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di Ilaria Maccaroni
Guarda il REPORTAGE FOTOGRAFICO (foto Daniela Silvestri e Lucia Perrotta)
La manifestazione del 22 Novembre a Roma, autorganizzata da donne, femministe e lesbiche, questo anno ha voluto nuovamente riportare all’attenzione dell’opinione pubblica il problema secolare e irrisolto della violenza maschile contro le donne che in Italia e non solo è la prima causa di morte e di invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. I dati parlano chiaro. Nel nostro paese ogni anno un milione di donne subisce violenza fisica, sessuale, psicologica oltre ad essere vittime di persecuzioni e di molestie da parte di partner, ex-partner, padri, figli, parenti maschi, amici, colleghi, conoscenti e sconosciuti. Le donne sono l’obiettivo preferito della violenza maschile che spesso avviene tra le mura domestiche, ma anche per strada e sul posto di lavoro. Le femministe ritengono da sempre che il problema della violenza maschile contro le donne, che preferiscono chiamare "femminicidio", cioè omicidio di donne, è strettamente legato alla cultura e la permea in ogni suo aspetto. Il cambiamento dunque non si risolve solo sul piano legale ma anche e soprattutto su quello culturale. A partire dall’educazione rivolta agli uomini ma anche e soprattutto alle donne.
Fin da piccole alle donne si insegna a subire passivamente invece di imparare a difendersi contro la violenza dei compagni di scuola, degli amici, dei familiari, si insegna loro ad occuparsi prima degli altri (fratelli, padri, fidanzati e mariti) prima che di loro stesse, si insegna ad inseguire il mito dell’Amore piuttosto che a coltivare la loro forza, il loro piacere e la loro intelligenza. Il modello femminile pubblicitario e televisivo, propone donne sexy, disponibili e accoglienti scambiando l’accesso costante al corpo delle donne da parte degli uomini con la loro emancipazione e la loro libertà sessuale. Le politiche securitarie inoltre, dipingono la violenza contro le donne come una questione di ordine pubblico, strumentalizzandone i contenuti per giustificare azioni discriminatorie e razziste che, nella maggior parte dei casi, finiscono col danneggiare le donne stesse piuttosto che i colpevoli delle violenze. Se in Italia si colpissero i clienti piuttosto che le prostitute, nel nostro paese non ci sarebbero donne straniere stuprate, brutalizzate e portate sulle strade come carne in vendita.
Le femministe e le lesbiche hanno voluto ribadire attraverso un corteo di sole donne, che ha visto la partecipazione anche di alcuni uomini dell’associazione Maschile Plurale, che la violenza maschile ha molti tentacoli e che le donne per prime devono spezzare il legame di complicità che ci lega ad essa. Devono denunciare il femminicidio. Questo lo hanno ribadito femministe e lesbiche assieme. Le lesbiche vengono punite in pubblico per il loro non-conformismo e per la loro identità specifica e perché non corrispondono alla norma eterosessista imposta a tutte le donne nella nostra società. La loro scelta di abbandono gli stereotipi sessuali le rende pubblicamente invisibili. Soltanto la loro visibilità, sebbene nella quotidianità rappresenti un pericolo per la loro incolumità fisica e psicologica, è allo stesso tempo un potenziale di emancipazione e di cambiamento politico.