L’esito incerto della costituzione di un tavolo sul razzismo , ha poi avuto una buona riuscita, sicuramente come input per un confronto che speriamo possa essere trasversale alle tematiche analizzate dai gruppi di lavoro
Questa due giorni nasce dalla grande manifestazione del 24.11 contro la violenza maschile sulle donne che si è distinta per una forte connotazione antistituzionale, antifamilista, antisecuritaria e antirazzista. Rifiutando le strumentalizzazioni in chiave securitaria della violenza contro le donne abbiamo inserito nell’agenda politica il nesso sessismo/razzismo.
La proposta quindi del tavolo sul razzismo è nata quindi dalla constatazione di alcune compagne di torino e di bologna secondo la quale ‘ far ricadere nell’invisibilità tutto questo sarebbe un passo indietro’
La difficoltà data dall’interrogativo se era opportuno un tavolo su questo tema , considerata la assenza delle donne migranti , e quindi al rischio di parlare in loro nome o sovradeterminarle è stato emblematico, comunque, del desiderio di confrontarci con un tema che non possiamo piu’ ignorare.
Sciolto il nodo iniziale nel senso di iniziare a partire da noi ed esaminare il nostro rapporto con le donne migranti alla luce del nostro modo di relazionarci a loro ( la pratica femminista ci insegna che bisogna partire da se’ e che è la modalità di relazione che è centrale,), abbiamo iniziato quindi a ragionare sul termine razzismo.
Pur riconoscendo che il termine razza non ha nessuna connotazione biologica , ma che è frutto invece di una costruzione culturale che si interseca nella stratificazione dei rapporti di potere; abbiamo scollegato inizialmente il termine razzismo da immigrazione riconoscendolo come un rapporto sociale, politico ed economico di sfruttamento e dominazione di un gruppo su un altro. Riconoscendo che il razzismo non nasce con l’emigrazione degli ultimi anni ,( l’italia ha un passato come nazione colonizzatrice su cui la comunità eritrea si sta interrogando a Roma ultimamente) e non riguarda solo i migranti, ma è interno ad ogni polarità che implica l’alterità ,( si è razzisti verso quelli del sud al nord, verso gli anziani da parte dei giovani , verso gli omosessuali , etc.. ci siamo chieste se esistevano piu’ razzismi. Le posizioni su questo non sono state concordi.
Abbiamo pero’ riconosciuto che già nel linguaggio agiamo un razzismo inconsapevole, usando le e spressioni Noi /Loro.
Riconoscendo la valenza performativa del linguaggio, non ci siamo sottratte dalla critica ad una cultura eurocentrica che caratterizza la cultura dell’emancipazione delle donne.
Soltando partendo da noi , dalle nostre incongruenze culturali , frutto di una cultura che esprime una violenza epistemica possiamo poi cambiare la politica all’esterno.
La critica al razzismo non puo’ prescindere dal riconoscere il nostro passato coloniale, e questo ci spinge verso una rimozione che seppur inconsapevole ci blocca in una relazione con le migranti improntata all’aiuto e alla sovradeterminazione .
I Black studies e gli studi postcolonial ci rimandano l’implosione del soggetto unitario del femminismo : le donne.
Là dove il soggetto del femminismo bianco è autocentrato sulla propria condizione particolare ( donna occidentale, classe media , eterosessuale) condizione che tende ad universalizzare , i black studies ci rimandano un nostro limite interno che ignora altri assi di differenziazione.
Il partire da noi ha messo in luce la nostra posizione di privilegio che non significa necessariamente complicità, ma non possiamo comunque nasconderci che la ‘bianchezza è privilegio’.
L’analisi del privilegio che è sociale economico e politico ci ha fatto poi discutere su un’altra serie di contraddizioni a catena , prima fra tutte la strutturazione dello spazio pubblico.
La prima asimmetria che abbiamo riconosciuto è proprio questo, uno scarso accesso alla spazio pubblico, quale luogo in cui essere visibili e autodeterminarsi che alle donne migranti è negato perché è negato l’accesso ai diritti di cittadinanza.
Un concetto di cittadinanza che è escludente poiché rappresenta lo spazio entro il quale e solo entro il quale puoi essere riconosciuta come soggetto di diritti.
Abbiamo poi discusso sul lavoro di cura , che viene sempre piu’ appaltato alle donne migranti e che ci pone un interrogativo in quanto donne e femministe .
Il nostro interrogativo è : come possiamo pensare che la nostra libertà di tempo e di spazio venga garantita affidando ad altre donne un lavoro tradizionale di cura ? quanto una risposta individuale e di privilegio a dei bisogni collettivi e non collettivizzati, che lo stato pubblico e il wellfare non garantiscono, perpetua uno stato di sfruttamento che abbiamo tentato di allontanare da noi?
Questo ci ha fatto pensare che il lavoro di cura affidato alle ‘’badanti ‘’migranti costruisce una relazione perversa , come la modalità stessa di cura affidata tradizionalmente alle donne.
Non è razzismo spostare su altre diverse da noi per condizione economica e provenienza geografica quello che storicamente è stato considerato mancipio femminile?
Con la Lonzi concordiamo ‘ solo se cogli la forma che la violenza assume sulla tua vita , puoi coglierla nella vita delle altre’.
Allora che tipo di relazione riusciamo costruire con le donne migranti?Riconoscere le sfiga delle altre per accontentarci di cio’ che abbiamo noi? No.
Autorappresentarci come un soggetto di conoscenza che costruendo ‘l’altra (le donne del mondo)come essere inferiore , bisognosa del tuo aiuto, perpetuando la missione civilizzatrice del colonialismo bianco? No.
Per costruire una relazione paritaria ed arricchente abbiamo pensato che l’unica via sia trovare delle similitudini, dei tratti comuni che nel rispetto delle singole differenze ci permetta l’incontro e lo scambio .
La nostra critica e autocritica al razzismo inconsapevole non ha potuto prescindere dal lanciare uno sguardo critico sull’eredità dell’imperialismo e dell’eurocentrismo di cui siamo figlie involontarie, e che continua definire rapporti di potere asimmetrici e gerarchie di rilevanze nei rapporti politici tra donne.Se il corpo politico al centro delle nostre pratiche rimane indiscutibilmente bianco, non possiamo esimerci dal problematizzare questo.
E il nostro privilegio non puo’ essere complicità nel limite alla autoderminazione delle donne tutte.
L’autodeterminazione infatti non prescinde da un contesto che non riconosce esistenza legale ( possesso di documenti, libretto sanitario etc ) ad alcune donne , ed impone una condizione di ricatto e di precarietà socioeconomica a molte altre .
Fin qui la fotografia del nostro interrogarci.
Per dare continuità a questo sforzo abbiamo ipotizzato delle azioni:
1. In qualsiasi mobilitazione vanno tenuti presente i limiti che all’autoderminazione hanno le donne migranti .
2. Proponiamo pratiche di interculturalità ,contrapposte alla multiculturalità che a volte altro non è che un patto tra patriarcati. dove il termine ‘’inter =tra’’ rimanda ad una relazione tra pari , l’interculturalità è quindi uno spazio terzo , un prodotto altro.
3. Siamo poi contro ogni forma di nazionalismo foriero di una identità esclusiva che non puo’ non toccare l’ autoderminazione delle donne, perchè tutti i nazionalismi .e le guerre ricadono sul corpo delle donne (stupri in ex yugoslavia, il burqa in afganistan dopo l’11 settembre, l’assedio israeliano in Palestina etc.. )
4. La trasversalità del tema del razzismo e del lesbismo dovrebbero diventare temi centrali del pensiero femminista su cui non possiamo smettere di interrogarci .
Abbiamo quindi sentito il bisogno di continuare ad elaborare i numerosi input che questo incontro ha generato e pensiamo quindi di continuare la riflessione via web.