendum popolare.

Ma una discussione costruttiva e, mi sia permesso dire, onesta è il contrario delle parole d’ordine a effetto, che fanno confusione, servono per "crociate" che finiscono per mettere le persone le une contro le altre. Lo slogan "moratoria dell’aborto", stabilendo una "stringente analogia" (cardinal Bagnasco alla Cei, il 21 gennaio) tra pena di morte e aborto, accomunati come assassinii legali, ha sì riaperto il problema, ma in modo tale da riaprire anche uno scontro sociale e culturale che vedrebbe, nientemeno, schierati i fautori della vita contro i fautori della morte: i primi, paladini dei valori cristiani; i secondi, intossicati dal famigerato relativismo etico. Insomma, alle solite, un nuovo fronte di quello "scontro di civiltà" che, molti insofferenti della difficile tolleranza, mentre dicono di paventarlo, lo auspicano.

Siamo di fronte, come si è detto, a una "iniziativa amica delle donne"? Vediamo. La questione aborto è un intreccio di violenze. Innanzitutto, indubitabilmente, la violenza sull’essere umano in formazione, privato del diritto alla vita.

Ma, in numerose circostanze, ci può essere violenza nella gravidanza stessa, questa volta contro la donna, quando la salute ne sia minacciata, non solo nel corpo ma anche nella mente, da sentimenti di colpa o di sopraffazione, solitudine, indigenza, abbandono. La donna incinta, nelle condizioni normali, è l’orgoglio, onorato e protetto, della società di cui è parte; ma, nelle situazioni anormali, può diventarne la vergogna, il peso o la pietra dello scandalo, scartata e male o punto tollerata. D’altra parte, non solo la gravidanza, mal’aborto stesso, percepito come via d’uscita da situazioni di necessità senza altro sbocco, si traduce in violenza anche verso la donna, costretta a privarsi del suo diritto alla maternità. C’è poi un potenziale di somma violenza nella capacità limitata delle società umane ad accogliere nuovi nati. La naturale finitezza della terra e delle sue risorse sta contro la pressione demografica crescente e la durata della vita umana. L’iniqua ripartizione dei beni della terra tra i popoli, poi, induce soprattutto le nazioni più povere a politiche pubbliche di limitazione della natalità che si avvalgono, come loro mezzo, dell’aborto.

Violenze su violenze d’ogni origine, dunque: violenza della natura sulle società; delle società sulla donna; della donna su se stessa e sull’essere indifeso ch’essa porta in sé. E’ certamente una tragica condizione quella in cui il concepimento di un essere umano porta con sé un tale potenziale di violenza. Noi forse comprendiamo così il senso profondo della maledizione di Dio: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze» (Gen. 3,22). Si potrebbe dire che l’aborto, nella maggior parte dei casi, è violenza di deboli su più deboli, provocata da una violenza anteriore. Ma questa è la condizione umana, fino a quando essa patisce la crudeltà della natura e l’ingiustizia della società; una condizione che nessuna minaccia di pene anche severissi-me, con riguardo all’ultimo anello della catena, quello che unisce la donna al concepito, ha mai potuto cambiare, ma ha sempre e solo sospinto nella clandestinità, con un ulteriore carico di umiliazione e violenza, fisica e morale.

In questo quadro, che molte donne conoscono bene, che cosa significa la parola moratoria? Dove si inserirebbe, in questa catena di violenza? La domanda è capitale per capire di che cosa parliamo.

Una cosa è chiedere alle Nazioni Unite di condannare i Paesi che usano l’aborto come strumento di controllo demografico e di selezione "di genere". Un celebre scritto del premio Nobel Amartya Sen, pubblicato sulla New York Review of Books del 1991, ha richiamato l’attenzione sul fatto che «più di 100 milioni di donne mancano all’appello». Si mostrava lo squilibrio esistente e crescente tra maschi e femmine in Paesi come l’India e la Cina (ma la questione riguarda tutto l’estremo Oriente: quasi la metà degli abitanti del pianeta). Si prevede, ad esempio, che in Cina, nel 2030, l’eccesso di uomini sul "mercato matrimoniale" potrebbe raggiungere il 20%, con drammatiche conseguenze sociali. Le ragioni sono economiche, sociali e culturali molto profonde, radicate e differenziate. Le cause immediate, però, sono l’aborto selettivo e l’infanticidio a danno delle bambine, oltre che l’abbandono nei primi anni di vita. In quanto, però, vi siano politiche pubbliche di incentivazione o, addirittura, di imposizione, la richiesta di "moratoria" ha certamente un senso. Si interromperebbe la catena della violenza al livello della cosiddetta bio-politica, con effetti liberatori.

E diverso, in riferimento alle società dove l’aborto non è imposto, ma è, sotto certe condizioni, ammesso. "Moratoria" non può significare che divieto. Per noi, sarebbe un tornare a prima del 1975, quando la donna che abortiva lo faceva illegalmente, e dunque clandestinamente, rischiando severe sanzioni. Questo esito, per ora, non è dichiarato. I tempi paiono non consentirlo. Ci si limita a chiedere la "revisione" della legge che "regola" l’aborto. Ma l’obbiettivo è quello, cometa "stringente analogia" con l’abolizione della pena di morte mostra e come del resto dice il card. Bagnasco: «Non ci può mai essere alcuna legge giusta che regoli l’aborto».

Qual è il punto della catena di violenza che la "moratoria" mira a colpire? E’ l’ultimo: quello che drammaticamente mette a tu per tu la donna e il concepito. Isolando il dramma dal contesto di tutte le altre violenze, è facile dire: l’inerme, il fragile, l’incolpevole deve essere protetto dalla legge, contro l’arbitrio del più forte. Ma la donna, a sua volta, è soggetto debole rispetto a tante altre violenze psicofisiche, morali, sociali, economiche, incombenti su di lei. La legge che vietasse l’aborto finirebbe per caricarla integralmente dell’intero peso della violenza di cui la società è intrisa: un peso in molti casi schiacciante, giustificabile solo agli occhi di chi concepisce la maternità come preminente funzione biologico-sociale che ha nell’apparato riproduttivo della donna il suo organo: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze», appunto. Si comprende, così, che la questione dell’aborto ha sullo sfondo la concezione primaria delle donne come persone oppure come strumenti di riproduzione. E si comprende altresì la ribellione femminile a questa visione della loro sessualità come ufficio sociale.

«La condizione della donna gestante è del tutto particolare» e non è giusto gravarla di tanto peso, ha detto la Corte costituzionale in una sua sentenza del 1975, la n. 27. Convivono due soggetti, l’uno dipendente dall’altro, entrambi titolari di diritti, potenzialmente in contraddizione: tragicamente, la donna può diventare nemica del concepito; il concepito, della donna. Da un lato, sta la tutela del concepito fondata sul riconoscimento costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo, «sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie», trattandosi di chi «persona deve ancora diventare». Dall’altro, sta il diritto all’esistenza e alla salute della donna, che «è già persona». Il riconoscimento pieno del diritto di uno si traduce necessariamente nella negazione del diritto dell’altro. Per questo, è incostituzionale l’obbligo giuridico di portare a termine la gravidanza, "costi quel che costi"; ma, per il verso opposto, è incostituzionale anche la pura e semplice volontà della donna, cioè il suo "diritto potestativo" sul concepito (sent. n. 35 del 1997). Si sono cercate soluzioni, per così dire, intermedie, ed è ciò che ha fatto "la 194", prevedendo assistenza sanitaria, limiti di tempo, ipotesi specifiche (stupro o malformazioni) e procedure presso centri ad hoc che accompagnano la donna nella sua decisione: una decisione che, a parte casi particolari (ragazze minorenni), è sua. La donna, dunque, alla fine, è sola di fronte al concepito e, secondo le circostanze, può essere tragicamente contro di lui. Qui, una mediazione tra i due diritti in conflitto (della donna e del concepito) non è più possibile: aut aut.

Le posizioni di principio sono incompatibili, oggi si dice "non negoziabili": l’autodeterminazione della donna contro l’imposizione dello Stato; la procreazione come evento di rilevanza principalmente privata o principalmente pubblica; la concezione del feto come soggetto non ancora formato o come persona umana in formazione; la legge come strumento di mitigazione dei disastri sociali (l’aborto clandestino) o come testimonianza di una visione morale della vita. Alla fine, il vero contrasto è tra una concezione della società incentrata sui suoi componenti, i loro diritti e le loro responsabilità, e un’altra concezione incentrata sull’organismo sociale, i cui componenti sono organi gravati di doveri, anche estremi. Si vede il dissidio, per così dire, allo stato puro nel caso della scelta tra la vita della madre e quella del feto, quando non possibile salvare e l’una e l’altra: la sensibilità non cattolica più diffusa dice: prevalga la vita della donna, persona in atto; la morale cattolica dice: prevalga la vita del nascituro, persona solo in potenza.

Secondo le circostanze. Sul terreno delle circostanze, a differenza di quello dei principi, è possibile lavorare pragmaticamente per ridurre, nei limiti del possibile, le violenze generatrici di aborto. Educazione sessuale, per prevenire le gravidanze che non si potranno poi sostenere; giustizia sociale, per assicurare alle giovani coppie la tranquillità verso un avvenire in cui la nascita d’un figlio non sia un dramma; occupazione e stabilità nel lavoro, per evitare alla donna il ricatto del licenziamento; servizi sociali e sostegni economici a favore della libertà dei genitori indigenti. Dalla mancanza di tutto questo dipende l’aborto "di necessità", che – si dirà – è però una parte soltanto del problema. Ma l’altra parte, l’aborto "per leggerezza", troverà comunque le sue vie di fatto per chi ha i mezzi di procurarselo, indipendentemente dalla legge. In ogni caso, non è accettabile che di necessità e leggerezza si faccia un unico fascio a danno dei più deboli, spinti dalla necessità, e li si metta sotto la cappa inquisitoriale della criminalizzazione e delle intimidazioni morali, come l’equiparazione dell’aborto all’omicidio e della donna all’omicida. La sorte dei concepiti non voluti si consumerà ugualmente, nel confort delle cliniche private o nella solitudine, nell’umiliazione e nel rischio per l’incolumità. L’esito del referendum del 1981 che, a grande maggioranza (il 68 %) ha confermato "la 194", dipese di certo dal ricordo ancora vivo di ciò che era stato l’aborto clandestino. Ci si può augurare che non se ne debba rifare l’esperienza, per ravvivare il ricordo.


Gustavo Zagrebelsky (28-1-2008)

Posted in materiali2 | Comments Off on LA MORATORIA SULL’ABORTO ULTIMA VIOLENZA ALLE DONNE da la Repubblica

CROSSING PLATFORMS da Feramenta

Non vi spaventate…questo documento ha un linguaggio e probabilmente un livello avanzato per molte…ma proveremo insieme a discuterne e a comprenderne gli elementi essenziali.

Intanto buona lettura! 

………..:::::::Crossing Platforms::::::………………
di 5am …no warranty!
Un piccolo how to di base per poter utilizzare le proprie risorse su qualsiasi piattaforma.
Introduzione.
Spesso ci troviamo davanti a dei problemi che possiamo risolvere
facilmente da sole, uniformando l’utilizzo della mail, scambiando file in formati
leggibili da tutti, standard, verificando la presenza di virus e processi molesti, e soprattuttomantenendo
l’anonimato, indipendentemente dal sistema operativo che stiamo utilizzando. Questo
perche’ possiamo trovarci difronte ad pc con Windows, o ad un MacOSX o ad un pc con linux, a casa di
un amic@, sul posto di lavoro, ad un internet caffe’ o a scuola/all’universita’.
1. I file.
Un file (termine inglese per "archivio") in informatica e’ un insieme di informazioni codificate
organizzate come una sequenza di byte, dove per byte (contrazione di binary term) si intende una
sequenza di bit, il cui numero dipende dall’implementazione fisica del computer che abbiamo,
immagazzinate come un singolo blocco su di una memoria di massa (qualsiasi supporto che sia capace
di archiviare informazioni, hard disk, floppy, cdrom, dvd, penna usb, smartcard) all’interno del File
System esistente.
I file si differenziano tra loro per permessi (ovvero chi puo’ fare cosa e come) ed eseguibilita’
(interazione con il computer).
Il bello di linux e’ che tutto e’ un file; il problema nasce quando cerchiamo di fare qualcosa con altri
sistemi operativi… quindi importante e’ capire come scambiare file, o meglio quali estensioni
utilizzare! Per estensione s’intende la capacita’ di far associare programma/file e renderlo visibile
all’utente.
file.txt lo leggono tutti > testo non formattato
file.pdf lo leggono tutti > testo formattato impaginato
file.htm o .html lo leggono tutti > browser di rete
file.zip lo leggono tutti > pacchetto compresso
file.jpeg o file.jpg lo leggono tutti> immagine
file.gif lo leggono tutti > immagine
file.png lo leggono tutti >immagine
file.mp3 lo leggono tutti >audio
file.ogg lo leggono tutti >audio
file.avi lo loggono tutti >video
file.mp4 lo leggono tutti > video
file.mpg lo leggono tutti > video
Importante quindi utilizzare estensioni â??standardâ?? e non specifiche
di un programma, in modo che, indipendentemente dal sistema operativo in uso,
il file sia utilizzabile.
2. La posta
La posta elettronica e’ uno strumento indispensabile oggi ma, bisogna essere coscienti del suo utilizzo.
Evitare invio di dati personali. Farlo solo se si e’sicuri del destinatario e della transazione!
Cercare, finche’ possibile, un utilizzo anonimo; se possibile, utilizzare posta cripata. Se si invia un
messaggio a molte persone che tra loro non si conoscono e’ importante non far visualizzare i diversi
indirizzi dei destinatari; si deve utilizzare la funzione BCC, (Blind Carbon Copy:, in italiano CCN,
ovvero Copia Carbone Nascosta:): indirizzi email
dei destinatari in copia conoscenza nascosta; e’ bene
inviare come primo destinario se’ stessi e tutti gli altri in BCC.
E’ possibile inserire dei file come allegati al corpo di una mail.
Molti server impongono limiti massimi alla dimensione del messaggio da trasmettere, che devono
essere rispettati; altrimenti il messaggio non viene inviato. Verificare sempre da chi si ricevono allegati;
spesso potrebbero rivelarsi virus (per microsoft) Via allegato e’ possibile inviare qualsiasi tipo di file, in
genere i client di posta possono permettere di impostare filtri per non far "scaricare" quel tipo un tipo di
file o la posta da un determinato indirizzo, verificare se si potra’ utilizzare il file ricevuto, meglio
sempre utilizzare estensioni standard e non proprietarie (nda vedi 1).
Non inviare lo stesso attachment a liste di persone almeno che non ne siano a conoscenza.
2.1 Client di posta
Il client di posta e’ il programma che ci permette la consegna dell’email;
le email
possono essere consegnate direttamente dal "postino" (smtp simple
mail transfer protocol)
"a casa"
(pop pop3) o consegnate "all’ufficio postale" (imap internet
message access
protocolo
webmail). Il postino in questo caso e’ un protocollo che a seconda della “divisa” ci permette
una connessione. Smtp trasmette la mail, pop pop3 imap sono i protocolli di consegna come webmail.
Si possono utilizzare diversi client (uffici postali), ma nella logica di semplificarsi la vita consiglio
Thunderbird, che si puo’installare su qualsiasi sistema operativo molto facilmente, sempre se si ha un pc
che permette la gestione dell’interfaccia grafica 😉 ed abbia permessi per farti installare cose!
Utilizzare SSL (Secure Socket Layer)* sia per la posta, configurare il client, verificare sempre la
sorgente da cui si scaricano programmi, dati immagini etc.; verificare sempre chi la invia e cosa.
3. Browser
Il browser e’ un programma che permette agli utenti di visualizzare (interpretare) file multipli
(ipertesto) con estensione html o xhtml o htm.
I browser possono interpretare piu’ o meno liberamente il codice html (HyperText Markup Language).
Spesso alcuni editor di html mettono dei tag proprietari che non tutti possono interpretare, a.e.
"FrontPage", che ottimizza le pagine html per explorer, ma su altri browser crea problemi di
interpretazione! Utilizzare quando e dove e’ possibile SSL, che permette invio/ricezione
pagine web crittate.
4. Virus & processi
I virus sono programmi che si autoriproducono e, una volta insediati nel computer, agiscono,
danneggiando in alcuni casi direttamente solo il software della macchina che lo ospita, e in altri
anche l’hardware, causando lo spegnimento della ventola o l’overclocking ( ovvero aumentare la
frequenza di progettazione) del processore. Tutto cio’ si riferisce al "mondo" windows. In riferimento a
linux non possiamo parlare di virus, ma di “buchi di sicurezza” e “vulnerabilita’ dei processi”.
4.1 Windows
Windows, il sistema operativo "a finestre" di casa Microsoft e’ composto, nel suo kernel (nucleo) da
stringhe* e chiavi* che compongonoi registri*. Le chiavi di registro corrispondono alle variabili (valore
che si assegna ad una casella di memoria) in ambiente linux. Un file .exe dipende sempre da un file .dll
o .inf. Un virus e’ composto da un gruppetto di file sparsi nel System32 o System, insinuandosi anche
nei registri, in modo che la sua eseguibilita’ sia assicurata all’avvio del sistema.
Esistono molti programmi che puliscono chiavi di registro, ma a loro volta ne creano altre.
Per visualizzare il registro di windows:
finestra start>
run >
regedit >
enter
Si aprira’ una finestra con una serie di directory ‘madri’ e sottodirectory le classi di registri sono
costituite cosi’:
HKEY_CLASSES_ROOT >> apertura programmi associa file/programma
HKEY_CURRENT_USER >> configurazione utente e castomizzazioni
HKEY_CURRENT_CONFIG >> configurazione hardware
HKEY_USERS >> configurazione di tutti gli utenti
HKEY_LOCAL_MACHINE >> configurazioni di tutti gli utenti corrisponde al
systemrootsystem32config hw, software e sistema operativo
HKEY_LOCAL_MACHINESOFTWAREMicrosoftWindowsCurrentVersionRun >>qui abitano gli
.exe che partono allo start del sistema
HKEY_USERSusernameSoftwareMicrosoftWindowsCurrentVersionRun >>qui abitano gli .exe
che partono allo start del sistema, riferiti all’utente.
HKEY_LOCAL_MACHINESOFTWAREMicrosoftInternet ExplorerMainStart Page >> qui si
modifica la pagina di start di explorer
Per aprire una console (riga di comando) con windows xp
start >
run >
cmd (command line) enter
A questo punto si aprira’ una finestra DOS in cui si possono digitare comandi per verificare lo stato del
computer; per vedere lo stato della nostra connessione di rete esistono due comandi fondamentale da
digitare "netstat an"
avremmo indirizzo porta stato della connessione, le porte
(numeri che servono per identificare una specifica connessione) e gli indirizzi IP ( e’ il nome e
cognome della tua scheda di rete); altro comando ipconfig /all per vedere la configurazione dei diversi
supporti di rete.
Tips:
Disabilitare Outlook
Disabilitare system restore
Disabilitare Macros* e connessioni ai server dei diversi programmi
(Adobe, Winplayer…) utilizzare programmi alternativi che hanno licenza gnu/gpl:
OpenOffice valido per tutte le piattaforme…e non soffro piu’!
Aggiornare sempre programmi e sistema con le patch che vengono rilasciate di volta in volta.
Disabilitare le funzioni di Macro in Office e di Outlook. Questa operazione si effettua in fase di
installazione dei programmi (suite Office per Windows).
4.2 Linux
Se stiamo lavorando con un pc con linux o roba simile, sicuramente avremmo meno problemi di virus
e codice malizioso, una buona policy e’ quella di abilitare e disabilitare i servizi secondo le necessita’ e
i propri scopi. Per verificare quali processi sono attivi digitare dalla
riga di comando:
[my_machine@me me]$ ps aux
Comando che permette di visualizzare tutti i processi di sistema con il nome utente, il numero di
attivazione del processo (id) e la path* (percorso) del processo, il consumo risorse, e la console sul
quale sta girando il processo. Da qui si vede subito se qualcosa non va.
Per verificare lo stato della connessione e le comunicazioni che abbiamo stabilito con altri computer
digitare:
[my_machine@me me]$ netstat aepln
e
[my_machine@me me]$ more /var/log/messages
Visualizzando questo file sappiamo quello che sta facendo il nostro computer; errori di sistema, report
di vario genere, negoziazioni tra diversi host, autenticazioni.
Ci sono alcuni servizi (cose che posso fare) che sono "pericolosi": telnet*, che permette di comunicare
con altri computer nella stessa rete, di fatto e’ un protocollo di comunicazione, parla su di una porta
specifica (23), cosi’ come l’ ftp, altro protocollo utilizzato per trasferire file da un pc all’altro; anche
l’ftp "parla" su di una porta specifica (21)… cosi’ come ssh* (22) o http* (80) il file che gestisce
queste informazione e’ /etc/services.
"A closed port is a totally safe port!!!" (una porta chiusa e’ una porta sicura!!!)
I servizi risiedono (come processi) in /etc/rc.d/… o /etc/init.d/ dipende dalla distribuzione linux che
utilizzate). Importante in un sistema operativo e’ capire cosa ci serve e cosa no, in modo da poter
utilizzare al meglio le risorse ed avere maggiore sicurezza. Uno strumento utile e’ chkrootkit, il kit di
root! Chkrootkit e’ un insieme di strumenti di diagnostica per i processi in ambiente Unix e svolge un
ottimo lavoro di scansione di tutte le parti del sistema.
ssh/scp/sftp SSH (secure shell) e’ un metodo per poter loggarsi su di un altro host e
scambiare/copiare file da un host all’altro. Aggiornare sempre la versione; in genere bisogna
barcamenarsi con .tar.gz da compilare a mano. Scp e’ un protocollo criptato che permette di scambiare
file tra 2 host, cosi’ come sftp, la versione criptata di ftp (File Transfer Protocol); reperibile per
qualsiasi piattaforma.
Tips:
Multiutenza come autodifesa (root, users e su); mai loggarsi come root, utilizzare l’utente e se
necessito di privilegi di amministratori utlizzo su o sudo, (su e’ piu’ facile)!
5. Password
Mantieni la password segreta.
Non dare la tua password a nessuno.
Non utilizzare la stessa password per piu’ cose.
Non utilizzare la password di root per nient’altro che la password di root!
Non scrivela mai o registrarla on line.
La password dovrebbe essere una combinazione ragionevolmente lunga di lettere
maiuscole/minuscole, numeri e punteggiatura .
Non utilizzare parole riconducibili al dizionario.
Non utilizzare informazioni personali come eta’, hostname, data di nascita…
Memorizzare le password!
6."Live Distro"
Puo’ accadere di non poter "entrare" in un computer e cosi’ una distribuzione live CD puo’ salvare
facilmente la nostra esistenza, far partire il pc dal cdrom, inserire il cd e far partire in questa maniera
avremmo accesso a tutte le risorse senza dover "manomettere" nulla, se il pc non parte da cd dovrete
entrare nel bios ed impostare Boot device CDROM. Le distibuzione live sono tantissime scegliete la
vostra preferita; ovvio si puo’ utilizzare anche un cd d’installazione "insediare" nulla sull’hard disk.
Lavorare in questa maniere richiede una di conoscenze base, sia hardware che software.
Link di supporto ed indormazioni:
http://www.cert.org
http://www.symantec.com
http://www.openssh.org
http://www.openssl.org
http://www.chkrootkit.org
http://en.wikipedia.org
http://www.linuxiso.co.uk

Posted in materiali3 | 1 Comment

Fuori dal lavoro, fuori dalla famiglia, reddito per l’autodeterminazione! da A/matrix

 

-FUORI  DALLA FAMIGLIA

Nonostante le trasformazioni che l’hanno attraversata e la moltiplicazione delle sue forme, la famiglia continua ad essere fondata su rapporti di potere tra i sessi e su relazioni che hanno come paradigma quello dell’appropriazione dei corpi e del lavoro delle donne, malgrado si proclami la parità tra uomini e donne.
La famiglia, fondata in primo luogo sulla coppia eterosessuale – proposta come destino sociale, cellula isolata, unico spazio della realizzazione delle proprie possibilità relazionali, sessuali e affettive – continua ad essere il principale luogo in cui si perpetua  la violenza sulle donne. Tuttavia rimane il “sacro feticcio” agitato dalla politica e dal vaticano, diventando sempre più oggetto di promozione e tutela da parte dei pubblici poteri che su di essa basano e vogliono continuare a basare il nostro sistema di welfare.

La violenza è ancora una caratteristica molto diffusa all’interno della struttura familiare: la violenza sessista da parte di compagni, mariti, padri, fratelli è la principale causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni. 
Accade troppo spesso che strumentalmente si denuncino unicamente le violenze compiute da uomini di cultura non occidentale e si taccia sulle violenze degli uomini italiani contro le donne, italiane e straniere. Se c’è qualcosa che unisce gli uomini di ogni cultura, infatti, è proprio la violenza contro le donne che è funzionale al mantenimento dei rapporti di potere tra i sessi. 
La violenza è elemento strutturale del patriarcato ed ha il suo luogo di elezione nella famiglia in quanto istituzione che perpetua i modelli del “maschile” e del “femminile”. Questi modelli culturali sono costruiti come opposti e complementari generando un sistema di relazioni vincolante e per questo intrinsecamente violento, caratterizzato dal non riconoscimento dell’autodeterminazione e della soggettività delle donne.

La diversità delle forme familiari (alternative nei vincoli che le tengono unite e/o nel sesso di chi le compone) non ha comportato il superamento dei ruoli e di una complementarietà binaria e asimmetrica.
Anche la stessa disciplina sulle convivenze di fatto mai andata in discussione al parlamento riproponeva e rafforzava il modello unico della famiglia tradizionale come “società naturale fondata sul matrimonio ”, invece di garantire e consentire a tutt@ l’esercizio dei propri diritti e delle proprie responsabilità all’interno delle forme di relazione liberamente scelte. 
Della volontà di difendere questo modello resta emblematica la Legge 40 che, contro ogni forma di autonomia delle donne, impone di essere rigorosamente in coppia ed esclusivamente eterosessuali per poter accedere alla Procreazione medicalmente assistita (Pma). Inoltre, questa legge ripropone la scissione tra gestante ed embrione, ponendo in contrapposizione i diritti delle donne e il “bene del concepito”. Creando lo statuto giuridico dell’embrione si vuole ristabilire il controllo sul corpo delle donne e sulla riproduzione che sono tuttora il cuore del potere patriarcale, facendo anche un passo indietro rispetto alle faticose e comunque insoddisfacenti e mai del tutto attuate conquiste fatte con l’approvazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.

-FUORI DAL LAVORO

La gestione della riproduzione è, infatti, parte essenziale della divisione sessuale del lavoro. Le relazioni tra i sessi sono ancora fortemente segnate da una divisione del lavoro completamente basata sul ruolo di mogli, compagne, amanti, sorelle, figlie, nonne assunto dalle donne.
Già trent’anni fa alcune femministe rivendicavano, in attesa della sua socializzazione, il salario per il lavoro domestico. Da allora, se si è prodotta la cosiddetta “femminilizzazione” del lavoro, non si è verificata però una “maschilizzazione” del lavoro di cura e di ri-produzione. 
Questo significa che nonostante nel discorso politico corrente sia diffusa la consapevolezza di come le caratteristiche tipiche del lavoro “riproduttivo”, cosiddetto “femminile”, siano state imposte ed assimilate nella gran parte del lavoro comunemente considerato “produttivo” e siano divenute il paradigma della precarietà (che esige capacità relazionali, disponibilità e reperibilità assolute, mancata distinzione tra tempi di lavoro e tempi di vita, flessibilità), si continua a voler ignorare come non sia avvenuto il contrario. Il lavoro di cura e ri-produzione continua a non essere considerato come “lavoro” e soprattutto continua ad essere svolto esclusivamente dalle donne. 
Anche quando il lavoro di cura viene esternalizzato alle donne migranti, e quindi monetarizzato, resta immutata comunque la caratteristica della divisione sessuale del lavoro; questa forma del lavoro è l’unica che non sia strutturalmente cambiata.
Se nei decenni passati il lavoro fuori di casa ha rappresentato per le donne un insostituibile strumento di emancipazione dai legami familiari, e cioè dalla dipendenza economica nei confronti di padri e mariti, e di valorizzazione delle proprie capacità e risorse, oggi non possiamo più attribuirgli questo valore fondante dell’esperienza soggettiva. Sul mercato del lavoro le donne sono retribuite meno degli uomini, occupano posizioni meno rilevanti socialmente ed economicamente e continuano a farsi carico del lavoro domestico di riproduzione della forza lavoro. La precarizzazione dei rapporti lavorativi ha infatti prodotto una situazione diffusa di incertezza e debolezza negoziale: lavoratrici e lavoratori, sempre meno tutelati dalla legge e messi costantemente di fronte a una contrattazione individualizzata e asimmetrica, vivono una condizione di vero e proprio assoggettamento e ricattabilità, ma anche di prolungata dipendenza economica rispetto alla famiglia. 
Per questo oggi è in primo luogo al reddito, e non al lavoro, che si deve puntare come strumento necessario per l’autodeterminazione di donne e uomini. Il reddito permetterebbe infatti di non trovarsi costretti ad accettare condizioni di lavoro poco dignitose o frustranti, spesso in grado di spegnere anche la passione più forte per la propria attività. 

-REDDITO PER L’AUTODETERMINAZIONE

Negli anni ’70, la parte del movimento femminista che chiedeva un salario per il lavoro domestico e contro la divisione sessuale del lavoro, aveva colto la centralità della lotta per il riconoscimento della produttività delle attività di cura che le donne, non retribuite, svolgono nelle famiglie. 
Oggi non ricordiamo quell’esperienza per chiedere un riconoscimento o una monetarizzazione del lavoro di cura che le donne ancora svolgono. Monetizzare e quindi riconoscere questa attività ci inchioderebbe al suo svolgimento e ne confermerebbe ancor di più la prospettiva sessuale. 
Oggi ci interessa invece sottolineare il paradosso del non riconoscimento del lavoro di cura. Così come il modello neoliberista non quantifica nè riconosce un lavoro potenzialmente infinito e che riguarda tutti, così noi non riconosciamo le distinzioni che questa società vorrebbe fare tra lavoro e non lavoro, e per questo affermiamo che un reddito ci spetta indipendentemente dal nostro essere all’interno di rapporti di lavoro codificati dal modello capitalista e patriarcale. Ma soprattutto per affermare che vogliamo sia garantita a tutt@ l’esistenza, al di là di quello che si sceglie di fare."
Oggi non chiediamo la retribuzione del lavoro di cura perché vogliamo che esso sia solo una delle attività che ognun@, uomo o donna, possa scegliere di svolgere. Un’attività frutto della libera scelta, della passione o dell’amore tanto quanto ogni altra attività in una società che garantisca ad ognun@ l’esistenza – anche sul piano materiale – per il solo fatto di essere nat@, ma, soprattutto, che permetta l’autodeterminazione dei soggetti. 
Tutt@, infatti, indipendentemente dal luogo di nascita e dalla cittadinanza, dall’orientamento sessuale dovrebbero avere queste garanzie. 
Per tutte queste ragioni noi oggi chiediamo un reddito per l’autodeterminazione per tutt@ come strumento per sovvertire la divisione sessuale del lavoro e per scardinare l’impianto familista, lavorista e nazionalista dello stato sociale.  
Per potere uscire dalla famiglia e dal lavoro è necessario pretendere un reddito sin dal momento della nascita, scisso da ogni stato civile e condizione produttiva. Inoltre solo il riconoscimento del reddito anche ai minorenni svincolerebbe le donne dall’essere confinate in ruoli stereotipati, fra tutti la cura dei figli.
Infine, la possibilità di liberarsi dal lavoro percependo un reddito potrebbe favorire il diffondersi di stili di vita improntati alla decrescita e liberi dal consumismo compulsivo causato da lavori poco gratificanti, che “risucchiano” l’intero tempo di vita. Dunque per rifiuto del lavoro non intendiamo il rifiuto di qualsiasi attività, ma quello dei rapporti produttivi codificati dalla società capitalistica e patriarcale. 
Non c’è sciopero che tenga di fronte alla possibilità stessa di sottrarsi al lavoro! Il reddito è lo strumento più robusto di cui lavoratrici e lavoratori possono servirsi per ridisegnare le regole del lavoro stesso.
Per queste ragioni il reddito potrebbe essere uno strumento per ricostruire un terreno comune di lotta per le/i lavoratrici/ori, che in un sistema precarizzato e de/personalizzato sono vittime dell’individualizzazione delle tipologie contrattuali e delle condizioni lavorative, privati del valore della contrattazione collettiva e della solidarietà sociale e dunque costretti ad una dinamica basata sulla competitività e sulla conflittualità anziché sulla condivisione.
Il reddito che ci immaginiamo dovrebbe essere di tipo diretto e indiretto, sotto forma di denaro ma anche di libero accesso alle risorse e ai servizi. 

CONCLUSIONI

La nostra rivendicazione di reddito non è antitetica alla richiesta che viene posta da tempo dalle varie componenti del movimento, ma è sicuramente integrativa. Ci sembra infatti paradigmatico di quanto poco il movimento si sia lasciato attraversare dalle riflessioni del movimento femminista, il fatto che quasi in nessuna analisi o teorizzazione venga riportato il caso emblematico di quello che è il lavoro non retribuito sicuramente più diffuso come il lavoro di cura. 

Riteniamo che la richiesta di reddito posta esclusivamente come uscita dal lavoro e non come uscita dalla famiglia, collettivamente riconosciuta come “cellula” fondante del sistema capitalista e come struttura in cui avviene “l’educazione” a tale sistema, non sia sufficiente. L’uscita dalla famiglia rappresenta per noi un passaggio imprescindibile e fondamentale all’interno di un più radicale ripensamento della società, che comincia dalle relazioni uomo-donna.

Il reddito allora è una pretesa legittima e necessaria, almeno finché si aspira all’autodeterminazione, e la rivendicazione di un reddito per tutte e tutti, di per sé economica e materiale, ha secondo noi sia un valore simbolico, in quanto deve essere comunque affiancata da una battaglia politica e culturale che scardini i ruoli e i modelli, sia un valore specifico, in quanto pone alla base del sistema di welfare non più la rispondenza ad un ruolo o ad una condizione sociale ma il solo fatto di esistere, ed è quindi contrapposta agli assegni familiari e a tutte quelle politiche che legano l’assistenza pubblica al “ruolo”.
Per potere uscire dalla famiglia e dal lavoro è dunque necessario pretendere un reddito sin dal momento della nascita, scisso da ogni stato civile e condizione produttiva.
Ma soprattutto il reddito individuale è uno strumento simbolico, ancora prima che pratico, per sovvertire un immaginario che relega le donne al ruolo di “riproduttrici della specie” o almeno di “dolce metà” di un uomo. In questo senso intendiamo il reddito, individuale e incondizionato, anche come uno strumento di liberazione dal dispotismo emotivo della coppia, che viene proposta come destino sociale, luogo del privilegio emotivo, unico ambito di espressione delle proprie necessità affettive ed emblema del privato opposto al resto del mondo.

UN REDDITO CI SPETTA!

Posted in materiali4 | 1 Comment

DAL SITO INTERNET AI BLOG

La pratica collettiva e la condivisione sono la forza del nostro percorso.
Uno strumento di comunicazione e di visibilità
come un sito internet, per essere realmente espressione di un percorso
politico collettivo e autorganizzato,
deve necessariamente rispettare la pratica politica della condivisione, sia
tecnica che contenutistica.

L’obiettivo della nostra presenza sul web è sicuramente diffondere
comunicati, iniziative e produzioni del percorso che stiamo facendo insieme
ma è anche interagire con le singole e i gruppi femministi, femminili e
lesbici a livello nazionale. A questo scopo riteniamo più adeguata la
modalità del blog anziché quella del sito, visto che il blog consente una
partecipazione e una comunicazione più immediate e informali. Inoltre la
gestione tecnica di un blog necessita di conoscenze informatiche molto più
semplici rispetto a quelle necessarie alla gestione di un sito e quindi
consente un lavoro realmente collettivo e suddiviso.

Il sito controviolenzadonne.org, come sapete, è stato uno strumento
importante attraverso cui è stato costruito il percorso che ci ha portato
verso la manifestazione del 24 novembre. Tuttavia abbiamo avuto delle
difficoltà a condividere collettivamente la gestione di questo strumento
sia nei contenuti, sia dal punto di vista tecnico, aspetti inscindibili in
una pratica autorganizzata.

Per questo, e per prevenire ogni rischio di ambiguità e confusione,
volevamo informarvi che il sito controviolenzadonne.org non è in questo
momento espressione dell’assemblea che ha dato vita alla manifestazione del
24 novembre scorso e sta partecipando con tutte voi alla costruzione di un
percorso politico nazionale, a partire dall’assemblea del 12 gennaio e
dall’incontro che faremo il 23-24 febbraio.

Preferiamo inoltre che la nostra pagina web sia ospitata dal provider
indipendente Autistici/Inventati che, per l’utilizzo dei servizi, offerti
a tutti e tutte gratuitamente, pone come discriminanti quelle
dell’antifascismo, dell’antirazzismo, dell’antisessismo e della non
commercialità e difende l’anonimato come scelta politica. Non vorremmo
utilizzare più il provider Aruba in quanto non ne condividiamo né i
parametri legali (che non consentono, per la gestione di un sito internet,
né l’anonimato né un’assunzione collettiva della responsabilità
legale), né le scelte di policy.

Proponiamo che le realtà locali che hanno condiviso con noi il percorso
per la manifestazione del 24 novembre ’07 e che hanno partecipato
all’assemblea del 12 gennaio discutano la possibilità di creare i propri
blog locali sia per la difficoltà oggettiva di gestire il blog a livello
nazionale, sia per creare una rete comune di riferimento che sia però
espressione anche della pluralità e delle diversità.

Pensavamo che sarebbe costruttivo mettere on line poi un’unica home page
che pubblicizzi le iniziative nazionali e rimandi tramite i link e feed RSS
ai blog locali e ai siti dei gruppi partecipanti alla rete. Proponiamo
inoltre che nella giornata del 24 febbraio si tengano anche dei workshop
pratici per consentire a tutte di acquisire le conoscenze base necessarie
all’apertura dei suddetti blog locali.

Naturalmente il riferimento per la gestione della home page sarà la
mailing list nazionale “sommosse” mentre per i blog locali potremo
semplicemente riferirci alle mailing list locali.

Pensiamo che la discussione di questa proposta potrà essere sviluppata nel
tavolo “Media, linguaggi ed immaginari.
Strategie e pratiche di autorappresentazione e riappropriazione dei mezzi
di comunicazione e dei linguaggi.” nella due giorni del 23-24 febbraio.

L’ASSEMBLEA ROMANA

Posted in materiali3 | 3 Comments

Mettici sul tuo blog !!

Copia e inserisci nel tuo template il seguente codice (su di un’unica riga!)

Grazie! 

Per link piccolo: 

<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/FLAT5.jpg" border="0"
alt="flat.noblogs.org" width="153" height="123" /></a>

 

<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/flat7.jpg" border="0"
alt="flat.noblogs.org" width="153" height="123" /></a>

 

Per il banner grande: (quello che vedi in alto su questo blog) 

<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/banner%20grande.jpg" border="0" alt="flat.noblogs.org" width="767" height="115" /></a>
 
Per il banner piccolo:


 
<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/banner%20picc.jpg" border="0" alt="flat.noblogs.org" width="500" height="75" /></a>
 
Per logo Flat grande:

button2
 
<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/FLAT2.jpg" border="0" alt="flat.noblogs.org" width="308" height="428" /></a>
 

Per logo Flat piccolo:

button
<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/FLAT.jpg" border="0" alt="flat.noblogs.org" width="154" height="214" /></a>

oppure

<a href="http://flat.noblogs.org" target="_top"><img src="http://flat.noblogs.org/gallery/4467/FLAT4.jpg" border="0"
alt="flat.noblogs.org" width="154" height="214" /></a>
 

Posted in spot | Comments Off on Mettici sul tuo blog !!

SABATO 23 FEBBRAIO


Casa Internazionale delle Donne in via Francesco di Sales
1


dalle ore 10

Giornata di discussioni, tavoli, workshop  per saperne di più clicca qui

Per sapere come raggiungerci clicca qui 

Per iscriverti ai tavoli e per l’ospitalità clicca qui

Per altre informazioni scrivi a sommosse_roma@inventati.org


PROGRAMMA

ore 10 — accoglienza

ore 10.30 — apertura dei lavori in plenaria

ore 11.00 — avvio discussioni tavoli

ore 13.30 — pausa pranzo

ore 15.00 — ripresa dei lavori dei tavoli

ore 19.00 — chiusura dei lavori

ore 20.00 — cena


dalle 22.00 in poi Festa!

——————————————————

Gli ambienti della Casa Internazionale delle Donne che abbiamo a disposizione sono i seguenti

(cercheremo di disporci in base al numero di partecipanti): 

1- Sala convegni
2- Atelier (anticamera sala convegni)
3- Sala 115 (posti 25)
4- Sala caminetto _ con computer (posti 30)
5-Piccionaia (posti 30)
6- Sala elette (posti 50)
7 Ex ristorante (posti 50)
8- Affi (posti 15)
9- Corridoio con tavolo (posti 15)

 

 

Posted in PROGRAMMA | Comments Off on SABATO 23 FEBBRAIO

Album completo

Per scaricare e visionare tutti i materiali grafici di FLAT  (flyers, banner, etc)

clicca qui 

 

Posted in spot | Comments Off on Album completo

Lettera aperta del 14 febbraio ’08

Care tutte,
abbiamo letto e discusso le osservazioni, proposte e critiche relative alla prima formulazione dei titoli dei tavoli elaborata dall’assemblea romana e sulla base di queste vi sottoponiamo una nuova formulazione di quattro
titoli, che vorremmo proporvi come definitiva e che riportiamo qui di seguito. Inoltre, accogliendo la sollecitazione di molte a mettere a tema la questione immigrazione/razzismo, nonché l’ulteriore proposta arrivata
dal collettivo Porta Nuova, si potrebbe pensare ad un settimo tavolo (provvederemo in qualche modo a risolvere i problemi logistici), se ci sono le energie perchè qualcuna, possibilmente non del contesto romano,
si assuma il compito di formulare il titolo e preparare la relazione introduttiva.
Altrimenti si può pensare a uno o due tavoli virtuali e permanenti da aprire su FLAT.

Questi dunque i titoli:
 

1. Scambio e condivisione di pratiche e metodologie di intervento per
contrastare la violenza maschile, con particolare riguardo alla violenza
domestica. Elaborazione delle femministe e delle lesbiche (centri
antiviolenza, collettivi, gruppi, associazioni). Strategie di azione e
proposte.



2. Autodeterminazione. Analisi delle politiche e delle pratiche di
controllo sui nostri corpi (es. legge 40 e attacchi alla legge 194).
Strategie di azione e resistenza delle donne.


3. Media, linguaggi e immaginari. Strategie e pratiche di
autorappresentazione e riappropriazione dei mezzi di comunicazione e dei
linguaggi.


4. Lavoro, precarietà, smantellamento del welfare. Le pratiche di
resistenza e contrasto delle donne.


5. La critica femminista alle culture patriarcali, con particolare
riferimento agli ambiti dell’educazione e della formazione. Quali
possibilità per la costruzione di una cultura non sessista.


6. Violenza dell’eterosistema. Confronto tra pratiche politiche
di femministe e lesbiche e prospettive di lotta.

(7. tavolo sul razzismo o su spazio pubblico e politica delle donne.)


Per quanto riguarda le relazioni introduttive, erano state pensate come interventi proposti da chi, singole o gruppi, desidera mettere a disposizione del dibattito saperi specifici su un determinato tema, quindi come un primo intervento equiparato ai successivi ma a cui è affidato il compito di avviare la discussione fornendo dati, metodologie,
spunti di riflessione e che possibilmente possano essere proposti sul Blog già prima della due   giorni.


Di conseguenza suggeriamo che le relazioni siano contenute in tempi ragionevoli (pensavamo a 15 minuti max) in modo da

Continue reading

Posted in Varie | Comments Off on Lettera aperta del 14 febbraio ’08

Note tecniche

Qui sotto troverete le singole sezioni
riguardanti i diversi tavoli e potrete consultare i materiali che
serviranno a costruire una discussione di base condivisa (cliccate sui
titoli).


 

[Per pubblicare i vostri materiali e i vostri contributi alla discussione inviateli, specificando il tavolo a cui si riferiscono, all’indirizzo mail: sommosse_roma@inventati.org]


PER LEGGERE LE DUE LETTERE APERTE SCRITTE DALL’ASSEMBLEA ROMANA SUI TAVOLI E SULLA GESTIONE DELLA DUE GIORNI:

clicca qui per leggere quella del 14 febbraio

o clicca qui per leggere quella del 7 febbraio

CLICCA QUI PER LEGGERE IL PROGRAMMA E I TAVOLI DEFINITIVI  
 
 

Per leggere informazioni sull’assemblea nazionale del 24 febbraio clicca qui 

Posted in TAVOLI | Comments Off on Note tecniche