Le parole per farlo. Donne al lavoro nel post-fordismo – A. Nannicini (a cura di)

«Abbiamo bisogno di una nuova antropologia su noi stessi, su noi stesse … Un ordine antropologico moderno, che si chiamava sintomaticamente "mondo del lavoro" è caduto sotto picconate di provenienza ancora incerta, il suo popolo di donne e uomini si industria (neanche tanto metaforicamente) in mezzo alle macerie. E ha bisogno di raccontarsi». Queste parole della bella prefazione di Lidia Campagnano presentano in maniera efficace il lavoro di Adriana Nannicini e ne colgono immediatamente lo sforzo più prezioso, quello di raccontare.

Profondamente radicato nella cultura del femminismo (come il titolo rende esplicito nel gioco di rimandi con il libro di Marie Cardinal Le parole per dirlo), Le parole per farlo. Donne al lavoro nel post-fordismo è un testo composito che indaga il legame contemporaneo fra le donne e il lavoro, alternando spunti di riflessione e racconti di esperienza vissuta. Un’alternanza che non presenta fratture, ma che restituisce, nella densità dei racconti, materiali incandescenti per l’elaborazione teorica.

Il libro si apre con un capitolo dedicato alla questione lessicale: «non disponiamo – scrive Nannicini – di un lessico capace di dire la soggettività del rapporto con il lavoro/i», da qui l’esigenza di ripercorrere alcune parole chiave del lessico femminile-femminista sul lavoro rideclinandole al presente, parole come autonomia, casa-città, ma anche corpo e solitudine. Rinnovare, anzi inventare un lessico non significa non attribuirgli memoria: rielaborare alla luce delle esperienze di oggi parole storiche del movimento delle donne, porta non soltanto a fare pratica del "pensiero situato" di cui parla il femminismo contemporaneo, ma a volersi riappropriare del metodo teorico felicemente sintetizzato nella formula del «partire da sé».

Il lavoro di Adriana Nannicini incoraggia e valorizza la presa di parola costruendo la cornice di un racconto corale. Nella seconda parte del libro si racconta di un’esperienza-laboratorio in cui altre parole vengono dette, scambiate, ripensate, in un processo in cui si cerca di costruire piccole sponde collettive al tema del lavoro flessibile delle donne e in cui le dimensioni del personale e del pubblico vengono tenute in equilibrio dalla tensione conoscitiva che anima un contesto inusuale fra corso-laboratorio-inchiesta.

La raccolta di storie che costituisce la terza parte del libro, oltre a mostrare da vicino contesti professionali diversi, alcuni insoliti e "atipici" altri più noti, descrive, nell’invenzione dei perscorsi individuali, tutte le contraddizioni in cui alle donne (più che agli uomini) capita di imbattersi nell’epoca del lavoro immateriale. La duttilità nel suo facile confondersi con instabilità e marginalizzazione, la chance (o miraggio?) del lavoro autonomo. "Strumenti di lavoro" preziosi e fortemente invocati, relazioni, saperi, affetti sono spesso investiti in situazioni fragili o marginali, condannati più alla frammentazione e alla ripetizione che alla messa in valore. La richiesta di soggettività resta astratta, le qualità "femminili" sottopagate.

Eppure non è la rabbia la cifra di questi racconti, né la retorica ideologica, semmai un ritmo vitale (e vissuto!) di fatica e passione. Fatica e sofferenza, costi inevitabili in un mondo del lavoro che frantumandosi chiede ai singoli lo sforzo incessante – fisico e mentale – di tenere insieme i pezzi e i frammenti, e passione, l’incoffessabile ambizione, la voglia di esserci, di lasciare una traccia.

Il pregio maggiore di questo libro è di evitare la tentazione dell’astratto in cui molti discorsi intorno alla femminilizzazione del lavoro rischiano di cadere. Non è infatti il lavoro femminile o femminilizzato il suo oggetto, ma il concreto venire al mondo del lavoro di molte donne.

Sandra Burchi.

Le parole per farlo: intervista con Adriana Nannicini
 
"Le parole per farlo. Donne al lavoro nel postfordismo", una raccolta di saggi, articoli e storie, curata da Adriana Nannicini e pubblicata da DeriveApprodi.
    
    
    
    

"Vedere, narrare, descrivere: parlare dei rapporti che abbiamo con il lavoro. E’ un’esigenza, questa, che si sta facendo urgente di fronte alle trasformazioni che hanno portato al modello sociale detto da più parti postfordista. Modello sociale e organizzazione del lavoro nel quale il linguaggio e i processi di comunicazione non sono soltanto rilevanti, ma costituiscono un elemento direttamente incluso nel processo produttivo…" E’ l’inizio de Le parole per farlo. Donne al lavoro nel postfordismo (DeriveApprodi), a cura di Adriana Nannicini, che problematizza fin dalla prima pagina una criticità ineludibile del controverso rapporto tra donne e lavoro: la mancanza di comunicazione. "E’ indispensabile – ci dice la curatrice del libro – ritrovare le parole per raccontarlo e per farlo. Serve un lessico altrimenti come possiamo criticare noi stesse? La possibilità di mutamenti praticabili esiste, ma è necessario che la narrazione sia attuata in prima persona dalle lavoratrici. Usare le parole solo come studiose di un fenomeno, e non come protagoniste di un’esperienza, è inutile ed inefficace".

 

La questione lessicale, essenziale nella misura in cui consente di "dire la soggettività del rapporto con il lavoro/i", riattualizza parole note ai femminismi – autonomia, casa/città, corpo, solitudine – e che oggi richiamano nuove e differenti forme di esclusione del mondo del lavoro. Dietro il facile miraggio della libera gestione di tempi e spazi, l’organizzazione flessibile del lavoro costringe ad una disponibilità illimitata, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. "Così il rapporto con il lavoro appare superinvestito, fino a diventare il principale, o addirittura l’unico, oggetto di passione per le donne di oggi. Qualcuna suggerisce: il rapporto con il lavoro ha subito un’erotizzazione, si è caricato di quella passione e di quei sentimenti che erano appannaggio del rapporto d’amore". E l’amore, si sa, è totalizzante, esclusivo, soffocante…

 

La flessibilità assume le sembianze poco confortanti della precarietà e a nulla vale la consolazione che sia in atto una femminilizzazione del lavoro attraverso la valorizzazione delle capacità e dei saperi delle donne. "Il lavoro atipico – afferma Nannicini – è la tendenza su cui si modellano concezioni di lavoro e costruzioni di comportamento, e mette in evidenza, in particolare quello delle donne, la falsa illusione di una ritrovata libertà". Forse è possibile determinare l’orario, ma quali altri vantaggi si possono sottolineare? Vecchi stereotipi assumono nuova forza e vigore, arretrando le donne sul cammino della visibilità e dell’indipendenza: "le varie forme di lavoro da casa – prosegue Adriana Nannicini – presentano un esito imprevisto, ossia la possibilità di tornare invisibili rispetto al mondo pubblico. In casa, è difficile stabilire dei confini e spesso diventa impossibile smettere di lavorare, il che significa che ci sono passaggi e confini che non si oltrepassano più. In questo modo, il lavoro diventa una persecuzione, ed il soggetto dimentica il gusto di essere nel mondo, in quello stesso mondo dove non ci sei perché nessuno ti vede. Come si valorizza un lavoro che non si/ti vede? In ufficio o in un luogo pubblico, il lavoro, e conseguentemente l’identità della lavoratrice, sono elementi contrattabili perché visibili. Non si dovrebbe mai dimenticare che il lavoro è pubblico ed eterodiretto".

Come scrive Lidia Campagnano nella prefazione, "è come se, insieme al mondo del lavoro, si fossero frantumati i rapporti di lavoro fra donne: e per spingersi più oltre, è come se nella nuova nebulosa lavorativa piena di donne e descritta come femminilizzata fosse quanto mai sconveniente, eticamente quanto sul piano economico e su quello dei poteri, riconoscersi tra donne in quanto donne".

L’isolamento totale e l’incessante alternanza tra desiderio di riconoscimento e volontà di autodeterminazione minano le basi per una serena convivenza tra tempo del lavoro e tempo di vita: "si tengono i tempi delle macchine e si fa finta di avere un corpo maschile – precisa Nannicini. Bisogna tornare a valorizzare le diversità e riuscire ad ascoltare nuovamente il corpo, che è una grande risorsa, ricordandoci che dobbiamo anche riposare. Perché, poi, è davvero il lavoro la misura di tutto?"

A. Nannicini (a cura di), Le parole per farlo. Donne al lavoro nel
post-fordismo, DeriveApprodi, Roma 2002, pp. 138, ISBN 88-87423-92-X

http://www.universitadelledonne.it/le%20parole.htm

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