da www.deltanews.it
(Roma) Sabato 22 novembre, a Roma da Piazza delle Repubblica ha sfilato il corteo nazionale contro la violenza maschile. I media, per quelli che ne hanno parlato, dicono che la Flat- la rete nazionale femminista e lesbica promotrice del corteo, non ha “bissato il successo dello scorso anno”. Non c’erano, infatti, ieri in piazza, i numeri straordinari dello scorso anno, quando le militanti riuscirono a portare ben oltre 150 mila donne. Se i successi si ottengono con i numeri, è pur vero la che la Flat si è formata come realtà da poco meno di un anno, il suo, dunque, è un movimento ancora in ascesa che deve fare i conti ancora con posizioni, pratiche e modi politiche differenti anche all’interno dell’ambito femminista e, dunque, tutto sommato la rappresentatività di tutte le strutture, anche se con numeri ridotti, era visibile. Senza dubbio una riflessione si impone alle militanti della Flat, che devono – come hanno sostenuto – potenziare il lavoro sul campo e le relazioni politiche con le altre donne e associazioni femminili, cosi come si impone anche per le assenti.
Perché non hanno sentito il richiamo che l’anno scorso le trascinò in piazza contro il pacchetto sicurezza? Eppure le ragioni c’erano: un DDL Carfani che non risolve la questione della prostituzione ma la delega soltanto alle donne criminalizzandole; i tagli previsti dalla “riforma” Gelmini” rinchiudono le donne nel “decoro” della casa, un luogo – lo riconfermano i dati – che rende le donne vittime di violenza. Infine il motivo più importante, è cioè che di violenza si continua a morire. Una donna ogni tre giorni muore per mano del marito e del compagno. In un anno sono state 126 le donne – come testimonia l’indagine della casa delle donne di Bologna e Roma- a essere uccise. Il killer si nasconde in famiglia, e uccide soprattutto casalinghe fra i 25 e i 50 anni, proprio quelle su cui grava il welfare del paese. Non è dunque un problema di ordine pubblico, ma culturale. Cosi come è culturale il fatto che le donne sono esposte a discriminazioni sul posto del lavoro, ad abusi psicologici e sessuali, a prevaricazioni di ogni tipo solo perché donne, a disconoscimenti e violenze perché si compie una scelta altra da quelle eterosessuale, eccedendo il ruolo che la cultura patriarcale ha predestinato alle donne. “Gli attacchi alle lesbiche – grida Daria di “Luna e Le altre” dal camion- avvengono per strada, alle fermate degli autobus, accanto alle associazioni frequentate da lesbiche, ogni volta che le lesbiche diventano un soggetto pubblico. Per Monica Pepe, una delle anime della Flat, “bisogna avere il coraggio di denunciare, ogni atto di violenza o prevaricazione, espressioni e linguaggi sessisti, perché anche questi annullano la soggettività delle donne. Le donne non sono da sole, occorre trasformare la paura in rabbia”. I contenuti come quelli dello scorso anno, c’erano, ma questa volta sono state tante le donne sorde al richiamo della piazza. Un dato di fatto che pone interrogativi, perché le donne, come hanno dimostrato lo scorso anno, sentono l’esigenza di riappropriarsi della piazza, l’unico luogo per difendere il proprio corpo. Le donne sono quelle la cui guerra non è mai finita, come recita Non sono una signora, uno dei testi di Loredana Bertè che ha accompagnato il corteo e non può finire ora, proprio nel momento in cui il contrattacco alla sua libertà e più forte.
Di questo sono consapevoli le giovani e le giovanissime che hanno sfilato nel corteo di sabato. La loro è stata la presenza più massiccia. Eredi o meno delle donne che hanno riempito le piazze negli Anni 70 (le loro madri), di sicuro il neo- movimento femminista è risorto dalle macerie, dall’accademizzazione cui era stato relegato, dalla sua autoreferenzialità grazie sopratutto a loro, al coraggio di lottare anche attraverso modalità e pratiche differenti. Come quelle delle universitarie che pur ribadendo la loro autonomia nel movimento dell’onda, dando una lettura di genere dei decreti, a loro il separatismo proprio non va giù e hanno preferito usare l’espressione “non mista” piuttosto che quella di separatista. La novità di quest’anno è stata segnata anche dalla rete D.I.R.E (donne in rete contro la violenza) dei centri antiviolenza. A dire il vero rispetto allo scorso anno non hanno trascinato in piazza tante donne. Ma hanno risposto all’appello tante piccole associazioni contro le discriminazioni e la violenza che fanno i conti quotidianamente con la mancanza di fondi e la loro stessa sopravivenza: Assolei, Sportello Donna, che da anni è impegnata nella promozione della cultura della parità e nella lotta alla discriminazione di genere; Bee Fre, cooperativa contro tratta e violenze composta da giovani attiviste su cui grava il disagio della precarietà lavorativa ma animate da una forte passione per la causa delle libertà delle donne, solo per citare pochi esempi.
Non è passato inosservato lo striscione delle metalmeccaniche della Fiom, le cui componenti hanno dichiarato di essere state tra le prime, come categoria, a inserire nel contratto le sanzioni contro la molestia sessuale verso le donne. Ieri hanno sfilato insieme per chiedere parità di diritti sul lavoro e contro ogni pregiudizio sessista.
Tra le poche politiche presenti, Elettra Deiana, ex deputata del Prc, che si dice convinta che i tempi sono maturi per "riportare alla luce il grande tema della violenza sulle donne. Non tutti sanno che ogni 3 giorni una donna viene uccisa e che nella maggior parte dei casi succede all’interno delle famiglie a cura dei partner, dei fidanzati, dei mariti". Protagonisti in assoluto gli slogan recitati anche lo scorso anno "l’assassino non bussa, ha le chiavi di casa" e "non sono una bambola", o, ancora “Donna prima che figlia, donna prima che moglie, donne prima che madre, donna prima che sia tardi’, cosi come la canzone che ‘Ti lamenti, ma che ti lamenti, piglia lu bastuni e tira fora li denti’.
La manifestazione contro la violenza maschile si è conclusa a Piazza Navona sulle note della cantautrice femminista Eli Natali (di cui uscirà a breve "Interpretation", prodotto da Funky Juice) che ha cantato Calamity Babe, un inno dedicato ad un’amazzone e a "tutte le amazzoni in piazza" "fexible" (dedicata a tutte le donne precarie), la cover "Tango della femminista" e infine "Saint Ange".
(Delt@ Anno VI, N 232 del 24 novembre 2008) A.A.