dal blog Marginalia
Solutions: Female Rage and Other Alternatives è l’ultimo capitolo di un libro dei primi anni 70, The Politics of Rape [1], parzialmente tradotto e poi pubblicato dal collettivo femminista romano Limenetimena [2]. In questo capitolo – titolo in italiano: Una soluzione: violenza femminista ed altre alternative [3], è sottolineata l’importanza della resistenza e dell’uso di tecniche di autodifesa da parte delle donne per opporsi alla violenza esercitata dagli uomini [4].
Vengono elencate una serie di tecniche di resistenza, dall’urlo all’uso di "armi improprie" [5], molte delle quali saranno riprese in libri, opuscoli e vari altri documenti prodotti e fatti circolare in quegli anni [6]. E’ indubbio infatti che, sebbene alcune tecniche di autodifesa fossero già state sperimentate dalle suffraggiste inglesi (che le usavano per contrastare la violenza della polizia durante le manifestazioni) e dalle operaie tedesche (che, negli anni 30, dovevano difendersi dagli attacchi fascisti), solo con il movimento femminista degli anni 60-70 vengono messi a punto dei veri e propri manuali e corsi di autodifesa.
Attingendo a svariate tecniche (dalle arti marziali quali il Jiu Jitsu al Wendo) questi divengono (insieme ai centri anti stupro[7], ai Rape Speak-out [8] e ai gruppi di azione anti stupro[9]), dei formidabili strumenti per denunciare la violenza e opporvi resistenza. Lungi dall’essere solo un elenco di mosse e tecniche di combattimento, questi manuali e corsi erano parte integrante di un più complessivo percorso di lotta che partiva dalla lucida e spietata analisi femminista della violenza di genere come ancorata (e nello stesso tempo generata) da uno specifico rapporto di potere: quello che intercorre cioè tra chi questo potere lo detiene (gli "uomini") e chi lo subisce (le "donne") [10].
Questo enorme patrimonio storico e politico (rivisto criticamente, adattato e ridiscusso) è alla base di molte esperienze attuali, dai manuali di autodifesa in circolazione ancora oggi [11] alle tecniche usate nei corsi organizzati da e per donne, lesbiche e trans [12].
Nello stesso tempo, però, assistiamo al proliferare in quest’ultimo periodo di corsi di autodifesa femminili organizzati da palestre, comuni, associazioni, circoli anziani e ricreativi, poliziotti in pensione, ex-bodyguard e palestrati precari nonchè da qualche immancabile wonderwoman (le super donne pronte ad aiutare le "sorelle" più deboli e sprovvedute non mancano mai ….).
Questi corsi sono, in alcuni casi, rivolti esplicitamente alla "sensibilizzazione sul problema delle aggressioni in genere e stupro, rapina, violenza domestica in particolare"). Insieme, negli scaffali delle librerie si accumula un numero sempre maggiore di pubblicazioni, alcune delle quali pubblicizzate con un eloquente "Gli impegni quotidiani di una donna la portano sempre più spesso a essere da sola in situazioni di potenziale pericolo" [13].
Tutto questo mi allarma ed irrita.
Per cominciare siamo ridotte nuovamente a vittime. In secondo luogo il complesso rapporto di potere che è alla base delle violenza esercitata dal gruppo dominante sui soggetti "dominati" viene ridotta ad una questione di "incapacità" fisica e/o psicologica. Siamo "noi" (donne, lesbiche, trans …) in quanto potenziali vittime a doverci sensibilizzare al problema: lo stupro è un problema delle "donne", anzi esiste un "problema donne" tout court (così come c’è stato un "problema nero" che non è mai diventato un "problema bianco" nonostante Malcom X …) [14].
Del resto se fossimo state sufficientemente sensibilizzate non ci saremmo messe ad andare in giro da sole e a rivendicare autonomia dentro e fuori casa (cosa che rende notoriamente gli uomini piuttosto nervosi, ricordo la donna uccisa dal marito perchè si rifiutava di cucinare…).
Per lo meno avremmo dovuto porci il problema di saperci difendere …
Ma niente paura care signore! … sono in arrivo torme di prodi cavalieri senza macchia pronti ad insegnarcelo, a istruirci, a sensibilizzarci … (e voilà, in un attimo tutto il sapere che abbiamo accumulato anche su questa questione viene cancellato con un bel colpo di spugna …)
Del resto difendersi non è una cosa troppo difficile (nel senso che possiamo impararlo anche noi …): come ebbe a dire non molto tempo fa un avvocato a difesa del suo cliente, per evitare uno stupro basta un morso (un "morsetto" per l’esattezza). E’ sempre la solita storia: se una donna subisce uno stupro è perché, in un modo o nell’altro "l’ha voluto" o " se l’è cercato". Se poi lo denuncia è una menzogna (era consenziente e poi per qualche strano motivo ha cambiato idea, insomma la volubilità delle donne di goldoniana memoria …), perchè in fondo sarebbe bastato – se solo lo avesse voluto – "un morsetto" per evitarlo.
Si evita generalmente di ricordare che anche gli uomini spesso soccombono quando sono aggrediti di sopresa o da persone di cui si fidavano o dalle quali non se l’aspettavano (basta leggere la cronaca) e sono precisamente queste le condizioni in cui si verificano più frequentemente aggresioni di tipo sessuale (in ambienti che percepiamo non pericolosi, come l’interno della nostra casa o la casa altrui, e da parte di persone che conosciamo bene e che in alcuni casi amiamo …). Queste condizioni non possono essere paragonate ad altre situazioni (guerra, guerriglia urbana, zuffe al bar o simili) dove comunque si è in uno stato (anche psicologico) diverso, dove è chiaro chi è il nemico dal quale dobbiamo difenderci (che sono poi le situazioni dove gli uomini sono più frequentemente confrontati alla violenza ).
Non voglio con questo sottovalutare l’importanza per i soggetti "inferiorizzati" e "dominati" di corsi di autodifesa, ma sottolineare che hanno efficacia solo e quando vengono fatti in uno specifico contesto e percorso (che è quello femminista). Contesto e percorso che si è enormemente modificato dagli anni 70, così come siamo cambiate (anche) noi. Insieme mi sembra importante denunciare questo tentativo più o meno subdolo di "sfruttare" la violenza sulle donne, non solo ai fini del business ma anche per veicolare messaggi di tipo sessista e anche razzista [15].
Abbiamo dimostrato di saperci difendere (all’occorrenza) con ogni mezzo necessario compresi morsi e "armi improprie" , come unghie e in alcuni casi forbici [16]. Siamo state capaci di autorganizzarci. Ci siamo date forza e sostegno reciproco. Ci resta molto ancora da fare ovviamente, tanto per cominciare tentare di non farci trasformare in Wonder Woman.
Se i dinosauri sono destinati all’estinzione così come (spero) tutti i superman e le wonderwoman del mondo intero, i messaggi sessisti e razzisti che veicolano rischiano di sedimentarsi e divenire operativi [17].
NOTE:
[1] Diana E.H Russel, The Politics of Rape, New York, Stein & Day 1975.
[2] Limenetimena, La politica dello stupro, stampato in proprio, Roma 1976.
[3] Tradurre è un lavoro difficile, mal pagato e sottovalutato (come so bene per esperienza) ed è, per questi motivi, sempre meritorio, soprattutto quando, come nel caso citato, è fatto in un’ottica "militante". Cio’ detto resta per me abbastanza incomprensibile la scelta di tradurre la parola "rage" con "violenza", invece che con collera, termine che avrei sicuramente preferito, anche pensando a Colette Guillaumin e alla sua "collera delle oppresse". Mi riferisco a C. Guillaumin, "Femmes et Théories de la société: remarques sur les effets théoriques de la colère des opprimées", in Ead. Sexe, race et pratique du pouvoir. L’idée de nature, coté-femmes, Paris 1992, pp. 219-239.
[4] Questa parte è preceduta dalla trascrizione di una interessantissima intervista ad una donna che aveva affrontato fisicamente un uomo che si vantava di aver commesso uno stupro.
[5] Ad esempio: sigarette accese da spegnere negli occhi, o vicino …; penne o matite da usare come pugnali in faccia, occhi, collo…; spray, di qualunque tipo, meglio quelli sui quali c’è scritto di non spruzzare negli occhi …; chiavi tenute insieme da un’anello, nella quale si infila la mano chiudendo il pugno e lasciando le chiavi all’esterno per colpire facendo molto male …; ombrelli, ma è inutile darli in testa di piatto, meglio usarli di punta mirando a faccia, pancia …; cavatappi, raro averne uno a portata di mano, peccato perchè è un’ottima arma usata contro faccia, collo e addome soprattutto se dopo il colpo si gira …
[6] Tra i tanti Le violentate di Maria Adele Teodori (SugarCo, Milano 1977), testo interessante anche perché a quanto mi risulta è uno dei primi testi italiani in cui si parla di femminicidio.
[7] Gli attuali centri antiviolenza. Diffusosi inizialmente negli Stati uniti (il primo nasce nel 72), i Rape Center Crisis, offrivano sostegno morale e fisico alle donne vittime di stupro, accompagnandole all’ospedale e/o dalla polizia per la denuncia, fornendo informazioni mediche e legali. Ed anche un letto a quelle donne che non vogliono (o non possono) tornare a casa.
[8] Raduno di donne che pubblicamente raccontano le loro drammatiche esperienze di stupro. Memorabile quello organizzato da un gruppo di Radical Feminist nel 71 a New York.
[9] I Gruppi di azione anti stupro, nati inizialmente negli Stati Uniti, avevano messo a punto una serie di tecniche che potremmo definire di agitazione politica che avevano lo scopo prioritario di denunciare pubblicamente gli stupri e gli stupratori (ad esempio con picchetti e volantinaggi davanti alla casa o al luogo di lavoro di stupratori) e fornire una solidarietà visibile e tangibile alle vittime (o potenziali vittime) di stupro (ad esempio presenziando ai processi). Anche questo patrimonio storico non è andato del tutto perso, come hanno dimostrato recenti mobilitazioni.
[10] "Uomini" e "donne" sono intese qui non come categorie "naturali" ma come categorie sociali. La discriminante "sesso" contribuisce a costituire queste categorie così come alte variabili, quali la "razza", la classe, l’età, l’orientamento o la scelta o l’ identità sessuale. Sono vittime della violenza di genere non solo le donne, ma tutt* coloro che vengono "inferiorizzati" (o "femminilizzati") e quindi lesbiche, sexworkers, transessuali di ambo i "sessi", migranti, bambine e bambini.
[11] Per esempio i manuali di autodifesa messi a punto rispettivamente dal Gruppo Autodifesa Filo-mena e dalle Maistat@zitt@, manuali che potete scaricare qui.
[12] A Roma le già citate Filo-mena si allenano al Laurentino Okkupato. Sempre a Roma i gruppi Wendo-Roma organizzano corsi di wendo solo per donne e lesbiche da circa dieci anni (e attualmente i corsi sono accessibili anche a donne sorde con traduzione in L.I.S. Potete contattarle qui wendo.roma@libero.it. A Bologna sono le Amazora che organizzano da diversi anni corsi di wendo per donne e lesbiche (per info sui corsi amazora06@yahoo.it). A Milano questa settimana partirà il corso (rivolto anche alle trans) delle Maistat@zitt@.
[13] "Sola" in questo caso significa senza la presenza rassicurante e protettiva di un uomo …
[14] Ed oggi un problema "immigrati"…
[15] Il discorso sul razzismo in relazione a discorsi e pratiche concernenti la violenza sulle donne è lungo, complesso e in parte ancora tutto da costruire. Mi limiterò ad osservare che già Angela Davis nel suo Sex, Race and Class (1982, tradotto in italiano come Bianche e nere) denunciava alla fine degli anni 70 il mito dello “stupratore nero”, che nell’America razzista era funzionale a giustificare e fomentare l’aggressione razzista verso la comunità nera. Davis mostra anche come le donne “bianche”, e più precisamente le femministe, siano state complici di questo sistema non riuscendo ad articolare insieme la loro lotta contro il sessismo a quella contro il razzismo verso i “neri”, uomini e donne. E’ significativo che ancora il 25 novembre scorso, in occasione della grande manifestazione per la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne a Bologna, l’unico documento/volantino che denunciasse "l’equazione sciagurata: violentatore=immigrato" fosse quello del Coordinamento migranti. In quest’ultimo anno molti sono stati gli implulsi per un nuovo ripensamento di queste questioni, ma nella stragrande maggiornaza dei casi tutto si è "risolto" con l’aggiunta in volantini e documenti di una frasetta rituale che recita più o meno così : "Denunciamo l’uso strumentale in chiave-anti-immigrato dello stupro. La maggioranza degli stupri avviene in casa ad opera di padri, mariti, amanti, fratelli …". Chi parla? E a chi parla? Rinvio a bell hocks, Ain’t a woman, ovviamente.
[16] Nonostante sia stata fatta passare per pazza (45 giorni di clinica psichiatrica, l’assoluzione piena per il marito violento e torturatore) e ridicolizzata in barzellette sessiste, mi assumo il rischio di riferirmi esplicitamente a Lorena Bobbit e alle sue epigone.
[17] E, del resto, sono questi i messaggi veicolati dal fumetto Wonder Woman e da altri simili. Ho usato quest’immagine essendone perfettamente consapevole, ma più che la woman in questa copertina mi interessava il dinosauro. E l’altra donna che dal margine giunge di corsa, in soccorso.