* Scrivere questo contributo non è stato facile. Fino a pochi giorni fa non era ancora chiaro se c’era un’effettiva volontà/possibilità di inserire un tavolo sul razzismo per la due giorni. Quando uno spiraglio si è aperto, abbiamo dovuto fare i conti da una parte con i tempi stretti, dall’altra con un nostro senso di inadeguatezza. Volevamo problematizzare un “silenzio” (o comunque la difficoltà ad affrontarlo emerso dalle discussioni nella lista Sommosse), ma eravamo anche titubanti a proporre in questa specifica occasione un contributo in quanto “femministe singole” (ovvero non facenti parte attualmente di un gruppo o collettivo, o essendo trasversali a tanti). Alla fine…al volo, abbiamo deciso di prendere la parola mettendo insieme alcuni spunti trasversali ai tavoli.
1 – Per un tavolo sul razzismo: dalla manifestazione del 24 novembre alla due giorni del 23-24 febbraio
Questa due giorni nasce dalla grande manifestazione del 24 novembre contro la violenza maschile sulle donne, manifestazione che si è distinta per una forte connotazione anti-istituzionale, anti-familista, anti-omo/lesbo/trans/fobica, anti-securitaria e anti-razzista.
Riprendendo lo slogan del gruppo transnazionale Nextgenderation “Non in nostro nome”, si denunciava con forza l’ignobile campagna mediatica e politica all’indomani dell’omicidio di una “donna italiana” da parte di un “rumeno” (una rappresentazione che cela come dietro ad ogni stupro di una donna ci sia sempre, e comunque, un uomo), campagna che ha scatenato una vera e propria “caccia allo straniero”, con aggressioni fisiche contro migranti e rom, leggi d’eccezione ed espulsioni di massa. Rifiutando le strumentalizzazioni in chiave securitaria della violenza contro le donne abbiamo inserito nell’agenda politica il nesso sessismo/razzismo. Questo è stato, a nostro parere, uno dei punti di forza della manifestazione.
La nostra proposta di un tavolo sul “razzismo” nasceva quindi, in primo luogo, dalla constatazione che far ricadere tutto questo nell’invisibilità sarebbe un passo indietro.
Nello stesso tempo siamo consapevoli dei limiti del discorso (e delle pratiche) che abbiamo finora elaborato (come militanti femministe). Vorremmo che questo tavolo potesse costituire un primo momento concreto in cui cominciare a pensare l’interrelazione tra sessismo e razzismo (e quella tra lotta antisessista e antirazzista), alla cui luce interrogare criticamente le nostre teorie, le nostre pratiche, il nostro linguaggio e le nostre priorità.
Crediamo che questa sia una condizione imprescindibile per poter cominciare a dipanare lo scambio, il confronto ed anche il conflitto tra donne “autoctone” e “migranti”, europee e non europee, postcoloniali e diasporiche …
La discussione preparatoria alla due giorni che si è svolta nella lista Sommosse ci è sembrata un ottimo punto di partenza. Non solo perché ci permette di riprendere una discussione alla quale in molte hanno – direttamente o indirettamente – partecipato, non solo perché si basa su dei materiali (le mail scambiate in lista) a tutte accessibili e facilmente consultabili, ma anche perché mette in luce alcuni nodi cruciali che, a nostro avviso, andrebbero sciolti.
Ci è sembrato significativo, per cominciare, che l’iniziale difficoltà ad inserire un tavolo “razzismo” (proposto ma di fatto assente dai sei tavoli presenti inizialmente in Flat), sia stata motivata (oltre che da problemi “logistici”) dalla “mancanza” o “assenza” delle “donne migranti”, dal timore di “sovradeterminarle” o di parlare “in loro nome”. Altrettanto significativa ci è parsa la tendenza ad associare razzismo e immigrazione, associazione presente anche nel frequente riferirsi al tavolo come “tavolo immigrazione”. Infine, è sintomatico che la discussione si sia spostata quasi subito su una querelle intorno alla questione (piuttosto complessa) del cosiddetto “foulard islamico”.
D’altro canto, dalla discussione in lista è emersa anche la voglia di confrontarsi su queste questioni: ne viene ribadita l’urgenza, qualcuna fa girare dei materiali (tra i quali, ad esempio, un articolo sul lavoro teorico della femminista postcoloniale Gayatri Chakravorty Spivak), altre sottolineano che la mancanza di un tavolo sul razzismo è riconducibile – piuttosto che all’assenza delle “donne migranti” – all’assenza tra noi di gruppi femministi che lavorano su questa questione in maniera specifica, alla mancanza di una pratica condivisa su tale tematica. E che anche su questa (doppia) assenza, comunque, varrebbe la pena di interrogarsi.
Riteniamo che molte delle obiezioni al tavolo “razzismo” siano comprensibili solo sulla base di un equivoco di fondo determinato (tra l’altro) da una mancanza di riflessione sulla storia del razzismo (del razzismo in generale e del razzismo italiano in particolare) e sulla teoria/pratica femminista che da alcuni anni ha cominciato – anche in Italia – a interrogarsi su questa questione, seppur faticosamente e restando spesso “ai margini” del discorso (sia militante sia teorico).
Da questo punto di vista è importante dar visibilità e valorizzare le esperienze che si sono confrontate con le problematiche del razzismo e del sessismo:
– gruppi di native e migranti (pensiamo ad esempio a Punto di partenza di Firenze che qualche anno fa ha anche organizzato un convegno su questi temi, o ancora Alma Mater a Torino …)
– gruppi e collettivi femministi e lesbici che si sono mobilitati intorno alla questione razzismo, seppure in maniera discontinua, non strutturata e spesso legata a episodi congiunturali (pensiamo al collettivo Clitoristrix femministe e lesbiche di Bologna che, qualche anno fa, denunciò con forza lo “sgombero” di migranti – uomini, donne, bambini – dalla Basilica di S. Petronio a Bologna o ancora l’adesione del collettivo Maistat@zitt@ di Milano alla recente manifestazione dei/delle migranti a Brescia …)
– le (tante) femministe “singole” (come noi due) che da anni sono attivamente impegnate nella lotta antisessista e antirazzista. In questo caso è più difficile “documentarne” l’attività: le “singole” non “aderiscono” alle manifestazioni, non fanno comunicati, non “promuovono”, ma sono presenti nei luoghi, nelle riunioni, ai presidi e alle mobilitazioni, intervengono nelle discussioni, fanno girare appelli, tessono relazioni tra realtà diverse e speso incomunicabili … Tutto questo non ci sembra trascurabile.
2- Partire da noi
Noi partiamo dal presupposto che parlare di “razzismo” (inteso come rapporto sociale, politico ed economico di sfruttamento e dominazione da parte di un gruppo su di un altro) significa parlare in primo luogo di “noi”. Non significa parlare (di o per) i/le “razzizzati/e” , per il semplice motivo che non sono coloro che subiscono il razzismo a creare il razzismo, ma è piuttosto il razzismo che crea la “razza” (così come è il sessismo che crea il “sesso”). La mancanza delle “donne migranti” non può dunque essere una ragione valida per continuare ad ignorare un “problema” che è un nostro problema: in quanto donne (femministe) “bianche” e/o “occidentali” (da intendersi come categorie sociologiche, non “naturali”) siamo implicate nell’attuale sistema di dominio razzista e possiamo anche contribuire a perpetuarlo. Anche semplicemente non percependolo come un nostro problema. L’assenza delle migranti è piuttosto un sintomo della mancanza di uno spazio di discorso che tematizzi la questione del razzismo come terreno di conflitto politico all’interno del quale è possibile la presa di parola e l’interlocuzione tra posizionalità diverse. In questa prospettiva il nodo non è tanto ‘includere’ più migranti, ma piuttosto mettere al centro e interrogare le gerarchie e le esclusioni che fabbricano le relazioni sociali in termini ‘razziali’, sessuali, di genere.
Si potrebbe quindi iniziare interrogando piuttosto la nostra “assenza” da momenti importanti dell’agenda politica dei/delle migranti (ad esempio il sabato successivo alla grande manifestazione del 24 novembre in varie città italiane si sono tenuti dei presidi dei/delle migranti: la presenza di femministe è stata scarsissima, per non dire nulla …)
3- Disconnettere razzismo e immigrazione
Associare il razzismo alla questione “immigrazione” (come è stato spesso fatto in lista) tende a rinviare a quello che è stato (ed ancora è) uno dei leitmotiv della vulgata razzista, in specie italiana: è il “fenomeno immigrazione”, “l’invasione” dei/delle immigrati (i nuovi “barbari”, gli “stranieri”) che rende razzisti gli “italiani brava gente”, come se fossero i/le migranti (con i loro corpi, la loro “presenza”) a “fabbricare” il razzismo, fenomeno altrimenti assente.
Se oggi i/le migranti sono, in Italia, i maggiori bersagli delle politiche razziste e securitarie, questo non significa che il razzismo italiano nasce oggi e a causa loro. Il razzismo attuale è invece un sistema che si è lungamente sedimentato nel tempo: dall’antigiudaismo di matrice cattolica, al razzismo antimeridionale teorizzato – tra gli altri – da Niceforo, all’antisemitismo delle leggi razziali del ’38, al razzismo anti-zingari ( solo oggi detto anti-rom), al colonialismo di epoca liberale e poi fascista.
Queste forme di razzismo possono attraversare fasi di latenza, riemergere, modificarsi (si pensi alla persistenza dell’antisemitismo, al razzismo anti-meridionale riattivato qualche anno fa dalla Lega Nord, all’acutizzarsi del razzismo verso Rom e Sinti negli ultimi mesi). In ogni caso queste tracce influenzano e modellano le attuali forme di razzismo e dunque se ci sembra ancora poco visibile in Italia la presa di parola politica delle donne sul terreno dei conflitti razzializzati, ci sembra evidente tuttavia che siamo in compagnia del razzismo da un bel po’.
E crediamo che questo spessore storico vada interrogato.
4- Un passo indietro: la critica del Black Feminism e dei Post-colonial Studies al femminismo “occidentale”.
La centralità assunta – a partire dai primi anni 70 – dalla critica mossa dalle militanti “non bianche” al femminismo “occidentale” (laddove, val la pena di insistere, per “non bianche” e/o “femminismo occidentale”, ci riferiamo a categorie politiche e sociali), rappresenta un punto di riferimento importante a cui attingere per interrogarsi sull’interrelazione di sessismo e razzismo.
Black Feminism: E’ grazie a questa critica infatti (e a quella altrettanto dirompente delle militanti lesbiche e, sebbene ancora all’epoca poco visibili, trans) che il soggetto unitario del femminismo – “le donne” -, è imploso. Per le militanti nere e di altre “minoranze” il “femminismo bianco” ha riprodotto una griglia di lettura che tende a spiegare i meccanismi di dominazione attraverso l’unica modalità della dominazione di genere, ignorando altri assi di differenziazione. Il soggetto del femminismo “bianco” è un soggetto autocentrato sulla propria condizione particolare (donna occidentale, di classe media, eterosessuale), condizione che tende ad universalizzare. In questo modo l’esperienza dell’oppressione patriarcale vissuta dalle donne “non-bianche”, strettamente condizionata dal razzismo (così come le loro pratiche di resistenza) sono state ignorate e non riconosciute.
Il femminismo postcoloniale – a partire dalla critica del processo attraverso il quale l’Occidente si è consolidato creando i suoi “Altri” come oggetti da analizzare, assumendosi il potere/sapere di rappresentarli e controllarli –, ha denunciato la costituzione nel femminismo occidentale di un soggetto che si autocostituisce come soggetto di conoscenza costruendo “l’Altra” (le donne del sud del mondo) come essere “inferiore”, bisognosa del suo “aiuto”, perpetuando in questo modo l’atteggiamento proprio dei (ex) colonizzatori bianchi, della loro “missione civilizzatrice”.
Alla luce di queste critiche anche le teorie pratiche prodotte fino a quel momento andavano riviste e riformulate alla luce del nesso sessismo/razzismo. Di fatto, storicamente, le femministe “bianche” hanno spesso stabilito un nesso tra sessismo e razzismo, ma questo nesso ha preso la forma di un rapporto di tipo analogico (analogia tra la loro propria condizione di oppressione e quella di altri gruppi oppressi. Basti pensare che lo stesso termine di sessismo viene coniato nell’ambito del femminismo nord americano degli anni settanta sul modello di “razzismo”).
Questo rapporto analogico viene decisamente contestato dalla femministe “non-bianche”: bell hooks ad esempio, individua in questa analogia una spia dei meccanismi sessisti e razzisti che producono l’invisibilizzazione delle donne non bianche. Infatti quel che si mette in parallelo sono le donne bianche e gli uomini neri. Invitandoci ad abbandonare la problematica dell’analogia tra “sesso” e “razza” e privilegiando una problematica che mostra il loro articolarsi, il Black Feminism ha operato una vera e propria rivoluzione, portando alla messa a punto nella teoria/pratica femminista di alcuni importanti strumenti teorici per concettualizzare l’articolazione di sessismo e razzismo.
Analoghe critiche sono state mosse al modello che potremmo definire “matematico” o “addizionale”. Ad es. le donne subiscono il sessismo, tra queste alcune (le “non-bianche”) subiscono il sessismo e il razzismo, altre ancora (ad es., le lesbiche nere) subiscono il sessismo, il razzismo e la lesbofobia eccetera. Un modello che isola ciascun rapporto di dominazione e definisce la loro relazione in maniera aritmetica: ad es. le migranti subiscono un’oppressione razzista (che condividono con gli uomini migranti) ed inoltre un’oppressione sessista (simile a quella subita dalle donne “native”), e ha ispirato molti dei commenti o delle analisi successive “ai fatti di Tor di Quinto”, probabilmente perché si muove nella stessa logica, ad esempio, dell’analisi del “lavoro delle donne” come “cumulo” di sfruttamento (fuori casa /in casa).
Queste osservazioni rilevano la difficoltà a individuare i rapporti di dominazione come elementi mobili, storici, difficilmente formalizzabili e circoscrivibili. C’è ancora cioè la difficoltà a pensare un (nuovo) soggetto del femminismo realmente denaturalizzato e decentrato.
La categoria “donne” (bianche, di classe media, eterosessuali …) viene infatti semplicemente re-naturalizzata in una miriade di “sotto-categorie” (”le migranti”, “le donne nere”, “le donne non bianche”, “le rom”…). L’esperienza delle donne “non-bianche” continua ad essere percepita come un’esperienza “diversa” della dominazione patriarcale, articolata a diversi rapporti di potere (cioè una variazione dalla “norma bianca”, così come il “femminile” è stato per lungo tempo percepito come una differenziazione dalla norma della mascolinità). Non si comprende cioè che la denaturalizzazione delle categorie di “sesso” e di “razza” suppone ugualmente di decostruire quella che in area anglofona viene chiamata Whiteness, la “bianchezza”.
Lo stesso uso spropositato delle virgolette che facciamo in questo testo mostra….che ci mancano ancora le parole per nominare in modo politicamente efficace queste questioni. E si pone con urgenza il problema di tradurre alla luce delle specificità del contesto italiano categorie, pratiche, riferimenti che hanno preso forma altrove.
5- Qualche passo avanti
In questo contesto ci sembra urgente elaborare un punto di vista critico che contribuisca a ripensare e a ricollocare le nostre pratiche anche alla luce dell’eredità dell’imperialismo e dell’eurocentrismo che continua a definire rapporti di potere asimmetrici e gerarchie di rilevanze nei rapporti politici tra donne. Mentre le esperienze femministe che hanno preso forma nel post-Genova 2001 hanno segnano una frattura rispetto ad alcune posizioni essenzialiste, il corpo politico al centro delle nostre pratiche rimane indiscutibilmente ‘bianco’. La disconnessione tra memoria coloniale e razzismo emerge nella persistente resistenza a considerare il tema del razzismo e delle differenze culturali come una questione politica di tutto il movimento delle donne. Mentre posizionalità diverse legate alla generazione e alle identificazioni di genere sono state tematizzate, le questioni di potere, autorità e leadership legate all’egemonia della ‘bianchezza’ rimangono non dette e non problematizzate.
Quello che segue è il tentativo di individuare in questa prospettiva alcuni nodi trasversali ai diversi tavoli di questa due giorni, rilanciandoli a tutte:
-Violenza/razzismo/sessismo: oltre alla questione del rifiuto dell’uso della violenza contro le donne in chiave razzista (e dell’equazione stupratore=straniero), esiste tutto un sommerso legato alla violenza domestica, e ai rapporti potere legati al lavoro di cura.
-Autodeterminazione/razzismo: i corpi delle ‘migranti’ e delle ‘clandestine’. Rimettere in gioco le nostre pratiche di autodeterminazione a partire dalle nuove mappe dei corpi e della sessualità. Ci manca ad esempio un’analisi specifica delle disuguaglianze nell’accesso a consultori, aborto, fecondazione non assistita (ieri sera la Finocchiaro a L’Infedele ci ha spiegato che l’aborto è utilizzato ‘troppo’ dalle immigrate).Un altro aspetto critico è il rapporto famiglia/razzismo: ad es. molte militanti non bianche hanno tematizzato la famiglia e lo spazio domestico come “spazio di resistenza”. Un elemento che ci pome di fronte alla necessità di comprendere che le priorità possono essere diverse e che diverse sono le agende politiche
-Precarietà/razzismo/sessismo: indagare all’interno del paradigma postfordista come rapporti di potere razzisti non solo definiscano differenti accessi a risorse e possibilità, ma siano oggi cruciali nel riformulare i nessi che collegano lavoro sessuale e lavoro di riproduzione, da una parte, e femminilizzazione globalizzata del lavoro e globalizzazione del lavoro di riproduzione, dall’altra.
-Comunicazione/razzismo/sessismo: sono molteplici le piste che si possono aprire su questo terreno: dal monitoraggio dei messaggi razzisti e sessisti veicolati da media e organi di informazione, alla questione della rappresentazione e autorappresentazione di un soggetto multiplo e mobile in grado di dare visibilità e allo stesso tempo decostruire i rapporti di potere, per passare infine alla questione del linguaggio.
-Pratiche femministe/lesbismo/antirazzismo:
La questione della ‘differenza’ è stata cruciale all’interno del femminismo, ma raramente e in modo marginale il tema delle differenze è stato articolato a partire dalle condizioni specifiche che ne segnavano posizionalità diverse all’interno del femminismo. La dimensione ‘transculturale’ dei processi di identificazione e mobilitazione politica diventa oggi centrale nell’orizzonte di una crescente mobilità dentro e fuori i confini dell’Europa.
Liliana Ellena e Vincenza Perilli
Torino-Bologna, 21 febbraio 2008